“Abbi compassione della città”

Crescenzio Sepe

 Il 25 gennaio 2008 nel duomo del capoluogo partenopeo si è tenuto un incontro di preghiera per implorare l’aiuto dell’Altissimo nell’emergenza rifiuti. Nel suo discorso il vescovo, Crescenzio Sepe, ha detto che “nessuno può chiamarsi fuori dallo scempio di una città, mai così umiliata e mai così in pericolo: troppi sacchetti neri insudiciati dagli egoismi, dalle inadempienze, dalle incapacità e – Dio non voglia – dalle connivenze con il malaffare, sono andati ad ammassarsi come rifiuti, sporcando non solo le mani ma anche la coscienza”

Cari fratelli, care sorelle, ancora una volta, come pastore di questa cara e tormentata terra, vi ho chiamato a raccolta in questa nostra cattedrale: in questo momento estremamente drammatico è urgente il bisogno di pregare insieme per la salvezza di questa città, per la sua coscienza. Dal profondo del cuore imploriamo l’Altissimo con le stesse parole, sempre attuali, della Sacra Scrittura: “Signore, abbi compassione della città” (Sir. 36, 12). Solo pochi mesi fa, durante il meeting sulla pace, quando il Santo Padre ha visitato la nostra terra, eravamo fieri di noi, della nostra Napoli, della nostra regione, finalmente alla ribalta di una cronaca che le ha fatto onore. Sebbene la catastrofe fosse già da tempo annunciata, mai avremmo pensato, in quegli indimenticabili giorni di ottobre, che di lì a poco, all’inizio del 2008, la città sarebbe sprofondata in una delle notti più buie della sua storia. La tragedia dei rifiuti ha portato di nuovo Napoli e tutta la Campania sulle prime pagine dei giornali e delle televisioni di tutto il mondo con fotografie e titoli impietosi, che tuttavia denunciano una realtà impossibile da giustificare. La Chiesa di Napoli sente la gravità del momento ed è per questo che la preghiera viene sulle labbra, così come fluisce dal cuore un moto dell’anima che non si ferma alle parole, ma va in cerca delle vie profonde per tracciare un cammino nuovo. La Chiesa non ha paura di sporcarsi le mani. Si riunisce intorno all’altare sospinta da un dramma che, mentre richiama scenari biblici, ci pone di fronte ai guasti di un’opulenza sregolata e ingannevole, frutto avvelenato di una modernità malata. E l’altra beffa di Napoli è il fatto che la spazzatura, come emblema del superfluo, non esprime le condizioni del momento, segnate, semmai, da una crisi economica e produttiva che porta altre inquietudini nelle famiglie e insidia il futuro di tanti giovani. I rifiuti non sono la corteccia da mettere via alla società del benessere, ma rappresentano sempre più il simbolo della sua escrescenza, un tumore maligno che aggredisce e devasta. Devasta, a Napoli, un corpo già malato, fiaccato da troppi mali, ma ancor più da un cumulo di diagnosi sbagliate.

Questa città, perennemente sotto esame, sembra ormai sfinita, senza più energie. È di fronte, da troppe settimane ormai, alla sua ennesima emergenza, un vocabolo triste e bugiardo, quasi un’etichetta appiccicata addosso alla sua storia millenaria.

