Immigrati, una minaccia per metà degli italiani

Nel dibattito mediatico il concetto di sicurezza viene ricondotto al fenomeno della criminalità ma viene percepito anche in relazione a nuove fonti di incertezza e rischi  quali degrado dell’ambiente, la precarietà lavorativa e altro ancora

Per nove italiani su dieci la criminalità è cresciuta nel nostro paese nel corso dell’ultimo anno. Per quasi la metà (47%) gli immigrati rappresentano una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico. è quanto emerge da un’indagine sulle paure degli italiani realizzata da Demos – e curata dal sociologo Ilvo Diamanti – per la Fondazione Unipolis e presentata a Bologna lo scorso 17 dicembre. Da questa ricerca, svolta tramite sondaggio telefonico su un campione rappresentativo della popolazione italiana, si apprendono alcuni altri dati degni di interesse. Uno di questi è che, seppure il concetto di sicurezza nel dibattito pubblico mediatico sia inteso quasi sempre come sinonimo di difesa personale e, di conseguenza, venga ricondotto al fenomeno della criminalità, in realtà esso è percepito e riempito di significati anche in relazione a nuove fonti di incertezza e rischi (degrado dell’ambiente, precarietà del lavoro ecc.), che assumono un rilievo talvolta superiore a quello legato alla criminalità. Tuttavia la criminalità, ma sarebbe meglio dire la percezione di essa, resta tra i principali indici in tema di sicurezza. Diverse ricerche (ad esempio, Bandini T., Gatti U., Marugo M. I., Verde A., 1991; Traviani G. V., 2002) hanno dimostrato, infatti, come la paura della criminalità sia spesso indipendente dal reale grado di delinquenza presente in una determinata area e sia fortemente correlata ad altri fattori, quali l’età dell’intervistato, il luogo di residenza, il sesso e, in buona parte, le rappresentazioni offerte dai mass media dei comportamenti criminali. Se è certamente ingenua – e da tempo superata – la visione dei mezzi di comunicazione di massa come di potenti formatori delle coscienze e demiurghi delle convinzioni collettive, poiché occorre considerare l’esposizione selettiva dei fruitori e altri molteplici elementi soggettivi e contestuali che influiscono sulla ricezione, comprensione e valutazione dei messaggi, non si può non considerare il loro importante ruolo nel determinare i temi del dibattito pubblico (potere di “agenda setting”) e nel diffondere immagini e opinioni, pregiudizi e stereotipi. Ciò avviene, da un lato, in modo “naturale”, vale a dire a causa del loro stesso funzionamento. Finestre sul mondo o buchi della serratura, a seconda di come li si voglia considerare, i media devono in ogni caso fare i conti con spazi limitati – tre colonne di un quotidiano, un minuto e mezzo di un servizio radiofonico, due ore di fiction televisiva – che richiedono un’irrinunciabile operazione di selezione e sintesi, dalla quale ne esce colpita la complessità della realtà presentata, che non è più “realtà” ma immagine parziale di essa. Un difetto congenito, che si rivela tanto più pericoloso quanto più complessi sono i temi del “taglia e cuci” mediatico.

Non tutte le colpe, tuttavia, si possono dare ai mezzi: dietro a essi ci sono sempre delle persone, alle quali spettano le scelte e dalle quali è lecito attendersi un operare intelligente e riflessivo, il meno possibile superficiale. Alle quali, ad esempio, spetta il compito di garantire una rappresentazione degli stranieri nei media che eviti ogni forma di discriminazione, di approfondire le caratteristiche strutturali di un fenomeno complesso, qual è quello dell’immigrazione, per comprenderlo nei suoi aspetti di “normalità”, di considerare ciascuna persona come tale prima di identificarla con una categoria che, per sua natura, non può che essere riduttiva. Ma dalle quali, purtroppo, spesso capita di sentire un linguaggio più emotivo che razionale, che usa le parole come bolle di sapone da far scoppiare in faccia per il gusto della stupefazione, o di vedere rappresentati milioni di stranieri, con volti e vite estremamente diversi, alla stregua di una minoranza che delinque, dandoci così modo di proiettare e ingigantire i fantasmi deformati dei nostri timori nei confronti dell’altro sconosciuto, per poi riempirci di paura e diffidenza fino al colletto della camicia. Titoli urlati e poco coerenti ai testi relativi, focus su aspetti patologici delle storie, collocazione delle notizie sugli immigrati esclusivamente nelle pagine di cronaca nera, problemi poco approfonditi ma quasi sempre seguiti da soluzioni tanto radicali quanto semplicistiche… Sono numerose le vie della cattiva informazione, ma una è la principale: la mancanza di completezza e di molteplicità dei punti di vista. In attesa di mass media che siano in grado di raccontare gli altri attraverso ciò che è stato definito un “decentramento narrativo” capace di creare empatia, ci si potrebbe accontentare di media in grado di offrirci visioni più ampie del mondo in cui viviamo. Dicendoci, ad esempio, che i romeni sono al primo posto nella lista delle segnalazioni per discriminazioni razziali che il call center dell’Unar – l’Ufficio antidiscriminazioni razziali che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri – ha registrato negli ultimi mesi. O che solo il 6% degli stupri viene commesso da estranei (categoria nella quale rientrano anche e non solo gli immigrati che ci fanno paura), mentre la stragrande maggioranza è opera di fidanzati, mariti e conoscenti. Sarebbe un primo passo tanto importante quanto difficile da parte di chi, data la sua appartenenza al genere umano, è forse più portato a mettersi nei guai piuttosto che in discussione. Come dimostra l’8% degli italiani (indagine Demos) che ha acquistato un’arma per sentirsi più sicuri.

Luca Casadei
Giornalista Agenzia Prima Pagina

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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