Un punto di forza

Eugenia Roccella

Il volontariato non è legato soltanto al sociale e all’emergenza, come talvolta si pensa, piuttosto va considerato come una modalità di formazione permanente e un’attività educativa. In Italia il volontariato è legato anche alla centralità della cultura della famiglia e alla capacità di espandersi e riverberarsi anche al di fuori del gruppo familiare.

Il terzo settore costituisce un punto di forza e, per molti versi, anche una specificità del modello sociale italiano. Nel necessario ripensamento a cui oggi devono essere sottoposti i vecchi modelli di welfare, disegnati in un passato ancora vicino, ma già “storico”, il terzo settore resta un elemento decisivo, su cui bisogna investire, e che deve essere valorizzato e stimolato. Non dobbiamo considerarlo più solo come un soggetto che si pone tra stato e mercato, come erogatore di servizi destinati a supplire alle mancanze del pubblico e del privato, ma un attore spontaneamente flessibile ed adeguato ai tempi, capace di interpretare la richiesta di sussidiarietà, e svolgere un compito prezioso: “fare comunità”, produrre relazioni in un mondo in cui queste tendono ad indebolirsi e sfilacciarsi. È un soggetto che sa inserirsi con facilità nella nuova organizzazione dei servizi e del lavoro nell’epoca post-industriale, senza disperdere quel patrimonio di partecipazione attiva e responsabilità non delegata ad altri, di cui c’è un fondamentale bisogno.

Le associazioni, i gruppi di volontariato, le imprese sociali, le fondazioni, trovano spesso soluzioni innovative per rispondere a bisogni a cui altri soggetti istituzionali non sanno fornire risposte, o che, a volte, non riconoscono neppure. L’attore pubblico, un tempo erogatore unico di servizi, deve cedere spazio alla sussidiarietà ed al federalismo, per diventare sempre più il soggetto che favorisce la crescita e lo sviluppo sul territorio di un mercato vario e competitivo dei servizi. Il volontariato è forse, nell’ambito del terzo settore, l’elemento che caratterizza in modo particolare la situazione italiana. Non è legato soltanto al sociale e all’emergenza, come talvolta si pensa. Va piuttosto considerato come una modalità di formazione permanente ed un’attività educativa. Attraverso esperienze di volontariato si acquisiscono competenze che possono poi risultare preziose nel mercato del lavoro, ma, soprattutto, si sviluppano sensibilità e capacità che costituiscono un patrimonio importante, sia a livello personale, sia di comunità. Le fondamenta del volontariato sono la gratuità e la solidarietà, che si alimentano attraverso la cultura del dono. Senza di essa sarebbero parole sterili, incapaci di costruire legami sociali. Il tempo e le energie donati agli altri, alle persone più deboli e svantaggiate, distingue il volontario da chi lavora nel sociale con una retribuzione, e riprende l’esperienza della gratuità vissuta all’interno della famiglia. Il radicamento del volontariato in Italia penso sia legato anche alla centralità ed alla resistenza della cultura della famiglia nel nostro Paese, e alla capacità di questa esperienza basilare di espandersi e riverberarsi anche al di fuori del gruppo familiare. L’anno europeo del volontariato sarà quindi un’occasione da non perdere per valorizzare un ambito in cui l’Italia ha sviluppato esperienze, know how e capacità molto avanzate, che possono avere un’eco importante in Europa. Nel campo delle cure alla persona, il contributo del volontariato e dell’associazionismo è fondamentale, perché lo scopo di una società solidale è non lasciare nessun ammalato da solo con il suo carico di sofferenza. Un altro ambito in cui è prezioso l’apporto del mondo del volontariato è quello del sostegno alla maternità: parlo, fra l’altro, dei Centri di aiuto alla Vita, e di tutte le associazioni che concretamente cercano di venire incontro ai bisogni di chi ha una maternità difficile, comprese le donne che hanno già scelto di abortire.

Bisogna ricordare anche l’apporto delle famiglie alle attività di volontariato: dall’affido al sostegno a distanza, dal doposcuola ai gruppi di acquisto solidali. Il terzo settore non è articolato allo stesso modo su tutto il territorio nazionale. La distribuzione non omogenea di tutte le attività è determinata dalle caratteristiche dei diversi modelli organizzativi dei servizi pubblici locali. Dove questi sono inefficienti, non creano nemmeno le condizioni per lo sviluppo del volontariato. Per questo bisogna confermare e rafforzare gli strumenti di sostegno dello Stato alle iniziative della società, dalle agevolazioni fiscali alle donazioni, alla regolazione agevolata delle imprese sociali, alla possibilità per i contribuenti di disporre liberamente di una parte del prelievo fiscale a loro carico indirizzandolo a soggetti meritevoli opportunamente selezionati. È necessario, come è stato scritto nel libro bianco del Welfare, aprire una “stagione costituente” per il terzo settore. Il primo passo è stato l’istituto del 5 per mille, un’invenzione del primo governo Berlusconi, che rappresenta la prima, concreta applicazione del principio di sussidiarietà dal punto di vista fiscale. Proprio con questa Amministrazione abbiamo emesso il primo pagamento, sin dal 2005 (e abbiamo concluso quello relativo al 2007), impegnandoci a fondo per sveltire i meccanismi spesso troppo farraginosi dei pagamenti, anche attraverso un protocollo di intesa con l’Agenzia delle Entrate. Inoltre, lo scorso anno abbiamo scelto di riaprire i termini a favore di quelle associazioni – circa 5.000, in gran parte piccole organizzazioni, proprio quelle per le quali è stato pensato il 5 per mille – le cui richieste non erano state ammesse a causa di errori formali nella compilazione della modulistica necessaria. Ora che il Welfare e la Salute sono diventati due ministeri distinti, mi occuperò del volontariato sanitario. Gran parte delle attività di volontariato e partecipazione si svolgono nell’ambito della salute, e nel socio-sanitario il confine fra i due settori è sempre molto permeabile, perché ogni questione sanitaria ha un aspetto sociale e viceversa. Per questo è importante continuare il lavoro iniziato insieme al Welfare con lo stesso slogan: “Aiutiamo chi aiuta”. Sono convinta che lo scambio di informazioni fra le istituzioni ed i soggetti operanti nel terzo settore, così come l’illustrazione delle migliori prassi, i progetti che possono rappresentare un buon esempio per la loro riuscita, possano costituire il punto di partenza per compiere progressi significativi. Personalmente, ho sempre lavorato a stretto contatto con le associazioni, da quelle dei parenti delle persone in stato vegetativo (con cui abbiamo appena concluso un libro bianco sulle migliori prassi) a quelle che operano nell’ambito della donazione del sangue, in particolare del sangue cordonale, che mi hanno fornito un fondamentale sostegno per modificare e completare la legislazione sul tema. Credo, infatti, che il coinvolgimento e la condivisione delle esperienze con chi realmente vive sul territorio siano determinanti per migliorare la conoscenza dei bisogni e per consentirci di adottare politiche vicine ai cittadini.

Eugenia Roccella
Sottosegretario di Stato al Ministero della Salute

Rispondi