Figli e senso di colpa

L’affido condiviso è una legge che presuppone civiltà, voglia di ridurre i danni e, comunque, di non scaricarli sui ragazzi, spesso utilizzati come oggetti contundenti. E’ una legge che contiene un giusto messaggio morale, ed è anche evidente che dove non si è in grado di comprenderlo e riceverlo interverrà il giudice

L’attività politica, specie nel corso delle campane elettorali (che da noi ci sono ogni anno), è anche attività di propaganda, e quando la propaganda politica batte il tasto della famiglia si può star sicuri che lo spartito prevede una musica melensa e retorica. Il suono corre dall’ottava dei principi, con il riconoscimento d’essere il nucleo fondamentale della società, a quella delle tutele, con l’assicurazione che la fiscalità dovrà avere la mano leggera, il tutto nell’armonioso diffondersi su quanto dovrà essere fatto per i giovani, in questo caso denominati figli, cui si cerca di assicurare sovvenzioni d’ogni tipo.

Poi la propaganda tace, gli strumenti si ripongono dell’astuccio e la realtà resta quella di sempre.

Non volendo concorrere per il posto di pifferaio, vorrei provare a vedere le cose da un diverso angolo visuale, non condannandomi ad essere per forza gradevole e benvoluto da tutti. Se penso alla famiglia mi vengono in mente tre temi principali: la ricchezza, i servizi sociali, la tutela giuridica.

Il patrimonio delle famiglie italiane è pari, a seconda di come si fanno i conti, ad otto o dieci volte il prodotto interno lordo, che, a sua volta, è quasi pari al debito pubblico. Se pongo l’attenzione al secondo mi accorgo che certo non può dirsi povero un Paese che ha un patrimonio decuplo rispetto al debito, ed è pertanto logico che si guardi a quella massa di ricchezza come una entità ampiamente tassabile. Ma le cose non stano proprio così, perché quel patrimonio è in buona parte composto da immobili, dato che le famiglie italiane sono fra quelle che di più, al mondo, posseggono la casa dove abitano, ma, appunto, se ci abitano è solo teoricamente un patrimonio, mentre la tassa è un sicuro peso finanziario che va a diminuire il reddito disponibile, quindi i consumi. Se, invece, penso al patrimonio con relazione al prodotto, accorgendomi che quest’ ultimo fatica a crescere, mi sovviene che il problema è quello di rendere utilizzabile, valorizzabile, quella ricchezza immobilizzata. Quindi, al contrario di prima, le tasse non devo solo diminuirle, ma anche radicalmente ristrutturarle, in modo da rendere possibile a ciascuno di utilizzare quel che ha per aumentare i consumi e, con questo, ridare velocità all’economia.

Dato che l’Italia dice a se stessa di avere una politica bipolare, fatta da una destra e da una sinistra, sarebbe ragionevole attendersi che gli uni sostengono una cosa e gli avversari l’altra. A voi sembra che così stiano le cose? A me no, a me pare che ciascuno speri di fare tutte le parti in commedia, salvo non avere la più pallida idea di quale modello perseguire e, pertanto, alla fin fine, limitarsi a riscuotere il frutto di una tassazione non ragionevole.

Nel campo dei servizi sociali si può spaziare a piacimento, qui mi limito al settore dell’istruzione. L’aspettativa di una famiglia non è che il settore pubblico interpreti l’istruzione come forma di intrattenimento e sorveglianza dei pargoli, bensì come strumento di crescita culturale e professionale. La nostra scuola pubblica soffre di molti problemi, ma la sua qualità media è ragguardevole. La nostra università no, mediamente è a livelli inaccettabili. Il buon senso può accettare che i cinesi abbiano costi inferiori per unità di prodotto, ma non che sfornino ingegneri di più alto livello dei nostri, e la stessa cosa vale per l’informatica in India e così via. L’assenza di severità e selettività dell’istruzione si trasforma in un danno economico per le famiglie ed in una fregatura per i giovani. S’investe per un futuro migliore, ed in cambio si ottiene solo un diploma di scarso valore. Questa non è solo un’ingiustizia, è una immane dimostrazione di masochismo.

Dire, in una situazione del genere, che dovremmo avere più laureati non significa niente. Dobbiamo lavorare per una formazione molto più qualificante, e per farlo dovremo rivolgere attenzione anche al mondo dei docenti, senza limitarci a lisciarli per il pelo delle loro richieste corporative. Brutto da sentirsi? Assai peggio da viversi.

Anche il tema delle tutele giuridiche si presta a molti svolgimenti, mi limiterò a manifestare il mio stupore per come è stata accolta la riforma relativa all’affido condiviso (dei figli, in caso di separazioni e divorzi). In pratica quasi tutti hanno detto che comporterà una maggiore conflittualità ed un maggior lavoro per i tribunali, che già funzionano a rilento. Fior d’avvocati hanno pianto per questo (lacrime di coccodrillo, essendo attori professionali della conflittualità). Mi colpisce, intanto, che pochi abbiano parlato con la dovuta attenzione dei figli, che sono l’oggetto-soggetto di questa faccenda. E se ne è parlato poco perché si vive con allegrezza la malastagione della deresponsabilizzazione, si tende a volere scaricare gli individui adulti di ogni colpa, di ogni dovere, di ogni responsabilità, ribaltando tutto su un’entità astratta e poco funzionante, denominata giustizia.

Che razza di società è quella in cui tutti sono minorenni, tutti vittime, tutti pronti a scagliarsi contro chi, qualche hanno prima, scelsero come coniuge e come genitore dei propri figli? Il concetto di “colpa” è stato escluso dal processo che porta al divorzio, ed è giusto che sia così, ma deve essere tenuto fermo, anche dal punto di vista morale, nei confronti dei figli. Ecco, l’affido condiviso è una legge che presuppone civiltà, voglia di ridurre i danni e, comunque, di non scaricarli sui ragazzi, spesso utilizzati come oggetti contundenti. E’ una legge che contiene un giusto messaggio morale, ed è anche evidente che dove non si è in grado di comprenderlo e riceverlo interverrà il giudice (non facendo altro che affidare il minore d uno dei due, o a terzi, come già oggi avviene), ma è impressionante che una società intera reagisca come se quella legge contenesse un concetto scandaloso, che, invece, è un pilastro di civiltà: la responsabilità individuale.

Non ne ho sentito parlare, durante la campagna elettorale, mentre ho visto crescere, giorno dopo giorno, un’aggressività da galletti nel pollaio, una conflittualità che aveva smarrito il senso di realtà, lo sfondo sul quale si vedeva l’ombra di quel che dovrebbe essere lo sforzo di interpretare l’interesse collettivo, ovviamente dai diversi punti di vista. Ed ho visto che la cosa continua anche dopo il voto, quando mi è sembrato di cogliere il nesso fra il costume pubblico e tanti conflitti privati: il progredire dell’irresponsabilità.

Davide Giacalone

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