Per un terzo settore senza ambiguità

I valori fondamentali cui si ispirano le componenti del terzo settore – volontariato, cooperazione sociale, associazionismo di promozione sociale – sono i valori della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale.

Fino agli anni Settanta, non si parlava di terzo settore: esistevano le istituzioni assistenziali pubbliche, le associazioni di volontariato e le istituzioni assistenziali private, in gran parte promosse e gestite dalla chiesa. Quando, alla fine degli anni Settanta, le associazioni di volontariato si resero conto che non potevano fornire risposte efficaci a molti dei bisogni che affrontavano con il solo lavoro gratuito, non potendo garantire continuità e professionalità ai loro servizi, incominciarono a nascere le cooperative sociali, con le caratteristiche proprie dell’impresa sociale. Andò così configurandosi il terzo settore, una delle tre componenti fondamentali dello stato sociale, insieme allo stato ed al mercato. Constava di tre componenti: volontariato, cooperazione sociale, associazionismo di promozione sociale. Giustamente, si richiede di superare le ambiguità che si sono create intorno al terzo settore.
1. Anzitutto, l’esigenza che le singole componenti facciano ed esigano chiarezza sulla propria identità. Sotto il nome di terzo settore, addirittura spesso sotto il nome di volontariato, in questi ultimi venti – trent’anni è passato di tutto. Il volontariato è lavoro spontaneo e gratuito. La legge che lo regola consente soltanto la rifusione delle spese realmente sostenute nell’attività svolta. Certi rimborsi a forfait, gonfiati, possono trasformarlo in lavoro nero. Le cooperative sociali sono imprese sociali, anche se la legge consente l’inserimento di un numero limitato di soci volontari, ma non sono volontariato. Le associazioni di promozione sociale – Arci, Acli, Agesci, ecc. – non sono volontariato, anche se possono promuovere associazioni di volontariato. Anche il terzo settore, come tutta la società, è in continua evoluzione e trasformazione. È interessante e significativo un passaggio dell’enciclica Caritas in Veritate, che al n. 46 dice: «Considerando le tematiche relative al rapporto tra impresa ed etica, nonché l’evoluzione che il sistema produttivo sta compiendo, sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è andata emergendo un’ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. Essa è costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto ai Paese arretrati; da fondazioni che sono espressione di singole imprese; da gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dal variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione. Non si tratta solo di un «terzo settore», ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali. Il fatto che queste imprese distribuiscano o meno gli utili, oppure che assumano l’una o l’altra delle configurazioni previste dalle norme giuridiche, diventa secondario rispetto alla loro disponibilità a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società. È auspicabile che queste nuove forme di impresa trovino in tutti i paesi anche adeguata configurazione giuridica e fiscale. Esse, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e sociale delle forme tradizionali di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici. Non solo. È la stessa pluralità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo».
2. Seconda riflessione. Il terzo settore è una sorgente di energie spontanee della comunità ed è portatore di grandi valori di solidarietà, responsabilità, passione per il bene comune e in un momento di scarsità di lavoro può essere anche una preziosa risorsa per il lavoro dei giovani. Ma deve riconoscere anche i suoi limiti: non può garantire i diritti dei cittadini, perché c’è se c’è, dove c’è, se può, se vuole. La responsabilità di garantire i diritti dei cittadini appartiene alla società nel suo insieme, attraverso le sue istituzioni. Anche quando l’istituzione pubblica, ad esempio il comune, sceglie di non gestire un servizio sociale, ma lo affida con una convenzione ad una cooperativa sociale, mantiene la responsabilità di assicurare risorse sufficienti perché il servizio sia svolto correttamente. Può essere deleterio l’appalto dei servizi al ribasso e, se si vogliono garantire servizi validi, è necessario richiedere qualificazione adeguata del personale e risorse per curare la formazione permanente sul campo. L’istituzione pubblica ha poi il dovere di controllare come vengono erogati i servizi e quali risultati apportano realmente alla popolazione. Io ritengo deleteria l’affermazione, a volte sentita da parte di dirigenti del terzo settore: «Il pubblico non è capace di far bene i servizi: per fortuna ci siamo noi». Anche su questo punto è necessario uscire da ogni ambiguità.
