BALCANI: la responsabilità delle guerre sulla salute mentale

Tante volte ci si è chiesti quali siano le ragioni del fallimento delle democrazie liberali negli stati dei Balcani. Forse una risposta sta alla radice stessa del termine “democrazia”: in essa infatti la vera spinta al cambiamento viene sempre dal basso, con la gente che partecipa, che vuole costruire il proprio futuro. Ma in paesi che hanno conosciuto 50 anni di regime e un decennio di guerre, c’è un male subdolo che ancora si trascina: è l’apatia, la non-partecipazione. Generazioni intere sono state abituate a ricevere sempre ordini dall’alto: si chiamasse Stato, partito o esercito, c’era sempre qualcuno che decideva cosa fare, mentre tutti gli altri eseguivano, senza discutere.

Questo effetto perverso ancor oggi non è svanito; ed è questa forse la causa maggiore del malfunzionamento delle democrazie nei Balcani. E’ così ad esempio in Serbia: la gente non partecipa, non crede nelle possibilità di generare un cambiamento dal basso. Le strutture statali di conseguenza non sono realmente “democratiche”: la voce della società civile nei processi decisionali è inesistente, le azioni di advocacy per far valere nuovi diritti o idee sono debolissime. Pochi decidono, senza ascoltare i molti. Ma soprattutto, i molti non sanno nemmeno che hanno la possibilità e la forza di far sentire la loro voce. Il settore della salute mentale serba in questo senso è un esempio lampante. Da una parte chi decide: medici, politici, professori universitari. Dall’altra chi accetta le decisioni prese, qualsiasi esse siano: i pazienti e le loro famiglie. Succede così che vengano approvate leggi, scritte strategie, finanziati interventi nel settore della salute mentale serba senza aver mai sentito un parere dei pazienti o delle loro famiglie. Cioè di coloro che hanno il problema o che con esso ci convivono quotidianamente. Ma non sono le elite ad essere sorde, è la base ad essere muta. Associazioni di pazienti o di famiglie non ne esistono: nemmeno una, in tutta la Serbia.

Nessuno si fa carico di promuovere i diritti dei malati e delle loro famiglie, nessuno sa alzare la voce davanti a scelte sbagliate. Caritas Italiana, attiva oramai da anni in Serbia sulla salute mentale, propone allora un nuovo approccio al problema della tutela dei pazienti e dei loro familiari: lo sviluppo della partecipazione di base, l’accompagnamento di chi vuole attivarsi per far valere i propri diritti. Per la prima volta vengono attivati gruppi di auto mutuo aiuto, viene fatto capacity building con le neonate associazioni, si promuovono azioni di advocacy sui temi fondamentali. Si vuole dare l’esempio che un altro modo di costruire i processi decisionali è possibile, che muoversi dal basso può dare grandi risultati. Con un’opera-segno che, partendo dal settore salute mentale, possa parlare a tutta la società civile.

  Daniele Bombardi
Coordinatore progetti di Caritas Italiana in Serbia e Bosnia Erzegovina

 

                                                                                                                                                                                            

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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