Così è scomparso il senso dell’infanzia

La televisione, obbligando i bambini ad assistere a situazioni alle quali non sono preparati, sconvolge i loro ritmi affettivi e cognitivi. E se è vero che molto è stato fatto sia dalla normativa nazionale ed europea che dagli organismi preposti a tutelare i minori dagli effetti negativi di programmi ed immagini non adatti a loro, è anche vero che sono ancora molte le trappole invisibili e subdole che si nascondono in questo mondo.

Basta scorrere alcune cifre contenute nelle analisi conoscitive condotte dal Centro Studi Minori e Media sull’uso fatto dai nostri ragazzi di quelli che oggi vengono definiti i nuovi media per rendersi conto di quanto sia cambiata la loro vita negli ultimi dieci anni e di come questo processo di cambiamento stia sempre più accelerando la sua evoluzione. Il rapporto tra i minori e i media, quelli tradizionali, ma soprattutto i nuovi media: internet, videogiochi, cellulari è sempre più stretto e sempre più determinante per la loro crescita, che noi vorremmo sana e armoniosa e che talvolta è invece condizionata negativamente come ci documentano purtroppo le cronache che riportano, sempre più spesso, episodi significativi di bullismo, di disagio e di devianza minorile. Ma vediamo di approfondire qualche aspetto del rapporto tra il bambino e l’adolescente con i mezzi mediatici che possono essere, e sono, strumenti preziosi di conoscenza, di crescita e di comunicazione, soddisfacendo in tal caso il loro diritto di informazione e di libera espressione del pensiero e che, se usati invece in modo improprio e incontrollato, possono tramutarsi in pericolosi percorsi di disadattamento, isolamento e perdita del senso della realtà. Se è vero che i nostri ragazzi, come li ha definiti Newsweek, possono essere considerati dei bambini bionici, che passano più tempo davanti alla tv e in compagnia di un videogioco piuttosto che leggere un libro e giocare con i compagni, se è vero che fanno amicizia e litigano a colpi di sms, che ascoltano musica con l’ipod e sul pc e che navigano e chattano in rete tutti i giorni, bisognerà affrontare il problema degli aspetti positivi e di quelli negativi di tutto questo per arrivare a privilegiare i primi e neutralizzare gli altri. Parlando di media vecchi e nuovi non si può tralasciare il rapporto tra bambini e adolescenti e quello che è considerato lo strumento mediatico più tradizionale, la tv, anche perché questo è certamente il loro primo contatto col mondo mediatico. L’immagine che ci viene alla mente pensando al bambino di fronte alla televisione è quella di un piccolo, parcheggiato per qualche ora del giorno davanti a questa scatola nera, intento a vedere – speriamo – cartoni animati o programmi a lui dedicati, spesso solo nella stanza perché la mamma e il papà, se collaborativo, sono intenti a preparare la colazione e a vestire gli altri fratelli più piccoli da portare a scuola o al nido la mattina, o sono al lavoro il pomeriggio.

Il bambino e l’adolescente si trovano così a confrontarsi con una realtà vera o virtuale che può essere talvolta cruda e violenta e che, se non è mediata dalla presenza di un adulto che sia per il minore rassicurante e capace di fargli distinguere il buono dal cattivo, la realtà dalla fantasia, può sconvolgerlo e lasciare tracce profonde nella sua psiche in via di crescita e di evoluzione, con conseguenze rilevanti nella sua formazione culturale, etica e sociale. Già negli anni ’70, Postman nel bel saggio La scomparsa dell’infanzia, denunciava un cambiamento sociale determinato dall’uso della televisione: la scomparsa del senso dell’infanzia, quale noi abbiamo conosciuto, dove trovava spazio la crescita, l’ingenuità e il gioco. La televisione, obbligando i bambini ad assistere a situazioni alle quali non sono preparati, sconvolge i loro ritmi affettivi e cognitivi. E se è vero che molto è stato fatto sia dalla normativa nazionale ed europea che dagli organismi preposti a tutelare i minori dagli effetti negativi di programmi ed immagini non adatti a loro, è anche vero che sono ancora molte le trappole invisibili e subdole che si nascondono in questo mondo. Il Codice di autoregolamentazione tv e minori, sottoscritto dai principali network pubblici e privati e divenuto legge con il suo inserimento nella normativa sull’assetto audiovisivo, e il relativo insediamento del Comitato per la sua applicazione, hanno contribuito ad una sensibilizzazione degli operatori del settore e, cosa altrettanto se non maggiormente importante, anche del pubblico televisivo. Anche le commissioni istituite dal ministero nell’ambito del contratto di servizio con la RAI, per vigilare sull’adempimento del suo ruolo di servizio pubblico, hanno prodotto effetti positivi con la loro moral suasion fatta di vigilanza e di ausilio alla programmazione per i minori. Tuttavia, l’insidia più pericolosa nei loro confronti non è nella programmazione per ragazzi o nelle fasce protette, dove troviamo spesso programmi divertenti e formativi, bensì nei programmi dedicati agli adulti, seguiti anche dai bambini e dagli adolescenti che non vanno più a letto dopo Carosello. Alcuni di questi programmi, collocati in prima serata, possono provocare ai minori un danno psicologico enorme anche se sono presenti gli adulti. Ci riferiamo, in particolare, a quella tv che è stata autorevolmente definita, via via, demenziale, volgare, deficiente e culturalmente disprezzabile, che insinua nella mente e nel cuore dei ragazzi un’idea del mondo che è sbagliata, priva di valori considerabili e condivisi dalla nostra civiltà. Per non parlare della deprimente immagine femminile sempre più riconducibile allo stereotipo vincente delle veline, che può costituire un modello e un esempio per le nostre adolescenti. Un insegnamento negativo, zeppo di disvalori, che mina alla base tutta quella costruzione che gli educatori, la famiglia e la scuola hanno cercato di edificare per il bambino fin dalla sua nascita.

