Alla ricerca della verità

Ilaria Cucchi

Mio fratello aveva un trascorso in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Poi ne era uscito riabilitato, lavorava ed aveva tanta voglia di vivere. Va bene essere puniti se si commettono degli errori, ma in uno stato di diritto i propri errori non si pagano con la vita.

Stefano era un ragazzo di 31 anni. Un ragazzo normalissimo. La notte tra il 15 e il 16 ottobre è stato arrestato, perché trovato in possesso di una piccola quantità di sostanze stupefacenti. Dopo aver perquisito la sua stanza non trovandovi nulla, i Carabinieri lo accompagnarono fuori casa. Era in ottime condizioni di salute, senza alcun segno sul viso, e non lamentava alcun tipo di dolore. Quando l’abbiamo rivisto morto, all’obitorio, il 22 ottobre, mio fratello aveva il viso completamente tumefatto e pieno di segni. Il corpo, invece, non abbiamo potuto vederlo. Adesso ci aspettiamo una serie di risposte. Ci aspettiamo si faccia chiarezza. Ci aspettiamo ci spieghino con precisione i motivi delle percosse e della morte. Vogliamo che lo Stato ci spieghi come è potuto accadere che mio fratello sia stato consegnato alle istituzioni in condizioni di salute ottima e ci sia stato restituito morto.

Vogliamo giustizia e pretendiamo di sapere chi sono i responsabili di questa morte che ci sembra assurda ed inspiegabile. Ma c’è di più: abbiamo intrapreso la nostra battaglia legale anche perché vogliamo che in futuro non accadano più fatti simili ad altri ragazzi come Stefano. Dopo la sua morte, i miei genitori ed io abbiamo deciso di diffondere le foto del cadavere, proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica ed evitare che possa calare il sipario sulla negligenza che l’ha ucciso. Le immagini sono tremende: guardarle e diffonderle è stata un’ulteriore sofferenza. Però abbiamo pensato che mostrarle potesse servire a trovare delle risposte. Mio fratello aveva un trascorso in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Ne era uscito riabilitato. Lavorava ed aveva tanta voglia di vivere. Noi non abbiamo mai negato i suoi problemi di droga: da questo punto di vista, ci siamo sempre comportati con sincerità nei confronti delle istituzioni. E va bene essere puniti se si commettono degli errori, ma in uno Stato di diritto gli errori non si pagano con la vita. Nei nostri confronti, invece, non ci sono state né chiarezza, né sincerità.

Non ci è stata concessa la possibilità di vedere Stefano mentre stava morendo. Quando siamo stati informati che era stato ricoverato d’urgenza presso la struttura del Sandro Pertini, i miei genitori si sono immediatamente recati sul posto chiedendo di vederlo, ottenendo soltanto risposte negative. Alla richiesta di sapere, almeno, per quale motivo fosse stato ricoverato, la risposta era sempre la stessa: non preoccuparsi, perché il ragazzo era tranquillo. Siamo stati informati della sua morte solo svariate ore dopo. Naturalmente, fino a quel momento, non potevamo assolutamente immaginare in che condizioni versasse: alle nostre continue richieste, non solo ci negavano di parlare con lui, ma ci facevano intendere che tutto era sotto controllo. Ed il modo in cui abbiamo saputo del tragico epilogo è la dimostrazione plateale del fatto che siamo stati trattati con totale mancanza di umanità: mia madre non ha ricevuto la notizia della morte, ma dell’esecuzione dell’autopsia.

Il sentimento che provo è sofferenza. Soffro ogni volta che devo rivivere la violenza che mio fratello ha subito, ora ascoltando le parole del testimone durante l’incidente probatorio, ora venendo a conoscenza dei risultati dell’autopsia successiva alla riesumazione. Soffro all’idea di una violenza gratuita, perpetrata a danno di un ragazzo indifeso, che aveva un corpo così esile. Adesso, tutti pensano che fosse così magro per via della droga, ma non è vero. È sempre stato magro, alto come me, un metro e sessanta, pesava meno di 50 chili. Da quando è morto Stefano, la mia vita è cambiata completamente. Perché sono continuamente alla ricerca di risposte per la morte di un fratello più giovane, perché non si è trattato di una disgrazia, della quale ci si può fare una ragione, perché voglio far sapere a tutti che i miei genitori ed io non ci accontenteremo di mezze verità. Valerio, mio figlio, di sette anni, il nipotino di Stefano, non capiva. Gli abbiamo raccontato che lo zio è morto perché il mondo è pieno di gente buona, ma ogni tanto s’incontra pure qualche cattivo. Gli abbiamo detto che a Stefano è successo proprio questo, che qualcuno gli ha fatto del male.

Devo dire, però, che in questa situazione di grande dolore stiamo fortunatamente trovando moltissima solidarietà, la vicinanza ed il sostegno da parte di tutti. E la politica non si è disinteressata al problema, ma è stata molto partecipe. Da questo punto di vista, voglio ringraziare soprattutto Luigi Manconi, coordinatore del “Comitato per la verità su Stefano Cucchi”, composto da parlamentari della Maggioranza e dell’Opposizione. Ne fanno parte Rita Bernardini, Emma Bonino, Stefano Ceccanti, Anna Paola Concia, Marcello De Angelis, Silvia Della Monica, Renato Farina, Paola Frassinetti, Guido Galperti, Guido Melis, Flavia Perina, Melania Rizzoli, Walter Tocci e Jean-Leonard Touadi. Questo Comitato non intende interferire con le indagini dell’Autorità Giudiziaria, né con le eventuali inchieste parlamentari o amministrative già in atto, ma si prefigge esclusivamente il fine di ottenere la verità, volendo chiarire in modo certo le circostanze della tragica fine di Stefano. Si propone attività come l’apertura di un blog, una visita al padiglione detenuti dell’ospedale Pertini e la richiesta di effettuare un’indagine conoscitiva sulle frequenti morti di detenuti nelle carceri italiane. Ringrazio tutti quelli che vi hanno aderito e ci sono stati vicini nella ricerca della verità.

Ilaria Cucchi
Sorella di Stefano Cucchi

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