Vite da incubo

Anche se sono stati compiuti progressi in alcuni Paesi, come in Liberia e in Sierra Leone, in alcuni aree di crisi, in Sudan (Darfur), Chad, Afghanistan, Iraq e Sri Lanka ad esempio, la situazione ha continuato a peggiorare, mentre in Libano, Israele e nei Territori Occupati Palestinesi la recente escalation di violenza ha causato migliaia di vittime.

“Un ragazzo tentò di scappare (dai ribelli), ma fu preso… Le sue mani furono legate, poi essi costrinsero noi, i nuovi prigionieri, a ucciderlo con un bastone. Io mi sentivo male. Conoscevo quel ragazzo da prima, eravamo dello stesso villaggio. Io mi rifiutavo di ucciderlo ma essi mi dissero che mi avrebbero sparato. Puntarono un fucile contro di me così io lo feci. Il ragazzo mi chiedeva: perché mi fai questo? Io rispondevo che non avevo scelta. Dopo che lo uccidemmo essi ci fecero bagnare col suo sangue le braccia…Ci dissero che noi dovevamo far questo così non avremmo avuto più paura della morte e non avremmo tentato di scappare…Io sogno ancora il ragazzo del mio villaggio che ho ucciso.Lo vedo nei miei sogni, egli mi parla e mi dice che l’ho ucciso per niente, e io grido.”
(Susan, 16 anni, rapita dal Lord’s Resistance Army, in Uganda)

Secondo i Rapporti dell’ONU sono più di 250.000 i minori di 18 anni utilizzati nei conflitti armati, in varie parti del mondo. La maggioranza di questi ha un’età compresa tra i 15 e i 18 anni, ma in alcuni casi l’età scende intorno ai 10 anni e la tendenza è verso un abbassamento dell’età. Questo significa che decine di migliaia di adolescenti, ma anche bambini e bambine, sono entrati o corrono il rischio di entrare a far parte degli eserciti governativi o di gruppi armati di opposizione diversi Paesi. Per bambini soldato non si intendono solo quelli che hanno armi e combattono, ma anche quelli utilizzati dagli eserciti e dai gruppi armati come esche, corrieri o guardie, per svolgere azioni logistiche o di supporto, come trasportare le munizioni e le vettovaglie, posizionare mine ed esplosivi, fare ricognizioni.
Sia che siano regolarmente reclutati nelle forze armate del loro Stato, sia che facciano parte di gruppi armati di opposizione ai Governi, questi bambini e adolescenti sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori che possono commettere. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.

Una situazione che non risparmia nemmeno le bambine. Si tratta di bambine e ragazze particolarmente vulnerabili, spesso rimaste orfane di entrambi i genitori, uccisi durante i combattimenti, o che vengono rapite durante le incursioni dei gruppi di ribelli. Una volta “arruolate” vengono ridotte in schiavitù, costrette a soddisfare i desideri sessuali, dei combattenti. Subiscono ripetutamente violenze e abusi. Altissime le probabilità di subire gravidanze non desiderate e il rischio di contrarre HIV/AIDS ed altre malattie sessualmente trasmissibili.

Non solo. Spesso accade che le ragazze e le bambine, pur avendo maggior bisogno di cura e di protezione, vengano esclude dalle iniziative di intervento a favore dei bambini coinvolti nei conflitti. Unendo violenza a pregiudizio, le ragazze vengono dimenticate innanzitutto perché sono poco disposte “per vergogna” a farsi avanti, in quanto questo significa venire identificate dalla comunità come “mogli” dei combattenti. Le comunità tendono a stigmatizzarle ed emarginarle perché si sono unite ai gruppi di ribelli e tendono ad attribuire alle stesse ragazze la colpa di quanto loro accaduto.

Nel Rapporto presentato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite al Consiglio di Sicurezza nel 2005, aggiornato nel Rapporto del 2006, sono stati segnalati Paesi in conflitto, o reduci da conflitti, in cui i bambini e le bambine subiscono gravi violazioni dei loro diritti. Tale elenco comprende: Afghanistan, Burundi, Chad, Colombia, Costa d’Avorio, Iraq, Liberia, Myanmar, Nepal, Filippine, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sri Lanka, Sudan e Uganda.
Anche se sono stati compiuti progressi in alcuni Paesi, come in Liberia e in Sierra Leone, in alcuni aree di crisi, in Sudan (Darfur), Chad, Afghanistan, Iraq e Sri Lanka ad esempio, la situazione ha continuato a peggiorare, mentre in Libano, Israele e nei Territori Occupati Palestinesi la recente escalation di violenza ha causato migliaia di vittime.

