L’uomo che visse nel futuro

La comunità scientifica internazionale continua a pubblicare rapporti che evidenziano i rischi a cui stiamo esponendo la Terra, la nostra abitazione: le emissioni di gas serra alterano il clima a causa del loro potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP); l’inquinamento industriale, urbano, agricolo, bellico, è responsabile della contaminazione chimica e di quella da polveri sottili ed avvelena cibo, aria e acqua; è instabile il rapporto risorse/rifiuti, con la progressiva riduzione delle prime e l’aumento dei secondi; in ordine al fabbisogno energetico mondiale, il nucleare e le fonti alternative ecosostenibili non riescono a sostituire il fossile (petrolio, metano, carbone). Ma in un’analisi sul futuro del nostro pianeta, l’elemento che crea il maggiore allarme è l’inarrestabile crescita demografica. Dai 10 milioni di persone presenti nel neolitico, si è toccato il miliardo nel 1800. Negli ultimi 100 anni, la popolazione è passata da 1,6 a 6 miliardi e ogni anno cresce di 80 milioni. Sono soprattutto i Paesi in via di sviluppo a registrare una vera e propria esplosione demografica, con elevati tassi di natalità e calo della mortalità quale conseguenza di un miglioramento sanitario. Nel 2050, la popolazione globale potrebbe raddoppiare, arrivando a 10-12 miliardi. Oggi, quasi il 40% delle persone ha meno di 20 anni, e di queste, l’85% vive nei Paesi in via di sviluppo. Manca il lavoro, mancano le risorse, non vi è accesso all’istruzione. Proprio “la crescita della popolazione nel mondo più povero può essere all’origine di conflitti civili e terrorismo” (Population Institute). Un futuro, quindi, molto complesso. I politici mondiali sono chiamati ad una delle sfide più difficili nella storia dell’umanità. Al vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici, si è parlato di clima e ambiente, ma anche di controllo demografico quale soluzione ai problemi del pianeta. Cinicamente, si è persino accennato a come una pianificazione familiare ed il controllo delle nascite possa essere considerato uno “strumento primario nella migliore strategia di riduzione delle emissioni di carbonio”. Va però evidenziato che il 50% delle emissioni di anidride carbonica è opera del mezzo miliardo di persone più ricche del pianeta, che popolano l’area nella quale la crescita è a zero; che il tasso di natalità diminuisce in proporzione al livello di istruzione e partecipazione delle donne alla vita sociale, come avviene negli Stati occidentali; che i Paesi industrializzati continuano a saccheggiare i Paesi in via di sviluppo, e che il reddito dei 500 uomini più ricchi supera quello dei 416 milioni più poveri. È evidente quindi che finché non riusciremo a ridistribuire la ricchezza e il benessere in maniera più equa non potremo evitare che anche solo 1 milione di quei 416 si organizzi per insorgere contro il sistema. E, a meno che l’umanità non sia così folle da rieleggere un elite intenzionata a sopprimere i soggetti “inferiori” in moderne camere a gas, la società dei Paesi industrializzati non sarà più la stessa. Il professor Oliver Curry, teorico dell’evoluzione presso la London School of Economics, ipotizza una rigida divisione dell’umanità futura in due razze, distinte in base a caratteristiche fisiche e genetiche precise (una fondata sulla superiorità genetica e un sottoproletariato inferiore che mantiene l’elite dominante). Risulta impressionante l’analogia con “L’uomo che visse nel futuro”, un film di fantascienza del 1960 tratto dal romanzo di H. G. Wells “La macchina del tempo” (1895). Nel racconto l protagonista viaggiando nel futuro trova un mondo distrutto dalle guerre con uomini che vivono in superficie ignavi e senza sentimenti e un popolo sotterraneo di uomini deformi e antropofagi. Al suo ritorno sceglie tre soli libri di storia e cultura umana (volutamente non specificati) e ritorna nel futuro per tentare di sviluppare una nuova civiltà basata su regole diverse. Chissà se il genere umano potrà mai avere realmente questa possibilità.

di Massimiliano Fanni Canelles

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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