A Napoli tutto è emergenza! Quante volte abbiamo sentito o letto questa frase, che vale – né più né meno – come una forma di condanna, perché azzera e toglie dalla vista il corso ordinario delle cose, ritenuto ormai impraticabile in un territorio che dall’emergenza è stato consumato. La Chiesa di Napoli, riunita oggi in preghiera, avverte così una primordiale esigenza: proclamare che non è emergenza, invece, la preghiera, perché senza di essa le sue parole sarebbero vuote e la sua azione, anche la più incisiva e generosa, la porrebbe alla pari di qualsiasi altro organismo di pronto soccorso sociale. È la preghiera che abilita il nostro impegno e ci induce a considerare le nostre responsabilità e, se esistono, anche le nostre colpe. Nessuno può chiamarsi fuori dallo scempio di una città, mai così umiliata e mai così in pericolo, come in questi giorni: troppi sacchetti neri insudiciati dagli egoismi, dalle inadempienze, dalle incapacità e – Dio non voglia – dalle connivenze con il malaffare, sono andati ad ammassarsi come rifiuti, sporcando non solo le mani ma anche la coscienza.  Di fronte a tanta devastazione la Chiesa, la Chiesa di Napoli, non può tacere. Essa è chiamata in causa come in ogni momento in cui si manifestano dolorose difficoltà. Un’acuta e amara sofferenza, un lutto al cuore ci spinge a gridare: “Basta!”.  In questa città, che per la tua benevolenza, o Signore, è ricca di straordinarie bellezze naturali, ricca di sane energie di storia, di sante tradizioni, “il tuo argento è diventato scorie!” (Is. 1, 22). Questa parola di Isaia non concede alibi, proprio così: l’argento è diventato scorie, come tutto ciò che sta sporcando e infangando l’immagine e il tessuto profondo della nostra terra. Un sentimento estremo di rammarico e di afflizione, di fronte ad una Napoli agonizzante, opprime il nostro cuore. Vorremmo poter scavare con le nostre stesse mani tra i cumuli di immondizia per dissotterrare la verità di questo terribile scempio. Abbiamo il dovere noi tutti, come singoli cittadini, di assumerci le nostre responsabilità e riconoscere le nostre colpe, perché anche noi, che adesso sdegnati protestiamo contro le montagne di spazzatura che sovrastano le nostre strade, che impediscono ai nostri figli di andare a scuola, abbiamo contribuito a questo scempio ogni volta che abbiamo depositato i nostri sacchetti dell’immondizia a tutte le ore del giorno e della notte, ogni volta che abbiamo abbandonato in strada, senza alcuna decenza, qualsiasi cosa; ogni volta che siamo rimasti in silenzio di fronte al massacro della nostra città perché i cumuli di spazzatura invadevano i quartieri degli altri e non il nostro. Signore, “Abbi compassione della città” (Sir. 36, 12). Questa invocazione richiama tutti e ciascuno al dialogo, alla ragione, alla retta coscienza.  O Dio, nostro Padre, tendi la tua mano sopra di noi e purifica le nostre scorie” (Is. 1, 25).

È un momento grave e la Chiesa sceglie la strada della preghiera perché è questo il suo corso ordinario, è questa la sua norma di vita. È l’amore a Dio che determina la Sua presenza misericordiosa tra gli uomini e le donne di ogni tempo. Volgiamo pertanto lo sguardo a Lui, chiediamo che sia fatta la Sua volontà, perché la volontà di Dio non è lo scempio del creato e tanto meno lo smarrimento, l’odio e la violenza che si sta manifestando anche tra noi e nelle nostre terre. La volontà di Dio è l’amore salvifico di Gesù; ed essa si manifesta in una terra abitata dalla fede in Lui, percorsa dalla speranza che tutto torni nelle Sue mani buone e nella carità di uomini e donne capaci di perdono e riconciliazione. Capaci di esercitare una giustizia che riconsegni a tutti la dignità dell’esistenza. La preghiera purifica il cuore e anche le parole, alla luce di una verità che non può essere taciuta. La drammaticità dei nostri giorni impone il coraggio della verità. Sì, fratelli miei, ha commesso peccato grave chiunque ha provocato questo scempio. Ma il Signore è pronto a ricevere la nostra contrizione se noi siamo pronti a chiedere perdono dal profondo del cuore e non solo a parole, se accompagniamo la nostra richiesta con gesti e atteggiamenti che mettano in luce la nostra conversione. Convertirsi è anche ritornare a uno stile di vita che faccia tesoro dell’etica dell’essenziale, che ripristini il tempo delle cose semplici e veramente utili, perché è nocivo all’uomo e all’ambiente tutto ciò che è superfluo. Riscoprire l’etica è come fare pulizia e mettere ordine nella nostra coscienza. Ma l’etica non si coniuga solo al singolare e sarebbe ora che tornasse a scorrere, come linfa vitale, nelle arterie di una politica tramortita e ormai isterilita dai suoi stessi vizi. Non occorre pronunciare condanne o alzare contro di essa il dito accusatore. Cumuli di rifiuti che invadono le nostre strade sono i plateali corpi di reato che testimoniano il fallimento lungo tutta la filiera nazionale e locale di una forma di servizio che raramente si è resa tale e ha contribuito anzi ad aggravare – attraverso dispute incomprensibili e miseri rimandi di responsabilità – un clima già teso ed esasperato. Signore, “Abbi compassione della città” (Sir. 36, 12). Ora sappiamo che è peccato grave, ed è bene  ricordarlo, sporcare il giardino di Dio.Ora che questa ennesima piaga deturpa la nostra città, ancora di più abbiamo il sacrosanto dovere di farci tutti parte  attiva perché tutti, ma veramente tutti, possiamo e dobbiamo recuperare la nostra dignità. E su tutto c’è ora un’esigenza che sovrasta ogni altra. Fare presto! Non c’è più un minuto da perdere!

