L’idea di sviluppo di Edmund Phelps

Anna Mazzone

Considerato il capostipite dei neo-keynesiani, anche se lui si è sempre definito uno “strutturalista” al di fuori di neoclassici e keynesiani, Edmund Phelps ha vinto il Premio Nobel per l’economia nel 2006, grazie ai suoi studi sul dinamismo economico e sul mercato del lavoro.

Avendo avuto l’opportunità di intervistarlo, abbiamo colto l’occasio­ne per iniziare la nostra conversazione chiedendogli lumi sul dinamismo e sulla vitalità economica europea, che in questo momento sembrano un po’ appannate, anche a seguito di una congiuntura economica internazio­nale davvero pessima. “Dunque, riguardo al dinamismo europeo e alla sua scarsa vitalità potrei menzionare diversi fattori – ci risponde il professor Phelps dal suo studio alla Columbia University di New York

Il primo ha certamente a che fare con la vostra tradizione solidaristica, che vede le sue origini nelle ‘corporazioni’ dell’antica Roma, passa per tutta l’epoca medioevale ed ispira la formazione delle unioni industriali e del sindacato. Questa caratteristica si è sviluppata molto più in Europa rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo. Credo sia un vero e proprio handicap, che rallenta il processo innovativo e introduce continui ostacoli all’inno­vazione. Un altro fattore è la ‘concertazione’, il mettere insieme azionisti e parti sociali. Con il risultato di creare gruppi frammentati che detengono un potere atomizzato e gestiscono l’innovazione. Di fatto ostacolandola. Inoltre, nell’Europa occidentale esiste un’etica dell’egalitarismo, che funge da deterrente per l’in­dividualità. L’individuo non vuole sentirsi fuori dalla massa e questo approccio tende a smorzare lo spirito imprendito­riale. Vi sono, poi, altre due cose sulle quali porrei atten­zione: la diffidenza verso le concentrazioni capitalistiche e la diffidenza verso il commercio. Infine, esiste in Europa l’idea che le battaglie importanti per la società possano essere condotte solo dalle leadership di governo. Nel mondo anglosassone le cose sono diverse e si preferisce lasciare l’innovazione agli imprenditori privati”.

D.: Deve essere tutto “regolato” dal settore privato? Esistono dei campi in cui lo Stato può fare meglio dei privati, come le telecomunicazioni, i trasporti, l’energia, l’ambiente? Lo Stato – secondo Jean-Paul Fitoussi e Giulio Tremonti – può “proteggere” meglio i cittadini…

R.: “Mi sembra che secondo lei il settore privato rappre­senti una minaccia per l’ambiente, mentre lo Stato ne è il guardiano, ma in alcuni Paesi lo Stato è stato invece uno strumento per danneggiare l’ambiente. Pensi a quello che è successo nell’ex Unione Sovietica, all’immensa distruzione ambientale alla quale abbiamo assistito”

D.: … e recentemente anche in Cina…

R.: “Sì, ottimo esempio. Recentemente anche in Cina. Qui a New York, i più grandi inqui­natori sono gli autobus, il sistema dei trasporti e il sistema di potere delle autorità pubbliche. Non riesco davvero a comprendere perché aumentare il potere del governo e non quello delle imprese private”.

D.: Focus sull’Italia. Quale sarà il nostro futuro economico e quali gli ostacoli che dovremmo superare?

R.: “Esistono molti ingredienti che generano innovazione ed è davvero impossibile predire quando e come un Paese riuscirà a scuotersi e a diventare dinamico. So che il Presidente del Consiglio propone riforme lampo. Una di queste riguarda l’intervento del governo sui flussi di immigrazione, un problema anche europeo. Basti pensare al Trattato di Schengen, che contempla la libera circolazione di merci, beni, servizi e persone su tutto il territorio europeo. L’Europa dovrebbe intervenire e chiudere le sue frontiere agli immigrati disoccupati.”

D.: Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che il ruolo e le competenze della Bce dovrebbero essere più estese e riguardare non solo i prezzi, ma anche la produzione e lo sviluppo.

R.: Esistono molte opzioni nel campo del lavoro. Uno stru­mento a disposizione del governo riguarda l’immigrazio­ne, un altro il tasso di disoccupazione e il dinamismo. La Banca centrale è ben equipaggiata per assolvere al suo ruolo di devitalizzare il tasso di inflazione, mentre i governi hanno molti altri strumenti per migliorare il tasso di disoccupazione e accrescere il dinamismo dell’economia. Nessuno vuole che ogni singola branca del governo faccia il giocoliere con tutti gli obiettivi dello Stato. Si vuole una specializ­zazione”.

D.: Secondo Lei la Fed ha avuto un ruolo ed una performance migliori della Bce nel tentare di risolvere e controllare l’incertez­za dei mercati finanziari?

R.: “La Fed ha commesso degli errori, ma questo è inevita­bile quando si opera in condizioni di estrema novità ed incertezza. Mi sembra che negli ultimi nove, dieci mesi la Fed abbia fatto bene. Ma, quando i consumi toccano livelli così bassi, allora spetta alla Fed portare i tassi di interesse ad un livello più normale. Attualmente sono insostenibili. È bene avere tassi di interesse bassi se si crede che l’attuale situazione occupazionale sia temporaneamen­te depressa. Ma non sappiamo se l’occupazione è ‘temporaneamente’ depressa. Potrebbe ridursi in modo permanente. In questo caso ho bisogno che qualcuno mi spieghi qual è lo scopo di un basso tasso di interesse!”.

D.: In conclusione, un argomento che Le sta molto a cuore: l’Afghanistan. Qual è la situazione e quali le prospettive?

R.: “Lavoro sull’Afghanistan ogni mattina ed ogni pomeriggio, ormai! E’ necessario portare l’economia fuori dal circolo vizioso del business dei produttori di droga, riconvertendo le colture in maniera tale che la gente possa trarne profitto ed iniziare una nuova attività. Questo è il grande problema dell’Afghanistan. Realmente importante non è decidere se i militari lasceranno il Paese e nemmeno costruire una piena democrazia. La cosa veramente prioritaria è che l’Afghanistan abbia adeguate istituzioni economiche e dia vita ad un’economia fiorente, dove la gente possa intraprendere nuove carriere e sviluppare pienamente i suoi talenti”.

EDMUND PHELPS
Premio Nobel per l’Economia 2006
Anna Mazzone

Direttore Responsabile www.formiche.net

 

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