La 180 nelle scuole: roba da matti.

Gli studenti dell’Istituto “Caterina Percoto” di Udine hanno definito attraverso un questionario le possibili caratteristiche di una persona malata di mente: l’imprevedibilità delle sue azioni, il sottrarsi alle responsabilità, la pericolosità e mostrando materiali documentari sulla storia e le trasformazioni in Italia in questi ultimi 50 anni, il vecchio e il nuovo della psichiatria

Nel 1982, Franca Ongaro Basaglia diceva “sarebbe bello che le storie della psichiatria iniziassero: c’era una volta il manicomio…ma ci vorrà ancora tempo”. Dal 2000, in Italia, unico paese al mondo, ciò si può dire: i manicomi, nati per “curare” e poi diventati luoghi di violenza e segregazione, non ci sono più. Una grande conquista civile: la follia, svuotata del suo significato di parte della vita e di noi, affidata alla psichiatria come oggetto del suo sapere, negata nel suo valore di linguaggio e mezzo di conoscenza, non è più confinata in quegli spazi, simbolici e materiali, ormai desertificati e riciclati.

Ma, spariti i manicomi, non è sparita la manicomialità, modo e stile, tipicamente asilare, di avvicinare e rapportarsi all’altro. Questa c’è ancora, a volte nei nuovi servizi o altrove, nelle corsie, pronto soccorso, scuole, aule giudiziarie, famiglie. Forse anche in noi stessi  come tendenza alla rigidità, a disprezzare l’altro, a mantenere e coltivare a priori privilegi non dovuti e non verificati. Non è sparita nemmeno l’immagine del matto ritenuto imprevedibile, strano, dai discorsi incomprensibili, irritabile, anche violento, e, per questo, spesso allontanato dal mondo dei cosiddetti sani; sopravvive ancora, riflessa dallo specchio deformante del manicomio.

Il risultato “naturale” non può che essere: il “matto” è irrecuperabile, pericoloso, cronico. Tutto ciò fa parte del senso comune, di ciò che ci è davanti in modo così ovvio che vederlo è quasi impossibile. “L’ultima cosa di cui si accorge un pesce è l’acqua in cui vive”. Il nostro lavoro post 180 va affiancato da una paziente e capillare informazione su queste credenze, sensibilizzando, quasi “porta a porta”, operatori sanitari, assistenziali, associazioni, enti, istituzioni, ma anche singoli cittadini. Abbiamo scelto il mondo della scuola, luogo di formazione dei cittadini di domani, dell’incontro, del confronto, dell’apprendimento, decisivo per lo sviluppo e formazione delle identità. Abbiamo incontrato gli studenti dell’Istituto “Caterina Percoto” di Udine.

Abbiamo proposto un questionario con le possibili caratteristiche di una persona malata di mente, l’imprevedibilità delle sue azioni, il sottrarsi alle responsabilità, la pericolosità. Abbiamo mostrato materiali documentari sulla storia e le trasformazioni in Italia in questi ultimi 50 anni. Il vecchio e il nuovo della psichiatria. Abbiamo narrato la storia di Narcisa. Sposata in seconde nozze con un contadino vedovo, aveva partorito un figlio. Qualche giorno dopo era caduta in quella che ora chiamiamo depressione post partum, situazione talvolta anche grave ma che, se curata e assistita bene e subito, si risolve positivamente. Invece finisce in manicomio e ci resta fino alla morte. Abbiamo mostrato alcune foto dell’archivio del manicomio di Arezzo.

Narcisa, ancora abbastanza giovane e forte, è senza nulla addosso, nuda. Cerca di coprirsi con il materiale in cui è stata abbandonata, alghe, arrivate dall’Adriatico, unica sostanza così inerte da potere stare a contatto di persone ritenute così pericolose che qualunque contatto con altro è a rischio. Dirà molti anni più tardi a chi le chiederà cosa pensa di questa sua vita perduta: ”è giusto che mi abbiano messa lì e anche alle alghe. Sono stata cattiva, nè una brava moglie, nè una brava madre.” La violenza del manicomio su chi vi era rinchiuso non era solo palese, ma subdola e strisciante. Qualcosa è avvenuto nella “testa dei ragazzi”. Allo stesso questionario, somministrato al termine degli interventi, gli studenti hanno risposto in modo significativamente differente, passando alla percezione, non più sul “sentito” dire e sull’immaginazione, ma su fatti e conoscenze di realtà: è una persona, anche se diversa.

Non è il suo cervello che si ammala, ma la mente, la quale non è nella scatola cranica, ma fuori, nelle relazioni più prossime. Non sbaglio nell’immaginare che ora questi ragazzi avranno della questione follia un punto di vista “altro”, che li porterà a considerare la diversità, il patologico, l’anormale, con meno pregiudizio e paura. Che la 180 non è solo aver sostituito a una terapia un’altra, migliore, il cosiddetto progresso della scienza, gli psicofarmaci, ma la riacquisizione dei diritti e la riconsiderazione complessiva dell’umanità dei malati e dei sani. “Non possono essere i tecnici i soli protagonisti della riabilitazione e della cura del malato, ma i soggetti di questa riabilitazione devono essere il malato e il sano, che solo diventando i protagonisti della trasformazione della società in cui vivono possono diventare i protagonisti di una scienza le cui tecniche siano usate a loro difesa e non a loro danno” diceva Basaglia (1979). La responsabilità di questa impresa non è solo degli operatori che ci hanno creduto e continuano a crederci, ma collettiva e, soprattutto, dei giovani.

Luigi Attenasio
Direttore Dipartimento.Salute Mentale Asl Roma C

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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