Di fronte all’ennesimo piano, predisposto in queste ore, lo scetticismo non è certo scomparso. Ma, nel nome di Dio, imploro tutti voi, cittadini e fratelli di Napoli e della Campania a rendere possibile l’impossibile di queste settimane tragiche e amare. Non potremo contare ancora a lungo giorni come questi, se non mettendo a rischio tutto il nostro futuro. È necessario ora che il senso di responsabilità non solo superi, ma sovrasti anche i sentimenti che la devastazione ha già messo in campo: l’indignazione, l’ira e quel senso di umiliazione che sembra appiccicato addosso a chi è più vicino al creatore dello scempio. Troppi pericoli sono in agguato. La salute, e non solo. Basterebbe il timore, già così largamente paventato, di epidemie, a far scattare l’allarme. Un fatto appare sempre più chiaro e lampante: siamo di fronte a un problema che tocca tragicamente Napoli ma che riguarda tutto il Paese. E c’è da aggiungere con forza che neppure oggi, pur ridotta in tali condizioni, Napoli può essere considerata come la malattia endemica di cui soffre l’Italia. Tentazioni di questo genere sono, queste sì, spazzatura impossibile finanche da riciclare. Sarà difficile ricevere la solidarietà di tutti in questa situazione e sarebbe grave se chi, potendoci aiutare, non lo facesse per egoismo, per interessi di parte. Ma ancora più grave sarebbe se noi non ci rimboccassimo le maniche, se non trovassimo il coraggio di liberarci da quella iniqua condizione di disfattismo distruttivo, che, sepolta sotto l’immondizia, soffoca il desiderio di riscatto. Napoli, lo grido con forza, la nostra adorata Napoli, la nostra martoriata Napoli, la nostra generosa e sofferente Napoli, non si salverà se Napoli non ha voglia di salvarsi. Rialzati Napoli! Grida forte il tuo tormento, ma non lasciarti vincere dal tuo dolore. Chiediamo l’intercessione di Maria Santissima, Madre e Regina di Napoli, e del nostro santo Patrono, S. Gennaro, che è stato sempre vicino alla nostra città quando ha dovuto superare momenti difficili e pericoli incombenti.

“Esaudisci, Signore, la supplica dei tuoi servi. Per la benevolenza che hai con il tuo popolo. Riconoscano tutti sopra la terra. Che tu, Signore, sei il Dio dei secoli”  (Sir. 36, 16-17)

Amen!

Crescenzio Sepe
Cardinale, Arcivescovo di Napoli

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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