Il carnefice? A volte è donna

Sono oltre un milione le donne nel mercato della tratta internazionale. Vendute e scambiate per denaro, vengono da tutte le parti del mondo dove, insieme all’aria, si respira fame e povertà. Per chi le sfrutta ognuna di loro vale mediamente 110 mila euro all’anno, la maggior parte delle volte guadagnati  con lo sfruttamento sessuale

 Emma BoninoSpiace dover sempre ricordare le cifre. Eppure parlano da sole. Più di qualsiasi retorico commento su una realtà che secoli di lotte non hanno cancellato. In particolare oggi, nell’occasione di celebrazione della giornata contro la violenza sulle donne, le cifre quantificano i soprusi che in molti modi e in molti mondi le donne ancora subiscono. A spregio del secolo moderno o post-moderno in cui viviamo, a dispetto di anni di lotte per l’emancipazione femminile.

E a proposito di cifre sono oltre un milione le donne coinvolte in quel grande e vergognoso mercato che è la tratta internazionale. Vendute e scambiate per denaro vengono da tutte le parti del mondo dove, insieme all’aria, si respira fame e povertà. A tutte viene rubato il futuro, quello che gli viene promesso quando partono in cerca di lavoro e di speranza, senza altra possibilità che farsi ricattare. Spinte dalla promessa di un progetto di vita spesso trovano solo altra miseria. Ognuna di loro, sempre a proposito di cifre, per chi le sfrutta vale mediamente 110mila euro all’anno, la maggior parte delle volte (quasi in sette casi su dieci), guadagnati con lo sfruttamento sessuale.

Le vediamo spesso sul ciglio di una strada, adolescenti, ragazzine, truccate e svestite sui marciapiedi a elemosinare la vita mentre ne perdono un po’ ogni giorno.

Una violenza particolarmente amara quando il carnefice di una donna è un’altra donna. Come accade in alcuni paesi africani. Succede, per esempio, che molte di loro, arrivate in Italia o in Europa grazie alla mediazione di “protettrici” del loro stesso paese vengono spaventate a morte da queste ultime che chiedono somme di denaro sempre più ingenti per il viaggio che hanno favorito e organizzato. L’ingresso in Europa si trasforma così in una spirale di paura fatta di riti voodo, minacce e ricatti a cui poche riescono a ribellarsi finendo per ridursi in schiavitù. O come per le mutilazioni genitali femminile, un’altra pratica aberrante che non ha giustificazioni: 130 milioni di donne e bambine nel mondo hanno subito questa barbarie e 2 milioni ogni anno rischiano di subirla. La campagna internazionale “StopFgm”, che da anni si batte contro questa pratica, condotta dalle Ong Non c’è Pace Senza Giustizia e l’Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), ha portato una vera e propria “Carta dei diritti” delle donne africane: il Protocollo di Maputo, adottato dai Capi di Stato dell’Unione Africana nel luglio 2003, che non solo condanna espressamente le MGF come una violazione dei diritti umani, ma contiene una serie di disposizioni che concernono la vita civile e politica – ad oggi pressoché inesistente – delle donne africane.

Ancora di cifre, invece, è difficile parlare quando si parla culture tribali nel mondo islamico. Ho ancora nel cuore il mio viaggio in Afghanistan, nel 1997, durante il regime misogino ed oscurantista dei Talebani. Quel viaggio mi confermò le condizioni di vita disumane in cui vivevano molte donne, alle quali era proibito quasi tutto. Il burqa era solo il segno esteriore di annullamenti più profondi. Le donne non dovevano solo coprirsi il volto, il corpo ma anche l’anima, girando come fantasmi. Per loro non c’era istruzione, non c’era vita sociale, non c’era né presente né futuro. Neanche il diritto di cura. Per le più malate, ricordo ancora, solo un ospedale diroccato, senza luce né acqua. E’ per questo che ho promosso la campagna “Un fiore per le donne di Kabul”, per esprimere la solidarietà mondiale nei confronti di quelle donne senza voce né volto.

La violenza sulle donne è antica e dura da sconfiggere. Non ne è esente neanche la nostra “civilissima” Europa. In Italia, per ritornare alle cifre, secondo i dati dei centri antiviolenza, dall’ottanta al novanta per cento della violenza sulle donne si consuma dentro le nostre mura domestiche. Non esiste una ricetta per cambiare. Le ragioni della violenza sulle donne si perdono e si rintracciano nei secoli, nella storia e nelle storie. Le trasformazioni culturali sono spesso lente ma talvolta alcune leggi sono capaci d’innovare la società in maniera anche dirompente. In Italia, lo ha fatto la legge sul divorzio, cambiando la forza contrattuale della donna nel matrimonio, o quella sull’aborto. Eppure strada da fare ce n’è. La più importante in questo senso è una maggiore presenza delle donne nelle Istituzioni. Le donne hanno un vissuto comunitario importante, una capacità di dialogo e una pazienza esercitata nei secoli, una flessibilità più forte delle pure logiche del potere e della competizione. Una società meno violenta non può che passare attraverso governi dove la presenza femminile non è solo simbolica.

Emma Bonino
Ministro per gli Affari Europei

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