I bambini multimediali

Esistono differenze notevoli secondo i livelli socioculturali di appartenenza che incidono più di quelli strettamente economici sull’acquisto e l’uso dei media. Forse siamo nel pieno di una rivoluzione paragonabile a quella agricola o industriale ma forse attribuendo alla tecnologia le potenzialità per modificare la vita umana possiamo incorrere in una grave esagerazione

Marina D'Amato (sulla destra) con Rosanna CancellieriI media sono parte della vita quotidiana e costituiscono l’ambiente più familiare dei ragazzi e dei bambini. Le nuove generazioni sono nate e cresciute con la televisione accesa, e sono state testimoni e protagoniste dei grandi cambiamenti dell’audiovisivo così come dello sviluppo dell’informatica e delle sue interconnessioni con la TV e con il telefono. È ovunque constatato che la presenza dei bambini favorisce gli acquisti delle famiglie, soprattutto, oggi, quelli elettronici e di comunicazione. La consolle per i videogiochi e il computer sono strumenti che sempre più spesso entrano nelle case degli italiani. Le analisi di mercato mettono in evidenza, infatti, che le famiglie con bambini sono provviste di più tecnologie di quelle senza figli. Tuttavia esistono differenze notevoli secondo i livelli socioculturali di appartenenza che incidono più di quelli strettamente economici sull’acquisto e l’uso dei media. Un’indagine di livello europeo realizzata nell’ambito dell’inchiesta Himmelweit mette bene in evidenza come le famiglie più agiate posseggano un computer, mentre la consolle per i videogiochi sia più diffusa negli ambienti più sfavoriti. Il telefono e la televisione sono meno discriminanti socialmente poiché la maggior parte delle famiglie li possiede anche se il numero di televisori per famiglia risulta inversamente proporzionale al reddito: le famiglie più sfavorite economicamente posseggono infatti più televisori di quelle più abbienti. Le indagini europee mettono in evidenza che i bambini e i ragazzi più svantaggiati hanno più spesso la TV in camera di quelli economicamente più favoriti.

Mentre è inversa la situazione per il telefono. Anche l’uso dei diversi media è in funzione di questa stessa variabile sociale. La pratica dei videogiochi e l’ascolto della radio risultano infatti equamente fruiti indipendentemente dall’ambiente sociale delle famiglie di appartenenza, mentre il computer è più diffuso negli ambienti socioeconomici più elevati. Ma anche in questo ultimo caso l’uso che si fa del computer non è lo stesso per tutti: la funzione ludica è più fruita in ambienti socioeconomici bassi e la funzione educativa più diffusa in quelli alti. Quanto alla televisione, sebbene fruita da tutti i ragazzi, il suo uso risulta più diffuso tra i “figli” della “classe operaia che tra quelli dei professionisti e funzionari che hanno più facilmente accesso ad altre forme di svago. Anche l’ascolto risulta differenziato: i ragazzi più sfavoriti sarebbero più attratti da programmi di evasione e quelli più avvantaggiati da trasmissioni informative ed educative
Il consumo dei media differisce sensibilmente a seconda del genere maschile e femminile. I ragazzi giocano molto di più con i videogiochi e anche la pratica del computer sembra essere più appannaggio maschile. Le ragazze sembrano più attente alla musica e dai dati risulta che ascoltano più dei loro coetanei la radio, fanno più uso di cd e la scelta dei loro programmi preferiti alla TV è molto diversa da quella dei “maschi”. Parlano anche molto di più al telefono e per ragioni diverse da quelle dei loro coetanei. Se il tempo che passano davanti alla TV è più o meno analogo a quello dei ragazzi la scelta dei programmi è molto diversa. Le ragazze preferiscono la fiction, soprattutto serial e sit com, mentre i ragazzi preferiscono cartoni animati e programmi sportivi. In definitiva anche nel caso italiano vale la tesi avanzata a livello europeo dalle due ricercatrici francesi Pasquier e Jouet: esistono due grandi ambiti mediatici: uno femminile che orbita intorno al telefono e alla radio e uno maschile che è più attratto dallo schermo dei videogiochi e del computer. I media diventano così l’occasione di pratiche in cui si iscrivono le differenze di genere che non si manifestano nel fatto di utilizzare o meno i mezzi di comunicazione di massa, poiché sia i ragazzi che le ragazze ricorrono a tutti i mezzi, ma è nelle loro modalità d’uso che si organizzano con intensità e tempi diversi intorno a preferenze su contenuti differenti.

