Modelli di lotta e di collaborazione

Vittorino Andreoli

L’evoluzionismo darwiniano ha influenzato l’idea della violenza sociale quale fattore indispensabile per l’affermazione dell’individuo, ma altri stimoli vengono dal marxismo e dalla psicoanalisi, per cui l’aggressività è insita nel bambino. Oggi però è senz’altro più costruttivo evidenziare che i risultati migliori per la società vengono dalla collaborazione e dal senso di appartenenza a un gruppo di cui tutti possono far parte, esperienza che va comunque mediata da un educatore

andreoliQuando si affronta la violenza fisica e psicologica in ambito scolare, si viene colpiti non tanto dalla violenza che si esprime tra insegnanti ed allievi, che è pure a volte molto evidente, ma soprattutto da quella che serpeggia tra gli allievi. Anche in questo caso, non si può negare che la violenza sia un riflesso di un sistema educativo basato sulla meritocrazia e su una competizione che, implicitamente o esplicitamente, ha proprio come finalità il mettere in contrasto tra di loro i bambini.
La violenza viene appresa direttamente dal sistema scolastico: osservare un insegnante che non fa altro che criticare e formulare giudizi che vengono ritenuti ingiusti porta a interiorizzare quel sistema di valutazione e ad applicarlo indifferentemente.
A scuola si impara l’importanza del giudizio e la differenziazione e quindi una gerarchizzazione tra i ragazzi sulla base dell’intelligenza (o della ricchezza). Non c’è dubbio che ogni comportamento che conduca a una divisione e non a un’aggregazione del gruppo è un errore che poi si ripercuoterà sulla società. In fondo non c’è alcuna ragione per dover insegnare ai bambini a lottare tra di loro per una supremazia, anche se c’è un tipo di pedagogia che stimola volutamente la competitività. E va sfatata l’idea che per sopravvivere in questa società bisogna partire lancia in resta e far piazza pulita intorno a se dei propri rivali.

Tra le teorie di base che hanno influenzato questa idea della violenza sociale indispensabile per l’affermazione dell’individuo c’è senz’altro l’evoluzionismo darwiniano, secondo cui si verifica una selezione naturale da cui soltanto i più forti sono destinati a emergere. E’ egualmente vero che tra gli animali sociali, ovvero tra coloro che, come l’uomo e le formiche, costruiscono la loro esistenza sulla base della collaborazione tra individui della stessa specie, il modello che si mostra vincente non è quello della lotta, ma quello della collaborazione. Altri stimoli sono venuti dal marxismo, che ha sostenuto la necessità di una lotta di classe per l’affermazione delle masse subalterne, e quindi ha anche rinfocolato l’aggressività delle èlite. Ma anche dalla psicoanalisi, che ha sostenuto che l’aggressività è insita nel bambino e nei comportamenti originati dal complesso di Edipo.
Insomma, se può essere comprensibile in un determinato momento storico il sorgere e l’affermarsi di scuole di pensiero in cui si dà grande rilievo all’aggressività, oggi è senz’altro più costruttivo mettere in evidenza che i risultati migliori per la società nel suo complesso e per gli individui stessi presi singolarmente, vengono dalla collaborazione e da un senso di appartenenza a un gruppo di cui tutti possono far parte, indipendentemente dalle doti intellettuali o dal colore della pelle. E questo è tanto più importante nella scuola dell’obbligo in cui, proprio perché c’è un obbligo di frequenza deve essere percepito da parte degli insegnanti un obbligo all’integrazione.

E’ paradossale che oggi l’esperienza del gruppo venga fatta sostanzialmente fuori dalla scuola. Eppure, specialmente nella prima adolescenza, se l’esperienza di gruppo non viene mediata dalla presenza di un educatore può presentare molti rischi, specialmente perché il singolo, che non è abituato a confrontarsi costruttivamente con gli altri, può sentirsi portato ad annullare la propria personalità in quella collettiva. Per cui se il gruppo decide di fumare della marijuana, anche il ragazzo che, isolatamente, non avrebbe mai preso un’iniziativa del genere, può trovarsi a fumare, vittima di una interpretazione malsana della logica del gruppo.
E’ quindi necessario conoscere il gruppo e le sue dinamiche, ma questo non è un compito di cui la scuola si fa attualmente carico, lasciando di fatto indifesi i ragazzi che, in un’età critica come quella adolescenziale, si trovano a vivere la prima esperienza di gruppo.
In sintesi, lo scopo della scuola dell’obbligo deve essere quello di favorire il massimo inserimento sociale di tutti gli individui, attraverso l’insegnamento pratico, vissuto, del lavoro di gruppo e delle iniziative di cooperazione. E certamente anche i genitori dovrebbero favorire questo cambiamento, liberandosi della logica meritocratica e competitiva e sostituendo alla solita domanda “che voto hai preso oggi?”, quella sicuramente più costruttiva “ti sei divertito a scuola? Che cosa avete fatto insieme?” Questo sistema ha un enorme riflesso sulla difesa del bambino. Innanzi tutto da un messaggio chiaro al bambino: la sua difesa dipende dal gruppo. E, quindi, lo inserisce in una dimensione molto valida di società: una società che è lo strumento ideale attraverso cui il singolo si sente difeso e protetto.

Allo stesso tempo il bambino, in quanto membro del gruppo, comprende che può aiutare gli altri bambini in caso di necessità. Ciò crea una responsabilizzazione di tutti, senza che nessuno senta su di se un peso eccessivo, e quindi abbatte anche la paura, il terrore, favorendo invece un maggior senso di integrazione e di solidarietà e anche l’interesse per gli altri e per la vita comune.
Ancora una volta, quindi, è dentro l’insieme sociale che si trovano le vere difese contro la pedofilia, non in un regime poliziesco, ne tantomeno nei decaloghi di autodifesa del bambino. Ed è così che si afferma la cultura della fiducia – fiducia nell’altro, nel gruppo sociale, in se stessi – pur mettendo in opera una difesa estremamente efficace. Lo spirito di gruppo permetterà anche di individuare più facilmente i comportamenti particolarmente sospetti. Se è impossibile un’autodifesa del bambino, sarebbe invece estremamente auspicabile che gli adolescenti fossero educati e stimolati alla difesa del bambino e questo compito rientrasse nei loro doveri sociali. Il preadolescente e l’adolescente, insomma, potrebbero venire sensibilizzati alla protezione, attraverso corsi che facessero loro conoscere meglio i meccanismi psicologici, i bisogni e i comportamenti dei bambini.

Un’educazione alla difesa del bambino da parte dei giovani avrebbe anche effetti positivi su questi ultimi, che verrebbero spronati ad assumere un ruolo di responsabilità all’interno della vita sociale e abituati non solo a rivendicare ed esercitare i propri diritti, ma anche ad adempiere ad alcuni doveri particolarmente importanti. Di solito si sostiene che gli adolescenti siano talmente immersi nei loro problemi da non poter far fronte a nessun tipo di responsabilità che non siano quelle minimali ed esclusivamente individuali. Invece, se venissero responsabilizzati riguardo alla sorte dei loro compagni più piccoli, si troverebbero subito in una dimensione adulta da cui verrebbero senz’altro gratificati. Imparando a comprendere i problemi dei più deboli, imparerebbero anche a essere più sensibili ai problemi di tutti gli altri – degli adulti e degli insegnanti ad esempio.

Dalla parte dei bambini (BUR)

Vittorino Andreoli
Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona Soave
E’ membro della The New York Academy of Sciences.
E’ Presidente della Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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