La Promozione dei Talenti

Tutti gli individui sono diversi, anche gli iperdotati, e tutti hanno il diritto ad avere le stesse opportunità di formazione secondo le loro capacità. Per rispondere ai bisogni è necessario identificarli, conoscere lo sviluppo intellettuale e affettivo dei ragazzi

Da più parti si afferma che sia ingiusto utilizzare il QI come criterio di selezione per trovare lavoro o per scegliere un percorso scolastico. Lo studioso americano Wechsler sviluppò una scala di valutazione dell’intelligenza, sottolineando che il QI di una persona rappresenta la sua posizione all’interno di un gruppo parametro, il rapporto fra l’età mentale e l’età reale. Così, un bambino di 6 anni che risponda esattamente almeno alla metà dei quesiti preparati per soggetti di 8 anni, ha un quoziente d’intelligenza pari a: QI = 8/6 = 133. La scala di Wechsler considera ipodotati gli individui con un QI da 62 a 100, normali quelli con QI da 100 a 120, molto dotati gli individui con un QI da 120 a 140, superdotati quelli con QI superiore a 140. Il QI è una valutazione globale dell’intelligenza, che risulta dalla somma di valutazioni parziali, come ad esempio l’intelligenza logica, matematica, spaziale, linguistica, memoria a breve termine e memoria figurativa. Alcune persone raggiungono risultati altissimi in alcuni settori, bassi in altri. Una corretta valutazione differenzia quindi i risultati ottenuti nelle diverse aree (questi test però risultano scarsamente efficaci nella misura di attitudini sociali come la capacità di leadership o empatia, quelle artistiche specifiche e quelle creative.) Sicuramente ogni classificazione dell’intelligenza non fornisce solo un’indicazione relativa alle capacità intellettuali in potenza, ma anche la possibilità di un’interpretazione con conseguenze di tipo sociale. Le diagnosi “intelligenza inferiore alla media” o “intelligenza superiore alla media” scatenano aspettative molto diverse. Per questo motivo Wechsler sottolineò ripetutamente che il QI non può mai essere un valore definito ed assoluto, poiché nella definizione dell’intelligenza intervengono numerosi fattori personali e sociali. I quozienti di intelligenza tendono ad essere piuttosto stabili nel tempo, sebbene si osservino variazioni nel punteggio complessivo durante lo sviluppo. Un problema aperto è il valore da attribuire al quoziente di intelligenza. Se esso è realmente una misura dell’intelligenza, è anche capace di predire i futuri risultati a scuola e nella vita professionale?

La teoria monodimensionale di Terman
Nel 1921 lo scienziato americano Lewis Terman (1877-1956), professore alla Stanford University, cominciò uno studio che coinvolse 1528 studenti, età media 8-12 anni, per seguire il processo evolutivo di persone “geniali”. Le persone per questo studio condotto in California furono scelte in 5 fasi:
1. i docenti furono pregati di indicare gli studenti più intelligenti e giovani;
2. a questi fu somministrato un test d’intelligenza; rimasero nel gruppo d’indagine solo gli studenti con i risultati migliori nella misura del 10%;
3. a questo gruppo venne somministrato un test Stanford-Binet.
4. Rimasero nel gruppo d’indagine solo coloro che raggiunsero un Q.I di almeno 130 nel test parziale;
5. il gruppo definitivo fu composto da quegli studenti che raggiunsero un QI di almeno 135.
Terman seguì questa indagine fino alla sua morte, avvenuta nel 1956. Gli studenti che parteciparono all’indagine sono tuttora oggetto di studi. Terman voleva dimostrare che il QI misurato nel bambino non si modifica nel corso degli anni e che un QI alto si traduce in prestazioni eccezionali in età adulta. Più dati raccoglieva ed analizzava Terman nel corso degli anni, più diveniva evidente che l’intelligenza diagnosticata in età scolare non bastava a spalancare le porte del successo. Molti studenti di questa indagine fallirono miseramente nella vita professionale. Sempre più i dati raccolti documentavano l’importanza dell’intelligenza come premessa necessaria a prestazioni eccezionali, ma altrettanto decisivi risultavano altri fattori, quali il sostegno di genitori ed insegnanti, il contatto con persone ugualmente intelligenti ed una forte motivazione personale. Solo intorno ai 77 anni Terman si distanziò dal determinismo biologico, passando da un modello monodimensionale ad uno in cui ogni evoluzione si sviluppa dall’interazione fra le potenzialità della persona e l’ambiente in cui vive.

