L’industria della guerra

In una società dove guerre tribali, conflitti armati, guerre civili, malattie, tratta sono all’ordine del giorno, la popolazione raggiunge livelli di povertà che noi occidentali non riusciamo neanche ad immaginare e la condizione dei bambini di questi territori è legata indissolubilmente a questa povertà.

Una povertà non quantificabile con la misura del reddito pro-capite, del prodotto interno lordo e del debito pubblico del paese. Una povertà valutabile prevalentemente tramite l’analisi di elementi “qualitativi”, come la speranza di vita, la mortalità infantile e il tasso di alfabetizzazione. Una povertà mantenuta dal benessere del mondo occidentale che oggi vive sulle spalle del Terzo.

Quando affrontiamo il tema della globalizzazione dobbiamo quindi porci la domanda di come questo debba essere affrontato ma soprattutto dovremmo analizzare quanto tutta questa speculazione, perpetrata ai danni dei più deboli, senza mai restituire nulla, possa essere proficua nel lungo termine. Oggi sono 225 i privati che nel mondo posseggono mille miliardi di dollari a testa, pari alla somma del reddito dei 2 miliardi e mezzo delle persone più povere del pianeta. Queste ultime rappresentano il 47% della popolazione mondiale e la maggior parte di esse sono i soggetti, artefici e vittime, della più grande industria di sempre: quella della guerra.

Nelle epoche passate i conflitti armati erano innescati prevalentemente dal tentativo di governare in maniera autocratica un territorio. Con l’aumentare delle capacità di commercio il genere umano ha coltivato altre motivazioni di natura più “economica” come il controllo delle risorse auree e di ricchezza. Oggi in un’epoca “globalizzata” è la motivazione energetica a spingere maggiormente l’innesco di un conflitto armato.

In ogni caso è sempre il connubio fra potere e ricchezza da un lato e povertà e degrado dall’altro che genera nell’uomo quel cinismo che permette di calpestare chiunque, donne e bambini compresi. E se molti passi sono stati compiuti nella stabilizzazione democratica dei governi, che permettono di ammortizzare le spinte individuali verso la ricerca del potere, molto però deve essere ancora fatto nel rapporto fra capitalismo e mercato internazionale, fra capitalismo e mondo povero.

Come il principio della cooperazione allo sviluppo dovrebbe imporre, sarebbe opportuno innanzitutto abbandonare l’idea dell’aiuto fine a se stesso, che invece deve e dovrà necessariamente lasciare il passo a futuri piani che permettano alle popolazioni povere di creare uno sviluppo economico e sociale “dal basso”, di emanciparsi, di sostenersi autonomamente con progetti di microimprenditorialità. Per ottenere questo è necessario che i Governi, le Ong e tutti i soggetti impegnati nel sociale si rendano conto di come l’unica via, l’unico grimaldello capace di interrompere il circolo vizioso della povertà, sia quella di difendere il diritto all’istruzione e alla formazione professionale.

Necessario sarà poi liberalizzare il mercato internazionale, sia quello delle materie prime, sia quello dell’energia. Questo punto eviterebbe l’innescarsi di azioni finalizzate al controllo dei giacimenti e delle loro vie di distribuzione. Un aspetto questo chiaramente ostacolato dalla presenza di numerosi “cartelli”, dai conflitti d’interesse locali ed internazionali, da strumentalizzazioni politiche e religiose e non ultimo dagli interessi dell’industria militare.

Ma se risulta ancora utopistica una simile conversione si dovrebbe almeno imporre agli Stati firmatari l’applicazione delle carte e delle convenzioni internazionali di tutela dei diritti umani. Abbiamo il dovere morale di riconsegnare l’infanzia ai propri diritti. Non quei diritti imposti dall’adulto ma, ascoltando con attenzione, quelli espressi dai bambini stessi, in modo che non si debba più parlare di “cultura per l’infanzia” ma di una “cultura dell’infanzia”

di Massimiliano Fanni Canelles

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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