Via via che il bimbo cresce lo vediamo però sempre meno davanti alla tv e sempre più attratto e coinvolto dai nuovi strumenti mediatici: internet, videogiochi, cellulari, che impara a usare naturalmente fin dalla più tenera età, sopravanzando i genitori in abilità e competenza.

Il videogioco è diventato per l’adolescente lo svago praticato maggiormente nel tempo libero, un compagno presente e sempre più pervasivo che ha cambiato il suo stile di vita. Alcuni dati ricavati dall’indagine sui videogiochi, condotta dal Centro Studi Minori e Media su un campione significativo di alunni di 39 scuole scelte in otto regioni italiane, sono da valutare con attenzione. Apprendiamo così che un ragazzo su quattro gioca più volte al giorno, complessivamente da un’ora a tre ore, che preferisce i giochi di avventura e sport, ma chi gioca di più preferisce quelli di combattimento; che un ragazzo su due gioca da solo, e un ragazzo su quattro ha giocato on line con sconosciuti. Di questi il 7,5% ha anche incontrato le persone conosciute on line. I maschi, che giocano di più, si identificano più spesso nelle storie e pensano spesso alle mosse da fare nel gioco preferito. La vittoria o la sconfitta nel gioco condiziona l’umore di un ragazzo su due e che questo sia vero lo confermano anche le risposte che hanno dato sul loro coinvolgimento emotivo dichiarando candidamente “quando gioco divento aggressivo”, oppure “sono calmo all’inizio, se in difficoltà mi arrabbio”, o anche “provo rabbia/frenetica gioia” e così via. Come si vede, quest’ultimo elemento deve far riflettere sugli effetti che taluni videogiochi, specie se violenti o pieni di disvalori possono avere sull’equilibrio psichico del bambino, facendogli perdere la capacità di distinguere il bene dal male, il reale dal virtuale e stimolando i soggetti più vulnerabili o predisposti all’aggressività ad emulare i protagonisti delle storie. C’è tuttavia anche chi sostiene che il videogioco violento serve a scaricare l’aggressività, che può essere nocivo o innocuo a seconda dell’uso che se ne fa, e che vivere e drammatizzare nel gioco le pulsioni più violente significherebbe acquisire la capacità di gestirle nella realtà. E’ comunque da condividere l’opinione generale che anche nei confronti del videogioco, come già per la televisione e internet, il minore non vada lasciato solo, che i genitori debbano prendersi la responsabilità di controllare, soprattutto per i più piccoli, che il videogioco che comprano e scaricano dal pc sul cellulare sia adatto alla loro età, che magari imparino a giocare con i loro figli mediando il gioco più problematico o mentalmente più pericoloso con la loro presenza rassicurante. In tal caso, il videogioco potrà essere considerato quello strumento di apprendimento e di stimolazione intellettiva e sensoriale che può essere in effetti, divenendo, in molti casi, un prezioso supporto didattico in scuole, accademie e persino università. Ma è certamente il cellulare, tra i nuovi media, il balocco più amato, desiderato e posseduto dai ragazzi nella quasi totalità. Sono a dir poco impressionanti i dati che si ricavano dall’ultima indagine fatta dal Centro Studi Minori e Media su un campione di 4000 fra alunni e genitori nelle scuole elementari, medie e superiori di venti città in dieci regioni italiane, presentato nel dicembre 2007. L’80, 6% degli alunni ha almeno un telefonino proprio e il 20% ha addirittura 2 o 3 cellulari. Alle elementari, l’80% degli alunni ha un proprio cellulare e tra i ragazzi delle scuole superiori solo 6 su 827 non lo possiedono. L’età per il primo cellulare si sta rapidamente abbassando, addirittura a 4 anni, e l’età media per i bambini delle elementari è 9 anni. Colpisce anche il costo medio sostenuto per l’acquisto del telefonino: 172 euro. Quindi non si accontentano dei modelli più semplici, soprattutto i più grandi, e anche il costo del traffico telefonico è elevato. Un quarto dei ragazzi intervistati spende tra i 20 e i 50 euro al mese, i più grandi spendono di più: il 20% del biennio superiore spende più di 50 euro al mese. Ma anche il 9% dei bambini delle elementari spende più di 50 euro al mese. L’uso che ne fanno è rilevante: il 50 % dei ragazzi dichiara di usare il cellulare più di un’ora al giorno mentre i genitori pensano invece che lo usino molto meno.