Le teorie multidimensionali
I modelli teorici socioculturali che oggi godono di maggior apprezzamento partono dal presupposto che il talento possa svilupparsi solo mediante l’interazione efficace di fattori individuali e sociali. In Olanda Franz Mönks, docente di psicologia e pedagogia del bambino dotato all’Università di Nimega, ha sviluppato un modello dinamico dello sviluppo della personalità (1990) partendo dal Modello dei tre anelli del ricercatore americano J. S. Renzulli (1986). Il talento può esprimersi in eccellenze nel campo motorio, sociale, artistico o intellettuale. Spesso accade che in una sola persona si ritrovano più talenti riuniti. Questo concetto ritorna nelle moderne teorie sull’intelligenza (Gardner, 1991; Sternberg, 2000). Nel caso specifico del talento intellettuale, esso comprende tre caratteristiche: alto potenziale cognitivo, creatività e motivazione. Questi tre fattori sono interdipendenti e costituiscono una triade. Per un sano sviluppo del bambino è indispensabile un rapporto sociale corretto, specialmente con la famiglia, la scuola e con gli amici. Questi tre fattori dell’ambiente sociale costituiscono la seconda triade, che concorre alla realizzazione del talento. Una buona interazione tra individuo e ambiente avviene se si dispone di una competenza sociale sufficiente. L’alto potenziale cognitivo si individua con un QI superiore alla media (per convenzione si considera un QI uguale o superiore a 130). La creatività è la capacità di una persona di trovare soluzioni inaspettate e originali, o di scoprire problemi nuovi utilizzando il pensiero autonomo e laterale. La motivazione è il processo psichico per cui un individuo si sente attratto da un certo compito, si pone degli obiettivi, pianifica il suo intervento ed il modo di procedere, accetta i rischi che possono derivare da ipotesi errate e porta a termine il compito.
Tutto ciò si esemplifica nello schema del Modello tripolare interdipendente, in cui ogni fattore influenza gli altri in una rappresentazione tridimensionale. Si parla di talento, infatti, quando i sei fattori interagiscono correttamente, in modo da permettere uno sviluppo armonico dell’individuo. Secondo questo modello il talento è il risultato dell’interazione tra fattori interni (creatività, motivazione e alto potenziale cognitivo) e ambiti sociali (famiglia, scuola e amici). In generale, il talento si potrebbe definire come uno sviluppo precoce in un determinato ambito. Il talento cognitivo comprende diverse capacità: apprendere, comprendere velocemente, risolvere problemi in modo creativo, rappresentare concetti astratti. Secondo questo modello la creatività è veramente importante, anche se il concetto non è semplice da definire. Essa va considerata sempre circoscritta ad un ambito ben definito: nessuno è creativo in generale. La famiglia e la scuola influiscono moltissimo sul successo della prestazione. Se il sostegno della famiglia o dell’ambiente scolastico è carente o viene a mancare, l’individuo dotato non si svilupperà. Un bambino che vive in un ambiente familiare e scolastico in cui l’autonomia, l’apprendimento, la sperimentazione, la riuscita, come la curiosità per il nuovo, la motivazione al successo, il coraggio, la persistenza nello sforzo e la dedizione al compito non sono valori riconosciuti, trascura le sue potenzialità cognitive. Altrettanto importanti sono le amicizie: difatti il contatto con i pari (per sviluppo ed interessi, non per età) ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo di una buona autostima. Ai bambini dotati spesso si rimprovera una bassa competenza sociale. Ciò vale in particolar modo per chi ha un talento musicale o sportivo e dedica molto tempo all’esercizio e all’allenamento. Tali individui probabilmente non svilupperanno bene le competenze sociali e tenderanno a isolarsi sempre di più. Questo è un fatto grave, che non dipende dal talento, quanto piuttosto da un’educazione scorretta che ha finito per stimolare solo i punti di forza dell’individuo, tralasciando completamente gli altri. Chi si occupa di bambini dotati sostiene che sviluppare competenze sociali è di fondamentale importanza per il loro equilibrio. Un altro modello teorico socio-culturale, il Modello di Monaco (Fig.1) sviluppato da Heller (1998), riprende i modelli teorici di intelligenza di Gardner e Sternberg e le concezioni dinamiche di Renzulli e Mönks. Secondo questo modello, la realizzazione del potenziale dipende dall’interazione armonica tra talenti individuali e moderatori interni ed esterni all’individuo. Nella diagnosi del talento occorre tenere presente l’interazione di tutti i fattori socioculturali con l’individuo, per poi indicare gli interventi educativi più importanti da sostenere. Nel piano dell’offerta formativa di alcuni istituti di istruzione secondaria di secondo grado pubblicati sul web c’è un vago riferimento ad attività organizzate per la promozione delle eccellenze, senza chiarire il concetto di talento, né indicare i tipi di interventi educativi e formativi previsti. Nemmeno le associazioni che si occupano di didattica definiscono il concetto di alunni dotati e le modalità di interventi mirati per promuovere le eccellenze. L’impressione è che, con il pretesto della differenziazione interna e dell’individualizzazione dell’insegnamento, si voglia affrontare in modo superficiale la situazione di coloro che deviano dalla norma verso l’alto. Mentre l’esistenza degli alunni ipodotati è prevista in modo inclusivo nelle classi della scuola italiana e nella formazione degli insegnanti già da molti anni, i bambini dotati, gli iperdotati, non godono di un vero e proprio riconoscimento nel sistema scolastico. Per loro non sono previsti insegnanti specializzati, non sono istituzionalizzati i metodi d’identificazione e di consulenza e non esistono programmi specifici. Da questo punto di vista, l’Italia appare un Paese poco lungimirante e non al passo coi tempi. Altri paesi europei, che si occupano in modo specifico dello sviluppo dei bambini dotati all’interno delle istituzioni scolastiche, realizzano offerte formative differenziate specifiche, prevedono una forte ed autentica autonomia e flessibilità delle scuole e formano gli insegnanti in modo mirato.

