Salute e migrazioni

Il fenomeno migratorio contribuirà a determinare un nuovo modello di sanità, più attento alla realtà delle persone che ai profitti nell’erogazione di prestazioni sanitarie, e più orientato verso la prevenzione delle malattie. La presenza degli stranieri rilancerà una politica socio-sanitaria più attenta alle fasce deboli della popolazione

Il fenomeno migratorio è ormai una realtà planetaria. Esso è legato a una serie impressionante di fattori politici, economici, sociali e culturali. Servono pochi dati per inquadrare la questione. Secondo l’ONU, nel 2004, si sono contati oltre 200 milioni di migranti nel mondo, con una incidenza del 2,9% sulla popolazione mondiale di allora: 6 miliardi e 187 milioni. Sul nostro Pianeta, ogni 35 persone residenti, una è nata in un Paese straniero. L’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente è del 8,9% nei Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA), rispetto all’1,9% negli altri Paesi.

Solo negli ultimi vent’anni il problema ha interessato l’Italia che ha sempre risposto, salvo lodevoli eccezioni, con l’adozione di provvedimenti legati all’emergenza o all’ordine pubblico, rinunciando ad analisi più approfondite e a interventi strutturali. La presenza di stranieri è triplicata negli ultimi quindici anni, superando al 1° luglio 2005, i 3milioni e 300mila soggetti che costituiscono ormai il 5,7% della popolazione complessiva. E l’aumento maggiore si è concentrato nell’ultimo triennio, che ha visto addirittura raddoppiare le presenze. Se questo tasso di crescita dovesse perdurare nel tempo, la prospettiva è un raddoppio della popolazione straniera circa ogni tre anni.

Oggi, gli sbarchi quasi quotidiani, di disperati in arrivo dall’Africa rilanciano un’attenzione e un dibattito si spera più elaborato e proficuo nell’interesse di tutti: immigrati e italiani.

Siamo di fronte alla fuga di decine di milioni di persone dalla fame, dalla guerra e dalla mancanza di prospettive di un futuro dignitoso.
Per affrontare in modo finalmente appropriato il fenomeno, il ministro della Salute, Livia Turco, ha istituito il “Centro di Riferimento Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto alle malattie della povertà”, utilizzando a tal fine la pluriennale esperienza della Struttura Complessa di Medicina Preventiva delle Migrazioni, del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto San Gallicano (IRCCS) di Roma. Avrà il compito di sviluppare iniziative volte alla promozione della salute delle popolazioni migranti e, allo stesso tempo, di tutela di quella degli italiani. Provvederà al monitoraggio e alla valutazione dei bisogni di salute delle popolazioni migranti, in collaborazione con la rete di ricerca pubblica e con le più valide esperienze del volontariato e del privato sociale. Sperimenterà modelli di assistenza sanitaria per garantire il rapido accesso ai servizi e la compatibilità con l’identità socio-culturale di queste popolazioni. Curerà la formazione degli operatori socio-sanitari e la consulenza formativa finalizzata ad approcci interculturali. Istruirà mediatori linguistico-culturali in staff socio-sanitari multidisciplinari e si servirà della loro preziosa opera. Promuoverà la collaborazione tra reti internazionali di strutture di ricerca scientifica, cura e assistenza per lo sviluppo della salute delle popolazioni umane mobili, coinvolgendo in particolare l’Organizzazione Mondiale della Salute.

Le immagini di uomini, donne e bambini ridotti allo stremo, che sfidano (e spesso perdono la sfida) la morte tra le onde del Mediterraneo, inducono a chiedersi in che condizioni di salute arrivi in Italia questo popolo di dolenti. C’è un rischio di importazione e di diffusione di patologie da noi ormai rare o debellate? Una domanda lecita che porta ad alcune riflessioni importanti.

I fenomeni migratori in corso, destinati a intensificarsi in futuro, possono costituire un significativo rischio di diffusione di malattie in Italia perché la comunità sanitaria italiana spesso non è adeguatamente preparata alla diagnosi e alla cura. Emerge quindi la necessità di potenziare le competenze, a tutto vantaggio della salute pubblica.

Per questa ragione, occorre garantire, al più presto e su tutto il territorio nazionale, la promozione ed equità della salute per milioni di stranieri che in parte diverranno nuovi cittadini italiani e che sono comunque residenti in Italia. La prima forma di integrazione sociale, infatti, riguarda proprio il diritto alla salute. Sebbene su questo tema siano stati fatti molti passi avanti riguardo alle previsioni normative, a partire dal DL 286/98, la garanzia di uno stabile e continuativo processo di integrazione sanitaria non può certo ancora considerarsi parte del sistema sanitario italiano.

Inoltre bisogna considerare la posizione geografica dell’Italia e la provenienza dei flussi migratori, principalmente dall’Europa centro-orientale e dall’Africa settentrionale: la presenza di queste persone può rappresentare una sfida positiva per la ricerca scientifica e l’assistenza medica che non escludano i Paesi meno sviluppati. Si tratta di applicare la metodologia traslazionale, propria della ricerca scientifica, assistenziale e gestionale (ovvero, dal laboratorio al letto del paziente), ampliandola in senso spaziale: il paziente (e il sistema sanitario) cui possono andare i benefici può stare al di fuori dei paesi dell’Unione Europea. A tal fine si possono sviluppare nuove partnerships internazionali per promuovere il confronto e il miglioramento dei sistemi sanitari dei Paesi di provenienza delle popolazioni migranti. La comunità sanitaria italiana in questo modo adempierebbe al dovere etico e scientifico di mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo le proprie acquisizioni e le proprie competenze.