Ma cosa ci fanno con questo cellulare? Fanno in media 4 telefonate al giorno, il 35% manda più di 5 sms, più del 30% usa internet per scaricare file da mettere sul cellulare, il 15% lo usa per fare video o foto da mandare in rete. Il 70% conosce YouTube, dove ha mandato video propri o dei propri amici. A questo proposito non possiamo dimenticare quelle immagini, riportate dalla stampa, di insegnanti e compagni, magari disabili, dileggiati, malmenati e messi alla gogna su YouTube. Documenti inequivocabili di miserabile bullismo che speriamo la Polizia postale possa debellare con multe sempre più salate. In complesso i ragazzi ritengono che i cellulari servano a favorire la vita di relazione: il 32% dei ragazzi e il 25% delle ragazze lo ritiene uno strumento utile a fare nuove amicizie, mentre il 50% lo ritiene necessario per consolidare i rapporti esistenti. Alla domanda fatta ai genitori: perché hanno permesso ai figli di avere un cellulare, la metà risponde: “Per motivi di sicurezza, così so sempre dove è mio figlio”. E a questo proposito ci viene in mente quella graziosa ragazza in età scolare, seduta in treno di fronte a noi, che, parlando con la madre, le raccontava di essere a scuola. Ci coglie il sospetto che questa voglia di collegamento continuo col figlio costituisca per molti genitori un alibi per soffocare i sensi di colpa per una loro presenza fisica e affettiva talvolta carente. Gli stessi genitori che non pensano tuttavia, comprando i telefonini per i figli, di bloccare l’accesso ai programmi a “contenuto sensibile”, cioè erotico sessuale. Ma il dato più preoccupante è quello relativo all’uso del cellulare in classe. Il 40% degli alunni tiene il cellulare acceso, nonostante la normativa vigente lo vieti, e lo usa per mandare e ricevere messaggini durante le lezioni o per scambiarsi o farsi fare compiti in classe, con evidente nocumento dell’apprendimento e del rendimento scolastico. Molti di loro dichiarano del resto, spavaldamente, che avendo più di un cellulare, possono bene tenerne uno spento sulla cattedra o sul banco e uno acceso con il silenziatore. Viene fatto di domandarsi: sarà anche per questo che la scuola italiana sta arrivando agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi europei? Per concludere questo rapido excursus sul rapporto tra i minori e i media non c’è dubbio che vanno programmate e realizzate tutte le azioni volte a rendere sicuro e proficuo questo rapporto nell’interesse del minore, che deve poter usare questi media con tranquillità, arricchendo le sue conoscenze e trovando in essi uno strumento di crescita. In questa direzione bisogna affiancare ed aiutare i naturali referenti dell’educazione del minori, gli insegnanti e i genitori, a lavorare insieme, a riflettere insieme su questi dati, a trovare insieme il modo per avviare i ragazzi ad un uso consapevole e critico di questi strumenti. Bisogna fare di queste tematiche materia di formazione per gli insegnanti e per i giornalisti, dare attuazione concretamente alla legislazione che già esiste e recepire velocemente l’ultima direttiva della comunità europea, la numero 2007/65/CE, dell’11 dicembre 2007, che, tenendo conto dello sviluppo delle nuove tecnologie, riordina tutta la normativa comunitaria nel campo mediatico, raccomandando una particolare attenzione nei confronti dei minori e chiedendo agli stati membri di introdurre in tutti i servizi di media audiovisivi, incluse le comunicazioni commerciali, norme per la tutela dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minori.

Laura Sturlese
 Presidente del Centro Studi Minori e Media

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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