Tratti distintivi dei bambini dotati
Da un punto di vista statistico, se un test d’intelligenza è stato ben tarato, applicato a un campione sufficientemente grande di popolazione, darà i seguenti risultati: -il 50% della popolazione presenta un QI compreso tra 90 e 110; -il 25% della popolazione si trova al disopra di 110; -il 25% della popolazione si trova al di sotto di 90. Statisticamente il 2% dei nati di ogni anno raggiunge un QI molto alto, ogni 100 bambini due sono dotati, ogni 1000 bambini uno ha un QI superiore a 145. Questo significa che in una scuola elementare con 200 alunni ci sono 3-4 bambini dotati, mentre in una scuola con 500 alunni il numero dei bambini dotati sale a 9. I bambini dotati manifestano frequentemente un interesse spontaneo per la lettura e la scrittura in età prescolare, e se sono incoraggiati a farlo, imparano precocemente. A volte sviluppano metodi propri nel fare operazioni matematiche. Di fronte a questi processi di apprendimento spontanei e precoci alcuni insegnanti delle prime due classi elementari reagiscono con timore e perplessità. Lavorare con bambini che sanno già fare quello che dovrebbero ancora imparare richiede molta pazienza, conoscenze e soprattutto disponibilità ad integrare con attività individualizzate il “normale” programma. Gli insegnanti sono spesso nella condizione di non poter svolgere il loro lavoro come vorrebbero, per mancanza di serenità e formazione specifica. Imparare a scrivere molto presto comporta anche delle difficoltà nella bella scrittura a causa dell’attività motoria ancora poco sviluppata, ed anche questo genera dissapori con alcuni insegnanti. In questi casi è molto importante che docenti e genitori possano dialogare per trovare delle soluzioni giuste ed adeguate per il bambino, che non può essere “punito” semplicemente perché segue i propri ritmi di apprendimento. Dal punto di vista psicologico, i bambini dotati mostrano una precocità di tipo intellettuale che non è “normale” alla loro età. Questi bambini sono molto curiosi e assetati di sapere e non si accontentano di risposte semplici o incomplete. Sono instancabili, si concentrano su una faccenda, ma riescono ad occuparsi contemporaneamente di più cose. Per questo motivo insegnanti e genitori spesso li ritengono superficiali. Dispongono di un’ottima memoria e si interessano agli argomenti più svariati. La tendenza al perfezionismo e la voglia di fare da soli e di testa loro ha già fatto disperare molti insegnanti e genitori. Bambini dotati cominciano molto presto, a tre o quattro anni, a porsi ed a porre domande sul senso della vita. Spesso i bambini dotati si fanno notare per l’autonomia e l’originalità con cui fanno operazioni matematiche. Se nella classe di un docente poco flessibile un bambino adotta procedimenti non convenzionali è probabile che nascano dei conflitti. Un atteggiamento direttivo di questo tipo può condurre a forti delusioni e demotivazione scolastica.