3. Il terzo settore, se dispone di adeguata e costante formazione sociale e politica, può costituire una garanzia di base della democrazia. Il prof. Giuseppe Cotturri, nel volume Potere sussidiario. Sussidiarietà e federalismo in Europa e in Italia (Carocci, 2001), riporta una corrente di pensiero che afferma che non è sufficiente il sistema rappresentativo – i cittadini eleggono i loro rappresentanti – per garantire la democrazia, se non c’è un sistema di corpi intermedi che integra il sistema rappresentativo, lo stimola e lo controlla dal basso. In Germania, Hitler è salito al potere con il 90% dei voti dei Tedeschi. Anche da noi abbiamo sentito parlare di dittatura della maggioranza. Quando chi governa non pone la sua legittimazione nel Parlamento che lo ha eletto, ma nel popolo, saltando il Parlamento, in quel Paese la democrazia non gode di buona salute. Il terzo settore, con le sue componenti fondamentali – volontariato, cooperazione sociale, associazionismo di promozione sociale – è diffuso e innervato alla base della società. Se custodisce piena coscienza della sua responsabilità di fronte al bene comune, può essere di stimolo alle istituzioni, integrare i loro compiti, vigilare sulla democrazia.
4. Quarta riflessione. La nostra società si trova oggi ad affrontare un problema per noi nuovo, l’immigrazione. Un problema molto complesso. Forse non si tratta soltanto di immigrazione, ma dell’inizio di una trasmigrazione di popoli, che diverrà inarrestabile per la legge fisica dei vasi intercomunicanti. La soluzione vera sarebbe aiutare i popoli poveri a rimanere nei loro Paesi e a far fruttare le loro immense risorse naturali: un grande “piano Marshall” mondiale che gioverebbe a tutti. Invece, il nostro Governo, nella finanziaria ha tagliato proprio le risorse alla cooperazione internazionale e, nel pacchetto sicurezza, ha introdotto norme che violano diritti fondamentali dell’uomo, quali il lavoro, la salute, l’istruzione e, nella loro applicazione, con i respingimenti, oltre che a doveri di umanità, viola gli accordi internazionali sull’accoglienza ai rifugiati politici. Come deve porsi il terzo settore di fronte a questo fenomeno ed al modo in cui il nostro Governo lo affronta? I valori fondamentali cui si ispirano le componenti del terzo settore – volontariato, cooperazione sociale, associazionismo di promozione sociale – sono i valori della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Le componenti del terzo settore non possono perciò non porre obiezione di coscienza alle norme che violano i diritti umani degli immigrati ed impediscono la solidarietà con loro. Non possono neppure non contrastare una politica miope, contraria anche al nostro stesso interesse e bene comune. Abbiamo bisogno di loro, perché certi lavori gli italiani non li fanno più – esempio eclatante le badanti – e perché, con l’attuale andamento demografico, senza i bambini che ci porteranno loro, il nostro gruppo umano, in tempi statisticamente prevedibili e misurabili, è destinato a scomparire.
Certamente, il fenomeno va saggiamente governato, perché non possiamo accogliere tutti gli affamati del mondo. Ma la generazione presente deve assumere la precisa responsabilità di creare la cultura e le condizioni perché le nuove generazioni possano convivere positivamente e serenamente in una società che, ci piaccia o no, sarà multietnica, multiculturale, multireligiosa. Il problema vero è quello dell’integrazione. Ma è proprio su questo piano che le componenti del terzo settore vantano maggiori strumenti e possono offrire maggiori opportunità, con coraggio e senza le ambiguità che una cultura xenofoba e razzista sta diffondendo nel nostro Paese. Si tratta di superare il complesso del ricco, saperci porre alla pari e creare le condizioni, nelle associazioni di volontariato e nelle associazioni di promozione sociale, perché anche gli immigrati si sentano messi alla pari, rispettati nei loro valori e valorizzati. L’integrazione non è soltanto una questione economica, ma anche e soprattutto di valori. Per evitare completamente le ambiguità, e tener presente tutta la realtà, occorre anche dire che continuano ad esistere le antiche “istituzioni private” (scuole materne, centri di accoglienza, istituti per anziani, ecc.) gestite da congregazioni religiose o da enti ecclesiastici che, normalmente, non sono né mercato, né volontariato, né associazionismo sociale, ma che, di solito, non sono considerate quando si parla di terzo settore, mentre costituiscono un elemento importante per la costruzione di uno stato sociale.

Giovanni Nervo
Monsignore, già presidente della Caritas italiana
Fondatore e Presidente onorario della Fondazione E. Zancan Onlus

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