Queste forme di introiezione si elaborano fin dalla prima infanzia, nel periodo in cui i bambini si identificano con il genitore dello stesso sesso. Tra i sei e i diciassette anni varia molto il consumo quotidiano dei media eccetto quello della TV che aumenta molto poco. La maggior parte degli altri mezzi di comunicazione vede il loro numero di fruitori crescere con l’età: il cinema, la radio, il telefono, cd, videocassette, giornali; altri invece diminuiscono – la lettura per esempio – quanto al computer e ai videogiochi, il loro utilizzo dopo essere aumentato tra i 9 e i 14 anni diminuisce a partire dai 15. Al di là delle variabili sociologiche classiche il rapporto dei ragazzi con i media varia anche in funzione della dinamica familiare (ruolo del bambino e relazione con i fratelli) e della morfologia della famiglia (modelli di socializzazione, presenza materna a casa). La televisione è spesso resa responsabile del declino della lettura, sebbene non esista una possibilità logica di metterle in correlazione. Infatti, si osserva spesso una correlazione positiva tra i grandi lettori e i grandi fruitori di TV, sembra che non esista nei fatti un’antinomia tra le due pratiche. Tuttavia l’inverso non è altrettanto vero e ciò che si rileva dalla indagini più accorte è che è la durata di utilizzo dello schermo (TV, videogioco, computer) e non la sua frequenza che è negativamente correlata alla lettura. Le ricerche più accorte, infatti, sostengono l’impossibilità di misurare l’influenza, e anche sembra scientificamente impossibile correlare l’esposizione agli schermi con mutamenti di atteggiamenti. Ciononostante la televisione e più recentemente i videogiochi sono al centro di polemiche soprattutto giornalistiche che periodicamente affrontano la questione affermando uno stretto rapporto tra la violenza, l’obesità, i risultati scolastici, il senso civico, l’insonnia, i disturbi alimentari, la disintegrazione della famiglia, la salute fisica e psichica e l’uso della T V. . . !

Gli effetti diretti dei media o più particolarmente i misfatti attribuiti a essi riguardano prevalentemente il tema della violenza senza troppa distinzione tra la violenza alla televisione o la violenza della televisione. Rispetto ai nuovi media c’è chi prevede che contribuiranno ad attenuare, fino ad annullare le differenze sociali poiché su Internet si esiste in funzione del proprio ruolo e non del proprio status, si chatta, si conosce e si naviga in funzione di ciò che si sa fare e non in relazione alla propria condizione umana. Ma, d’altro canto, c’è chi ritiene che invece aumenterà quello che si chiama già il digital che divide non solo i popoli del Nord e del Sud del mondo ma anche e soprattutto i bambini alfabetizzati fin dalle prime fasi della vita ai nuovi media e quelli estranei a essi. L’evoluzione dei nuovi media potrebbe infatti provocare nuovi gruppi di esclusi. Il rischio non può essere accantonato e l’accesso ai nuovi media sembra possibile in prospettiva solo con un comune intento della scuola e della famiglia. Sull’impatto a lungo termine che le tecnologie dell’informazione (IT) avranno sulla vita e sul lavoro è in corso un acceso dibattito: forse siamo nel pieno di una rivoluzione paragonabile a quella agricola o industriale, o forse attribuendo alla tecnologia le potenzialità per modificare la vita umana possiamo incorrere in una grave esagerazione. Negli ultimi decenni grazie al processo di miniaturizzazione che ha reso i processori sempre più piccoli e veloci, la potenza dei computer ha fatto passi da gigante; i palmari di oggi grandi come una calcolatrice tascabile hanno le stesse capacità dei computer da tavolo del decennio scorso e alcuni gadget elettronici sono così piccoli da poter esser cuciti all’interno di cosiddetti “vestiti intelligenti”.