Un insegnante può identificare un bambino dotato?
L’identificazione di bambini dotati per le capacità dimostrate in classe è molto limitata. In generale, possiamo dire che gli insegnanti riconoscono alunni dotati se il loro talento (a) si esprime in ambiti scolasticamente rilevanti, per esempio in matematica o nelle lingue; (b) se investe un ampio spettro, manifestandosi con la stessa intensità in vari ambiti; (c) se si sviluppa all’interno di una famiglia interessata alle prestazioni scolastiche; (d) se si accompagna a qualità sociali positive (motivazione, senso di responsabilità, sensibilità). Negli altri casi, in mancanza di questi elementi, il giudizio degli insegnanti si rivela impreciso. Quando il talento non si manifesta, parliamo di underachieve. Gli underachiever sono individui con alte potenzialità che, a causa di numerosi fattori (mancato riconoscimento, ambiente sociale e/o scolastico sfavorevole, bassa autostima, ecc.) non sfruttano le loro capacità, al punto da nasconderle completamente. Questi individui costituiscono un gruppo specifico, con caratteristiche e problematiche proprie, difficile da individuare e gestire. In questo gruppo troviamo bambine che nascondono il loro potenziale per non assumere una posizione di spicco all’interno del gruppo, per adeguarsi al livello “normale” e non essere considerate “diverse”; e bambini con un atteggiamento di protesta, di sfida o di indifferenza. Ma non tutti gli alunni svogliati, distratti e demotivati sono underachiever iperdotati. I bambini dotati in genere sono buoni alunni ed hanno ottimi voti. Spesso presentano un talento nell’ambito sportivo o artistico.
1. Caratteristiche rilevanti sono le seguenti: hanno QI superiore a 130; sono molto motivati all’apprendimento; hanno un forte senso di responsabilità; lavorano velocemente; hanno un sapere molto dettagliato in alcuni ambiti; usano un linguaggio ed un lessico insoliti per la loro età; riconoscono velocemente relazioni di causa-effetto; sono ottimi osservatori; leggono molto e preferiscono libri adatti a ragazzi più grandi; esprimono un pensiero critico ed indipendente; si annoiano nei lavori di routine; tendono al perfezionismo; sono autocritici e spesso insoddisfatti dei loro risultati; lavorano volentieri in autonomia per riflettere a lungo su un problema; si interessano a temi tipici degli adulti, come religione, filosofia, politica, sessualità, diritto, ecc.
2. Altri elementi tassonomici spesso menzionati nella letteratura specifica sono: processi di metacognizione; velocità dei processi mentali, specie nei compiti logico-analitici; categorizzazione; sapere procedurale; flessibilità; amore per la complessità.
3. Sviluppo asincrono: Molti insegnanti osservano che uno sviluppo intellettivo precoce si accompagna a deficit in altri settori. In realtà lo sviluppo del bambino è avvenuto in modo unilaterale, probabilmente perché è stato stimolato solo nei suoi punti di forza. Se il bambino non mette alla prova le altre capacità e si sottrae all’esercizio ed all’allenamento negli ambiti in cui non eccelle, non impara che per raggiungere un obiettivo occorre impegnarsi, fare dei tentativi, persistere nello sforzo.
4. Liste di osservazione: molti insegnanti utilizzano delle liste di osservazione in cui sono elencati dei comportamenti tipici di individui di talento (ecco un breve esempio):

