Un giorno come altri

Il mezzo informatico contribuisce a creare una distanza tra chi osserva il monitor e la realtà raffigurata dentro di esso, una sorta di icone lontane, troppo lontane per poter percepire la loro dolente umanità. Nel chiuso di una stanza, in assoluta solitudine e lontano da occhi indiscreti è possibile partecipare alle più turpi nefandezze. La rete assicura anonimato e l’anonimato tranquillizza. Il disvalore delle azioni commesse diventa quindi una costante che impedisce alla coscienza di cedere ai reali sensi di colpa

L’imputato è un giovane accusato di aver “scaricato” e detenuto sul suo p.c. migliaia di fotografie pornografiche di minori. Il ragazzo si difende, tra l’altro, sostenendo di aver trovato le immagini in siti ove dovevano essere contenute solo fotografie artistiche e di averle “scaricate” in blocco senza neppure vederle tutte. Non viene creduto. Troppe, e troppo crude, sono le immagini, troppi gli altri elementi che smentiscono la sua versione. Sin qui nulla di particolare: è la normale dialettica processuale che si esplica in questo come negli altri processi. E, tuttavia, dopo aver terminato il processo, emessa la sentenza e depositata la motivazione, il giudice non può evitare di riflettere su alcuni aspetti della vicenda che, non interferendo in alcun modo sulla decisione assunta, lo spingono a ragionare per tentare di comprendere, da essere umano, quello che c’è dietro alla realtà processuale.

L’imputato è un giovane intelligente, laureato brillantemente e che svolge un dottorato di ricerca presso l’università. A quanto è dato capire proviene da una famiglia appartenente alla buona borghesia.
Prima che iniziasse il dibattimento ha avanzato una richiesta di patteggiamento chiedendo di poter definire il processo con il pagamento di una multa, così come la legge consente, ed è apparso sorpreso quando il Pubblico Ministero non ha prestato il consenso. Nascono, allora, le prime domande, i primi spunti di riflessione. Si può dire che quel giovane abbia compreso il disvalore del fatto se ritiene di poter “chiudere” la vicenda pagando del denaro? Quale significato si deve attribuire al suo stupore per il dissenso espresso dal Pubblico Ministero? Qualche risposta viene proprio dalle dichiarazioni che l’imputato aveva reso durante il dibattimento al giudice, dichiarazioni che, in sostanza, si possono così riassumere: in ciò che ho fatto non c’è nulla di male; mi sono limitato a scaricare immagini liberamente accessibili sulla rete; di certo non sono responsabile di quello che hanno subito i bambini che sono raffigurati nelle fotografie.

Il ragazzo aveva dimostrato di non essere stato sfiorato dal sospetto che, se quelle immagini vengono diffuse, è perché nel mondo ci sono migliaia (o forse milioni) di persone che la pensano come lui e che dietro ciascuna fotografia c’è un bambino la cui infanzia è stata, per questo, violata. Viene spontaneo domandarsi come sia possibile che un simile sospetto non nasca in un giovane intelligente e dotato sicuramente degli strumenti culturali necessari per comprendere ciò che significa e cosa si nasconde dietro la pornografia infantile. Probabilmente una prima risposta a questa domanda si può trovare nelle modalità di circolazione del materiale pedopornografico e di accesso ai siti che lo pubblicano. Chi intende procurasi questo materiale, infatti, lo può fare tranquillamente nel chiuso della sua stanza, in assoluta solitudine e lontano da occhi indiscreti, semplicemente “cliccando” sul sito e non deve più, come in passato, esporsi in qualche modo al “controllo” sociale uscendo di casa, recandosi in edicola ed acquistando le riviste pornografiche che – qualcuno lo ricorderà – non potevano neppure essere esposte per la vendita ma dovevano essere conservate all’interno e, quindi, esplicitamente chieste al giornalaio, magari in presenza di altri clienti. La rete assicura anonimato e l’anonimato tranquillizza.

Inoltre il mezzo informatico contribuisce a creare una distanza tra chi osserva e scarica le immagini ed i bambini che vi sono raffigurati aiutando l’utente a non vedere i piccoli interpreti di quelle situazioni raccapriccianti come persone, con il loro carico di orrore e dolore, ma come una sorta di icone lontane, troppo lontane per poter percepire la loro dolente umanità. E’ certo che la soluzione a questo problema non può essere sicuramente un ritorno al passato, perché non si può né si deve cancellare il progresso e dimenticare quanto i sistemi di comunicazione di cui si è detto abbiano contribuito allo sviluppo dell’umanità ed all’abbattimento delle distanze e delle frontiere culturali, politiche, etniche etc che imbrigliavano i popoli.

Occorre, però, riflettere sull’utilizzo della rete soprattutto quando a “navigare” siano degli adolescenti perché, se un ragazzo intelligente e colto come l’imputato di quel processo ne ha subito il fascino al punto da vedere attenuate la sua capacità di critica e giudizio, viene da chiedersi quale effetto possa avere su una personalità ancora in formazione – come tale quasi sempre priva dei necessari strumenti di autocontrollo e difesa – la possibilità di utilizzare indiscriminatamente un mezzo così affascinante.
E ciò a tacere del fatto che, come purtroppo la realtà sta dimostrando, molti giovani ed adolescenti hanno, ormai, sostituito le relazioni interpersonali con il rapporto con il proprio computer e vivono in una condizione di totale isolamento persino dai coetanei mediando ogni contatto attraverso la rete o, comunque, mezzi informatici. E’ ciò che sta accadendo, ad esempio, in Giappone come emerge da ricerche i cui esiti sono stati resi noti di recente. Pensare ad un adolescente solo con il proprio p.c. alla mercé degli stimoli anche negativi che ne può ricevere è cosa che non può non preoccupare.

Annamaria Gatto
Magistrato e Presidente della IX Sezione
penale del Tribunale di Milano

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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