Rischio di trauma temporaneo

Luigi Fadiga

Col passare del tempo il collegamento con la tragedia di Chernobyl si è attenuato e i programmi di accoglienza  temporaneahanno assunto una motivazione più generica, di solidarietà verso minori bisognosi abitanti in zone svantaggiate, principalmente dell’Europa orientale.  Accanto ad aspetti positivi, il fenomeno presenta però numerosi problemi ed inconvenienti e l’esperienza del soggiorno provoca non di rado al minore un grave disorientamento

 Entrano ogni anno in Italia per soggiorni climatici temporanei circa 35.000 bambini stranieri, che vengono accolti temporaneamente presso famiglie. Il fenomeno ha avuto un inizio spontaneo nei primi anni Novanta a seguito della tragica esplosione nucleare di Chernobyl che aveva determinato soprattutto in Bielorussia un gravissimo inquinamento ambientale, con l’esigenza di allontanare periodicamente i bambini dalla zona radioattiva inviandoli per un certo tempo in zone salubri e climaticamente appropriate.  Nel 1995, secondo i dati forniti dal Comitato per i minori stranieri (branca del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali istituita appositamente per autorizzare e monitorare i soggiorni), sono entrati in Italia a questo scopo 41.000 bambini, provenienti in massima parte dalla Repubblica di Belarus, e, in misura molto minore, da altri Paesi dell’Europa orientale. Nello stesso periodo e secondo la stessa fonte, gli organismi privati e le associazioni di volontariato che si occupavano di organizzare i soggiorni erano stimati in più di cinquecento.  Col passare del tempo l’originario collegamento con la tragedia di Chernobyl è andato gradualmente attenuandosi, e i programmi di accoglienza temporanea hanno assunto una motivazione più generica di solidarietà verso minori bisognosi abitanti in zone svantaggiate, principalmente dell’Europa orientale. I minori interessati a tali programmi possono essere anche abbastanza piccoli (sei anni è il limite minimo di età); possono restare in Italia presso famiglie di accoglienza per un periodo massimo anche continuativo di novanta giorni all’anno estensibile a 150; entro tali limiti il soggiorno può essere ripetuto per più anni consecutivi presso la stessa famiglia. I minori provengono in parte dalla famiglia di origine ed in parte da istituti di assistenza, ove fanno ritorno al termine del periodo trascorso presso la famiglia italiana di accoglienza. L’esperienza mostra che, accanto ad aspetti positivi, il fenomeno presenta numerosi problemi ed inconvenienti. Si verificano infatti parziali sovrapposizioni e preoccupanti interferenze con l’adozione internazionale, e l’esperienza del soggiorno temporaneo provoca non di rado al minore un grave disorientamento. Molti bambini provengono da istituti assistenziali dove vivono in sostanziale situazione di abbandono.

 Questo ne fa molto spesso dei soggetti con gravi carenze affettive, estremamente bisognosi sul piano psicologico di nuove figure genitoriali. La ripetizione dei soggiorni presso la stessa famiglia di accoglienza crea profondi vincoli affettivi di tipo genitore/figlio, e il reciproco desiderio di renderli definitivi. Per conseguenza, numerosi sono stati i casi di minori che al termine del soggiorno si sono rifiutati di ritornare nel loro paese, o vi sono ritornati con grande sofferenza e difficoltà e solo dopo un ordine del giudice.  Anche quando la famiglia di accoglienza chiede di poter trattenere il minore e di adottarlo la soluzione non è facile. Molto spesso infatti questa conclusione è giuridicamente impossibile, poiché l’adozione di minori stranieri deve avvenire secondo la procedura prevista per le adozioni internazionali, che non è applicabile ai minori entrati in Italia per soggiorni temporanei. Inoltre, poiché il minore è cittadino straniero, il giudice italiano non può dichiararne lo stato di adottabilità, per cui non è possibile nemmeno l’adozione nazionale. Aspetti negativi presenta anche la scelta delle famiglie italiane di accoglienza. Infatti, diversamente per ciò che accade nell’adozione, non sono previsti corsi di formazione o di preparazione, e non vengono interpellati né i servizi sociali locali né i tribunali per i minorenni. Malgrado le evidenti controindicazioni, accade che tra le famiglie di accoglienza vi siano anche famiglie che in realtà desiderano un’adozione e cercano in quel modo una scorciatoia, o peggio famiglie che il tribunale per i minorenni ha dichiarato non idonee all’adozione.

Come si è detto, il fenomeno dell’accoglienza temporanea riguarda principalmente minori provenienti dalla Bielorussia. I bambini che entrano ogni anno in Italia da quel Paese per soggiorno temporaneo sono molto numerosi. Sono invece pochissime le adozioni internazionali di bambini bielorussi. Ciò non accade invece con altri Paesi dell’Europa Orientale come la Russia, l’Ucraina e la Romania, dove sono pochi i bambini entrati in Italia per soggiorni climatici e sono invece numerosi quelli entrati per adozione internazionale.

Secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, nel 1998 un solo minore bielorusso è entrato in Italia per adozione internazionale, ma nello stesso periodo i minori bielorussi entrati per programmi solidaristici di accoglienza temporanea sono stati 28.907. Per quanto riguarda il 1999, le cifre sono abbastanza simili: appena 30 per adozione internazionale, e 28.498 per programmi solidaristici.  Dalla Russia, viceversa, nel 1998 sono entrati in Italia 881 bambini per adozione internazionale e 1614 per accoglienza temporanea; e nel 1999 sono entrati 1015 per adozione internazionale e 1346 per accoglienza temporanea. Dall’Ucraina, nel 1998 sono entrati 128 minori per adozione internazionale e 8.011 per soggiorni climatici temporanei; nel 1999 sono entrati per adozione 321 minori, e 7.611 per soggiorni climatici temporanei. Per quanto riguarda la Romania, i bambini entrati in Italia per adozione internazionale sono stati 361 nel 1998, e 382 in accoglienza temporanea; nel 1999 sono stati 570 per adozione internazionale, e 472 per accoglienza temporanea. Recentemente la situazione non sembra cambiata. Infatti, nel 2003 sono entrati in Italia per adozione 167 minori bielorussi, ma nello stesso periodo i minori bielorussi entrati per soggiorno climatico temporaneo sono stati 26.713. Per quanto riguarda gli altri paesi, nello stesso anno sono giunti in Italia dall’Ucraina per adozione 270 bambini e per accoglienza temporanea 5.486; dalla Romania 23 bambini per adozione e 338 per accoglienza temporanea. Il dato della Russia non è significativo, non essendovi stati ingressi per adozione in quel periodo da quel Paese.  La correlazione tra i due fenomeni appare abbastanza evidente, e permette di ipotizzare che la maggiore rapidità e facilità con cui si può ottenere un bambino straniero per un soggiorno climatico può avere un effetto frenante sulle adozioni internazionali in un certo Paese. E’ per questo che il fenomeno dei soggiorni climatici temporanei preoccupa i giudici minorili, i quali giustamente temono che possa trasformarsi in circuito alternativo all’adozione internazionale.

 Nell’esperienza giudiziaria dei tribunali per i minorenni non sono pochi i procedimenti dove si chiede di trasformare l’accoglienza temporanea in adozione, quale che sia la formula giuridica utilizzabile. Pur non essendovi ancora dati statistici precisi al riguardo (ma una ricerca in tal senso è auspicabile) sembra che siano pendenti davanti ai tribunali per i minorenni circa trecento domande di questo tipo. Esse possono sembrare poca cosa rispetto ai trentamila minori in accoglienza temporanea di cui sopra si è detto, rappresentando appena l’uno per cento di quel totale. Ma quelle stesse domande non sono più irrilevanti, se rapportate al numero annuo di adozioni internazionali, che in Italia è di circa tremila. Rispetto a questo numero, il fenomeno rappresenta infatti il 10%.

I dati e le considerazioni che precedono sembrano autorizzare una conclusione: che cioè i minori in accoglienza temporanea devono essere considerati minori a rischio. Come l’allontanamento di un bambino dalla sua famiglia va ponderato con estrema attenzione e va inserito nell’ambito di un progetto finalizzato al definitivo ritorno, così l’allontanamento temporaneo dall’ambiente di vita e dal paese d’origine va ponderato con attenzione anche maggiore per gli effetti psicologicamente negativi che può avere sul bambino e per il pregiudizio che può derivargliene. Posto periodicamente a contatto con realtà diverse e lontane; inserito in un clima familiare caldo ed accogliente ma poi da questo allontanato; illuso di avere finalmente trovato quell’affetto che da tanto tempo cerca, egli rischia di subire frustrazioni e disadattamenti gravi ritornando alla sua immutata situazione abituale. E quando poi questa è, come spesso sembra essere, una situazione di sostanziale abbandono (quando cioè si tratta di minori provenienti da istituti assistenziali), ancora più cocente e talora crudele è la sua sofferenza.  Occorre dunque riflettere se per questi casi non sia più opportuno e più corretto, ove possibile, il ricorso all’adozione internazionale, nel quadro della convenzione de L’Aja e con tutte le garanzie che la convenzione ora appresta. Vale a dire: accertamento dell’adottabilità del minore fatto dalle autorità del paese d’origine; accertamento dell’idoneità della coppia fatto dalle autorità del paese di destinazione; abbinamento minore-coppia concordato fra le autorità medesime; inserimento definitivo del bambino a pieno titolo nella sua nuova famiglia e nella sua nuova terra. Il tutto, nel massimo rispetto e nella convinta e concreta applicazione del principio di sussidiarietà che la Convenzione de L’Aja pone a suo fondamento. E se la condizione di adottabilità manca, meglio allora pensare anzitutto a programmi di sostegno a distanza, a interventi di cooperazione internazionale effettuati nel paese d’origine: a progetti insomma che non richiedano l’allontanamento del minore né dalla sua famiglia né dalla sua terra.

Luigi Fadiga
Magistrato, già presidente della sezione famiglia della Corte d’Appello di Roma

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