Interventi didattici
La promozione dei bambini iperdotati deve avvenire prima possibile, fin dall’inizio del loro percorso scolastico. Per promuovere e sostenere efficacemente i talenti è di fondamentale importanza il ruolo svolto dalla scuola di base nella tempestiva diagnosi e negli interventi mirati dei primi anni. Tale promozione avviene principalmente tramite la differenziazione interna e l’offerta formativa aggiuntiva. Non si può trascurare la corretta integrazione nel gruppo classe. I bambini iperdotati, che soffrono spesso perché emarginati a causa del loro successo scolastico, richiedono particolare comprensione ed accettazione da parte dei compagni e degli insegnanti. Le strategie di promozione che si sono dimostrate appropriate sono l’accelerazione (acceleration), cioè una diminuzione del tempo scuola; la contrazione o compacting che elimina fasi di ripetizione ed esercitazione: è una forma particolare di accelerazione che definisce gli obiettivi essenziali e fondanti della materia; l’ampliamento (enrichment), cioè un arricchimento dell’offerta formativa per evitare che l’alunno si annoi, perda interesse e motivazione all’apprendimento.

Conclusione
In molti paesi europei, come Germania, Austria e Svizzera, cresce l’interesse nei riguardi dei bambini dotati. Le scuole possono intervenire con provvedimenti speciali, come il salto di un anno o la creazione di classi particolari. Le università curano la formazione di docenti specializzati. I genitori possono rivolgersi ai centri di diagnosi e consulenza per avere aiuti e consigli. In Italia è prevista l’iscrizione anticipata (anticipazione ponderata e graduale della frequenza) alla scuola di base. Alcune sentenze di Tribunali Amministrativi Regionali hanno riconosciuto il diritto di frequentare la scuola pubblica dell’obbligo con due anni di anticipo perché nella norma primaria (legge 517/77 e Regolamento del 1928) non sono fissati limiti minimi d’età per accedere agli esami di idoneità. Tutti gli individui sono diversi, anche gli iperdotati, e tutti hanno il diritto ad avere le stesse opportunità di formazione, secondo le loro capacità ed i loro talenti. Per rispondere ai bisogni degli alunni dotati è necessario essere in grado di identificarli con metodo, conoscere le particolarità del loro sviluppo intellettuale e affettivo e fornire strumenti di consulenza ed intervento adatti. Mentre gli insegnanti sprovvisti di preparazione specialistica si mostrano disinteressati e talvolta ostili nei confronti degli alunni dotati, negli Stati Uniti molte scuole dispongono di un resource teacher, che si affianca all’insegnante di classe con l’incarico specifico di promuovere gli alunni iperdotati. In Italia è istituzionalizzata la figura professionale dell’insegnante di sostegno per gli alunni in situazioni di svantaggio, mentre non sono previsti docenti formati per gli alunni dotati. È importante divulgare i risultati delle ricerche condotte in America, in Europa e in altri paesi, incoraggiare i genitori e i docenti e sostenere i bambini dotati, perché ignorare un talento significa arrecare un grave danno alla nostra società.

Sabine Giunta
Specialist in Educating the Gifted
insegnante di italiano L2
tratto da Educazione&Scuola, http://www.edscuola.it

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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