Secondo la legge di Moore – fondata sulle osservazioni compiute negli anni Sessanta dal pioniere dell’informatica Gordon Moore – il numero di transistor presenti in un circuito integrato raddoppia all’incirca ogni diciotto mesi; in questi ultimi due o tre decenni la validità della legge è stata confermata, ma molti scienziati ritengono che il processo di miniaturizzazione potrebbe bloccarsi non appena i microcircuiti avranno raggiunto le dimensioni minime che un chip di silicone può raggiungere senza diventare instabile. L’economia mondiale è evidentemente sempre più connessa alle innovazioni informatiche: una battuta d’arresto nel processo di crescita delle velocità dei microprocessori potrebbe addirittura destabilizzare i mercati e provocare una crisi di livello globale. Nuovi approcci nella costruzione di processori potrebbero permettere ulteriori miniaturizzazioni mentre le maggiori speranze di conferma alle leggi di Moore vengono dalle nanotecnologie: “nanotubi” costruiti con atomi di carbonio potrebbero infatti sostituire le connessioni in rame dei microprocessori, singole molecole organiche potrebbero essere utilizzate per la costruzione di transistor e microscopici computer e “crescere” come cellule viventi: sono idee che per il momento restano nel campo della fantasia, almeno a giudicare dalle storie a cartoni animati che le rappresentano attraverso la capacità infinita di personaggi che si evolvono trasformandosi perennemente (cfr. i Digimon per esempio). Continueremo a utilizzare l’informatica e a dipenderne nella vita quotidiana? L’interazione fra persone tenderà a farsi meno “personale”? I timori a proposito di un possibile declino dei viaggi e del contatto diretto fra persone sono infondati? La conoscenza scientifica del rapporto tra i ragazzi e i media, nonostante le migliaia di ricerche e analisi, è a tutt’oggi, molto modesta. Questa conoscenza è dominata da una sorta di socioeconomia della diffusione, certamente più facile dello studio e dell’analisi sulla ricezione e soprattutto indispensabile alla gestione delle imprese mediatiche.

Si possono forse indicare almeno tre tipologie primordiali, quasi endemiche di deficit scientifico. Una prima mancanza sociologica e etnologica: non si sa abbastanza per esempio dell’uso del tempo dei bambini e dei ragazzi (nel caso soprattutto di attività simultanee principali e secondarie, per esempio pranzare g u a rdando la T V: la prima attività è principale, la seconda secondaria, sgranocchiare guardando la T V: la prima attività è secondaria la seconda principale). Inoltre, non se ne conoscono a sufficienza le variazioni secondo le classi sociali, i tipi di ambiente, gli stili di vita, il ceto e i livelli culturali familiari. Non si conosce quasi niente a proposito della formazione dei gusti e delle mode degli universi infantili e adolescenziali. Una seconda mancanza concerne l’ambito psicologico (soprattutto quello delle scienze cognitive): si sa poco in definitiva delle modalità di ricezione del consumo di televisione da parte dei giovanissimi e ancor meno si conosce delle dinamiche legate ai videogiochi e a Internet. Si conoscono altrettanto approssimativamente le modalità di memorizzazione e di attaccamento a personaggi mediatici. Una terza mancanza può essere individuata nell’aspetto economico: non si conoscono a sufficienza le modalità economiche di scelta degli svaghi all’interno di un ambiente familiare (la loro gerarchizzazione, la loro sostituzione, il loro cambiamento…). Il budget di tempo e il budget economico sono strettamente interdipendenti. Il dibattito scientifico a proposito del rapporto che lega i ragazzi ai media è spesso oscurato e talvolta corrotto da approcci semplicistici a uso politico: violenza, risultati scolastici, effetti sanitari sono le questioni non a caso più dibattute e per forza di cose irrisolte. Di fatto le ricerche in questi settori sono il più delle volte veri ostacoli epistemologici, capaci di impedire l’avanzamento della riflessione scientifica. Per questo la nostra ricerca tenta di colmare queste lacune e vuole offrire un punto di vista sull’argomento che tenga in conto due aspetti: l’offerta per l’infanzia e la sua rappresentazione.

Marina D’Amato
Presidente del Centro Nazionale
di Documentazione e Analisi
per l’Infanzia e l’Adolescenza
Professore ordinario, Facoltà scienze
della formazione, Università Roma 3

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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