La lingua dei padri

Un popolo
mettetelo in catene
spogliatelo
tappategli la bocca,
è ancora libero.
Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.
Un popolo
diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua
ereditata dai padri:
è perso per sempre.
Diventa povero e servo
quando le parole non generano parole
e si mangiano tra di loro.

(Ignazio Butitta)

Poichè mi occupo di stare a fianco ai poveri mentre sono poveri e quando non c’è prospettiva di cambiamenti oggettivi, il mio compito è quello di esaltare la loro ricchezza, aiutarli a valorizzare le loro risorse. La differenza enorme che c’è tra un’educatore, un assistente sociale, un agitatore politico è che io devo cercare anche un piccolo punto di luce in mezzo al buio.

Dunque, la mia definizione di povertà è: incapacità a trovare una via d’uscita. Abbiamo la possibilità di vivere con dignità ogni situazione, anche la più misera, sentendoci vivi ed attivi. O possiamo subirla senza lottare. Ciò che importa non è il risultato finale, ma il modo in cui vivo il tempo che divide l’oggi dalla sofferenza inevitabile. Io, maestro nella periferia emarginata di Napoli, devo necessariamente ragionare in questo modo, perché vivo in una realtà in cui la miseria materiale alligna da secoli. Ma ancor più alligna la disperazione, l’incapacità di immaginare il cambiamento. Sotto questo aspetto, la povertà è molto più soggettiva che oggettiva, dipende molto di più da noi che non dalla disponibilità di beni. Le statistiche, le analisi economiche, servono molto di più a costruire immagini colpevolizzanti che non a risolvere i problemi: con il cibo per gatti dell’occidente si potrebbe nutrire un intero popolo; dieci ricchi posseggono il 90% della ricchezza della tale nazione, ecc.: tutte cose vere, ma che servono molto più a colpevolizzare chi ha qualche briciola di tanta ricchezza che non a cambiare il destino dei poveri. Ho sentito racconti di guerra, quando la povertà e la vera e propria carestia erano così generali che c’erano ben poche soluzioni da trovare. Eppure, anche in quelle condizioni c’era chi riusciva a reagire, magari creandosi dei surrogati illusori, e chi, invece, si deprimeva e si abbandonava a ‘ripetere sempre le stesse cose’. Dunque, poiché mi occupo di stare a fianco ai poveri mentre sono poveri e quando non c’è prospettiva di cambiamenti oggettivi, il mio compito è di esaltare la loro ricchezza, aiutarli a valorizzare le loro risorse. Perché, anche se non si riempiono la pancia, hanno sempre la scelta di disperarsi o combattere. La differenza enorme che c’è tra un educatore, un assistente sociale, un agitatore politico è che io devo cercare anche un piccolo punto di luce in mezzo al buio; gli altri due, per motivi diversi, fanno il quadro molto più nero di quello che è.
Se spostiamo questo ragionamento dai livelli di povertà estrema alla povertà relativa, ci accorgiamo che alla povertà soggettiva non c’è limite, che tutti possono sentirsi poveri, deprivati, come nella canzone di Jannacci:

– Ha visto un vescovo!
– Anche lui, lui, piangeva, faceva un gran baccano,…
– Povero vescovo!
– è il cardinale che gli ha portato via un’abbazia…
– Oh poer crist!
– …di trentadue che lui ce ne ha.
– Povero vescovo!

Nell’esclamazione, noi usiamo “povero” molto più nel senso morale e soggettivo che non nel senso oggettivo. E forse, oggi, noi dobbiamo difenderci dalla povertà molto più che ‘commiserarla’: il povero relativo, infatti, è aggressivo, ritiene di avere diritto ad arraffare, scavalcare, sgomitare ed è di un egoismo sconfinato. E in periodi di crisi, diventa ancor più aggressivo ed egoista: è evidente che chi ha un elevato tenore di consumi perda relativamente di più di chi, essendo povero, non può consumare meno dell’aria che respira! Poveri ricchi, come si impoveriscono!
Dunque, il numero dei poveri, il numero di quelli che non sanno usare le parole, l’intelligenza, il lavoro, per vivere al meglio la propria vita è in forte aumento ed è in aumento anche la lotta tra poveri, l’anteporre il proprio egoismo ai bisogni di tutti. E questo, davvero, impoverisce tutti. Perché quando sei in difficoltà, ed i tuoi simili ti aggrediscono e non riconoscono la tua difficoltà, allora la situazione diventa veramente disperata.
Un modo per diventare ricchi, allora, è imparare a riconoscere il povero accanto a noi, senza volerlo salvare o aiutare, ma solo parlandogli e condividendo con lui parole di libertà.

Cesare Moreno
Maestro elementare e Presidente dell’Associazione
Maestri di Strada ONLUS di Napoli

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