I dati raccolti e studiati negli ultimi venti anni, dimostrano che il fenomeno migratorio, in Italia, ha assunto ormai una dimensione strutturale che non può essere più affrontato in termini di emergenza. Si tratta di realizzare, fino in fondo, l’indicazione espressa dall’articolo 32 della Costituzione:”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La tutela della salute dei migranti assume, così, un’importanza strategica, anche nell’ottica della salvaguardia di tutte le persone a rischio di emarginazione. Ma anche del resto della popolazione italiana.

I pazienti immigrati hanno un atteggiamento assai diverso dagli italiani di fronte all’esperienza di malattia, dolore, sofferenza e paura della morte. La diversa percezione dei sintomi in rapporto alle differenti culture di provenienza è valida per tutte le popolazioni. È noto che gli italiani ed i medio-orientali, per esempio, a parità di quadro clinico, accusano un maggior numero di sintomi e i francesi prestano al fegato un’attenzione del tutto particolare; mentre l’ansia degli iraniani è attirata dai disturbi cardiaci; i pazienti irlandesi invece si lamentano in particolare di disturbi agli occhi, alla testa e alle orecchie. Benché esistano varie malattie tipiche di determinate regioni del nostro pianeta e più frequenti in alcune etnie, come il Kwashiorkor, il morbo di Kaposi non correlato all’infezione da Hiv, e le treponematosi non veneree, le filariasi, è quasi sempre la fascia più povera delle diverse popolazioni che presenta un rischio maggiore di contrarre malattie tipiche di quella regione, indipendentemente dalla latitudine.

Bisogna tenere conto che spesso gli immigrati usano metafore somatiche come la via più breve e facile all’espressione di emozioni e sentimenti altrimenti non comunicabili. Molto spesso accusano sintomi di tipo cenestopatico (cefalea, disturbi digestivi, dolori vaghi e diffusi, prurito, bruciori alla minzione, preoccupazioni sulla propria salute fisica), senza che vi siano riscontri somatici. Il processo di cambiamento cui deve fare fronte l’immigrato richiede una continua messa in crisi della propria identità storica o culturale. Si dirà che l’immigrato sa in anticipo che gli verrà richiesto un adattamento a situazioni completamente diverse e che questo comporterà un prezzo gravoso; non è tuttavia pensabile che l’anticipazione di una sofferenza sia sufficiente a eliminarla.

Anche la malattia, come la cultura, è diversamente percepita dalle diverse persone che la vivono.

Ancora oggi comunque è possibile evidenziare alcuni punti critici nell’analisi della salute dei migranti che dovranno essere risolti positivamente nell’interesse generale di tutta la popolazione. Si rileva una maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana, dei ricoveri causati da traumatismi: 5,7% negli stranieri contro il 4,8% negli italiani; una più alta incidenza di infortuni sul lavoro, tra gli stranieri rispetto agli italiani: 55,6% contro 43,2% ogni 1.000 lavoratori. Anche la percentuale dei casi di tubercolosi in persone straniere è in costante aumento: dal 21,7% nel 1999 al 39,4% nel 2004, così come l’infezione da HIV/AIDS notificati in stranieri: (dal 3,0% nel 1982-‘93 al 17,9% nel 2005). Il fenomeno della prostituzione è rilevante, con una stima di prostitute immigrate in Italia per l’anno 2005, compresa tra circa 35.000 e 50.000. Inoltre ancora molto critica è la condizione di salute della donna immigrata: è presente un alto tasso di abortività (il 23% di tutte le IVG praticate in Italia, riguarda giovani donne immigrate), la scarsa informazione sanitaria e la pratica ancora diffusa in alcune etnie, nonostante una apposita recente legge lo proibisca, delle mutilazioni genitali femminili.

Occorrerà sempre più impegnarsi perché la presenza degli stranieri rilanci una politica socio-sanitaria più attenta alle fasce deboli della popolazione, alle famiglie che vivono in precarie condizioni socio-economiche e culturali, agli anziani soli, ai pensionati a reddito minimo, alle persone senza fissa dimora. Paradossalmente, potrà essere il fenomeno migratorio a contribuire a determinare un nuovo modello di sanità, più attento alla realtà delle persone che ai profitti nell’erogazione di prestazioni sanitarie, e più orientato verso la prevenzione delle malattie. Mentre ora spesso le Regioni si limitano a erogare o “vendere” prestazioni sanitarie senza intervenire sulle cause delle malattie.

Oggi siamo riusciti a rendere fruibili alcuni servizi alle famiglie immigrate, ma senza che la medicina indagasse sulle cause di malattie dovute al lavoro nero; siamo capaci di praticare interruzioni volontarie di gravidanza nelle strutture pubbliche, ma siamo ancora lontani dal favorire la maternità responsabile per le donne immigrate che percepiscono spesso la gravidanza come l’anticamera del licenziamento. Il cammino è ancora lungo. Oggi abbiamo di fronte una sfida alla quale eravamo fortemente impreparati, ma che dobbiamo affrontare. È venuto il momento di affrontare il problema con competenza scientifica e con passione. È quanto il Centro di riferimento nazionale si propone di fare.

 

 

Aldo Morrone
Direttore Struttura Complessa di Medicina Preventiva delle Migrazioni, del Turismo e di Dermatologia Tropicale. Istituto Scientifico San Gallicano (IRCCS) Roma

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