Emergency la nota associazione di assistenza medico-chirurgica italiana che offre volontariamente e gratuitamente assistenza alle vittime di guerre e di povertà, è presente con le proprie strutture in molte di queste zone. In Afganistan è presente dal 1999, quando, ad Anabah, un villaggio della valle del Panshir ha costruito il primo centro chirurgico. A questo è seguito, nel 2001, un secondo centro a Kabul. Nel 2003 ha costruito un ospedale a Lashkar-gah, nella provincia pashtun di Helmand, e ha aperto un Centro di maternità ad Anabah, in un’area con un tasso altissimo di mortalità materno-infantile. In tutto il paese ha attivato una rete di 28 Posti di primo soccorso e Centri sanitari per garantire cure tempestive ai pazienti e il loro eventuale trasferimento in ospedale.

In Iraq, nel 1995 Emergency ha riattivato l’ospedale di Choman, un villaggio curdo al confine con l’Iran. A Sulaimaniya e a Erbil, città controllate da due fazioni in lotta tra loro, nel 1996 e nel 1998 ha aperto due Centri chirurgici per fornire assistenza gratuita e di alta qualità alle vittime delle guerre e delle mine antiuomo. Entrambe le strutture sono state successivamente ampliate con unità specializzate nel trattamento delle ustioni e delle lesioni spinali. Sempre nel 1998 ha avviato a Sulaimaniya un Centro di riabilitazione e reintegrazione sociale per la cura dei pazienti amputati e il loro reinserimento nelle comunità di provenienza. In Iraq sono 22 i posti di pronto soccorso per offrire cure tempestive ai feriti e malati. Dal 2005, la gestione dei vari centri e posti di primo soccorso è passata alle autorità locali che le hanno integrate nel sistema sanitario nazionale.

In Sierra Leone, una guerra spaventosa e dimenticata, combattuta a colpi di machete anche per mano di soldati bambini, ha causato almeno settantacinquemila vittime (su una popolazione di quattro milioni e mezzo di persone) con migliaia di persone deliberatamente mutilate, e ha costretto due terzi della popolazione alla fuga in Guinea e Liberia. La guerra civile ha distrutto le infrastrutture sanitarie del paese. Il tasso di mortalità infantile, fino al 2005 il più alto al mondo, è determinato principalmente dalla diffusione di malaria, diarrea e infezioni. Emergency in questa zona dimenticata da Dio e dagli uomini, è arrivata nel 2001 ed ha avviato a Goderich, un villaggio alla periferia di Freetown, un programma destinato alle vittime di guerra successivamente ampliato alla cura dei pazienti ortopedici e di tutte le emergenze chirurgiche.

Nel 2002, accanto all’ospedale è stato costruito un Centro sanitario pediatrico per la cura di malaria, anemia e infezioni respiratorie.
Anche in Sudan, il più grande paese dell’Africa, una guerra civile che va avanti da oltre vent’anni tra il governo settentrionale arabo e musulmano e i ribelli che rivendicano l’indipendenza delle regioni meridionali a prevalenza cristiano-animista, vede un’intera regione, quella del Darfur, prostrata da una guerra degenerata in uno dei più violenti conflitti d’Africa. In Sudan l’aspettativa di vita è di 55 anni, la mortalità infantile sotto i cinque anni si attesta intorno al 107 per mille, il 50% della popolazione non ha accesso ai farmaci essenziali. Anche in questa zona Emergency è intervenuta a sostegno degli ospedali di Mellit e al Fashir. Nel 2005 ha aperto un Centro pediatrico per offrire assistenza gratuita ai bambini del campo profughi di Mayo, nei sobborghi della capitale.

Dall’aprile 2007 a Soba, a 20 chilometri da Khartoum, è operativo un Centro regionale di cardiochirurgia che offre assistenza altamente specializzata e gratuita ai pazienti provenienti dal Sudan e dai paesi confinanti. Il Centro, chiamato Salam, sarà collegato a una rete di cliniche situate in diversi paesi della regione dove – oltre all’assistenza pediatrica – verrà effettuato lo screening e il follow up dei pazienti cardiopatici da trasferire. Da quando Emergency è nata, nel 1994, Dal 1994 a oggi, Emergency è intervenuta in 13 paesi, costruendo 7 ospedali, 4 centri di riabilitazione, 1 centro di maternità, 1 centro di cardiochirurgia, 55 tra posti di primo soccorso e centri sanitari, portando il proprio aiuto ad oltre 3 milioni di persone. Su sollecitazione delle autorità locali e di altre organizzazioni, ha anche contribuito alla ristrutturazione e all’equipaggiamento di strutture sanitarie già esistenti.

Bianca la Rocca
Responsabile dell’ufficio stampa di Sos Impresa Confesercenti

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi