Affido condiviso

Il testo è suscettibile di modifiche tecniche, ma costituisce una pietra miliare fondata sul principio che i figli hanno diritto a crescere con entrambi i genitori. La scelta primaria del giudice sarà pertanto affidarne lo sviluppo ed il sostegno morale ed economico sia al padre che alla madre.

Una scelta coraggiosa, perfettibile, ma coraggiosa: dal 24 gennaio l’affidamento condiviso dei figli minori, in caso di separazione dei genitori, è diventato legge dello Stato, grazie all’approvazione definitiva del testo, da parte  del Senato. Una legge bipartisan.

Il principio che sta alla base dei cinque articoli della legge è  il diritto dei figli a crescere  e a mantenere rapporti sia con la madre sia con il  padre, anche se ormai vivono due vite separate, ma anche con i parenti, si pensi ai nonni. Le nuove norme ci serviranno per scrivere una pagina diversa nella storia del diritto, che assume un volto più civile e più umano, perché lo scopo principe della legge è la tutela dei ragazzi coinvolti nel processo di disgregazione della famiglia, che non si trasformerà più in un evento triste e traumatico per il resto della vita. Per scrivere le norme ci siamo messi dal punto di vista dei figli e ne abbiamo tutelato gli interessi più profondi.E’ questa la novità più importante della legge: la prioritaria scelta del giudice è di assegnare, la crescita lo sviluppo, il sostegno morale e economico, ad entrambi i genitori. Solo in casi eccezionali potrà affidare il piccolo ad uno dei due, ma dovrà farlo con provvedimento motivato.Una legge destinata a farci fare un salto culturale, basata su un testo suscettibile di modifiche tecniche, ma che costituisce una pietra miliare del nuovo diritto di famiglia. Divorziati, risposati, non importa, si resterà sempre e comunque genitori, per garantire ai figli la serenità di cui hanno bisogno per crescere. Il “padre-bancomat” sarà solo un ricordo (triste) del passato, così come la madre che si arrabbia perché non riceve il sostegno economico. Tutti e due i genitori, sempre e comunque, hanno il dovere, diritto, e quindi la libertà di coltivare un rapporto costante con il proprio figlio e quindi l’obbligo di presenza e di partecipazione alla vita dei ragazzi. Certo, non è semplice, perché i genitori non vivono più insieme, anzi spesso alimentano una situazione di acceso conflitto, ma dovere del legislatore in questo caso non era di occuparsi della relazione tra due persone adulte, ma di dare voce all’unico soggetto che fino ad ora ne ha pagato le conseguenze.

L’assegnazione della casa familiare tiene conto dell’interesse della prole. il diritto al godimento dell’abitazione viene meno se l’assegnatario non vi risieda o cessi di farlo, conviva more uxorio o si risposi, ma il giudice deciderà sempre e solo tenendo conto dell’interesse del minore. I figli vengono mantenuti dai genitori, ma resta l’assegno, per il quale si valutano le esigenze del figlio, le risorse economiche e il tenore di vita della famiglia prima della separazione, i tempi di permanenza da ciascun genitore e fatto nuovo il figlio maggiorenne sarà  titolare dell’assegno di mantenimento. Se uno dei due genitori non rispetta l’obbligo di mantenimento il giudice fa scattare delle sanzioni, graduali, che vanno dall’ammonimento alla multa e in casi gravi anche in una pena fino alla reclusione. Obiettivo non è quello di punire, ma di far capite il dovere diritto ad entrambi i genitori di far crescere il proprio figlio; una sorte di deterrente che speriamo porti i diretti interessati a non dover far mai applicare la pena. Uno sguardo alle cifre può mostrare l’impatto del provvedimento. Dal 1975 a oggi, quindi in circa 30 anni, si stima siano 2 milioni e 800 mila le persone separate, ed i figli minori coinvolti attorno ad 1 milione e 100.000, di cui 300.000, non hanno mai visto una famiglia unita. Un altro dato interessante è il sesso del coniuge affidatario dei minori, in circa l’84% dei casi è la madre, mentre il padre sia in caso di separazione (il 96,2%), sia in caso di divorzio (il 95,6%) è il soggetto troppo spesso escluso. La fotografia dell’Istat assegna la patente di fragilità alla famiglia italiana, anche se resta il punto di riferimento stabile per la maggioranza dei figli. Nel 2003 le separazioni sono state 81.744 e i divorzi 43.856, con un incremento pari al 2,6% e al 4,8% rispetto al 2002. Non solo. Sempre nel 2003, il 69,5% delle separazioni e il 60,4% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante l’unione. I figli coinvolti nella crisi coniugale sono pari a 96.031 nelle separazioni e 41.431 nei divorzi, oltre la metà delle separazioni (il 52,5%) e oltre un terzo (36,9%) dei divorzi, risultano coinvolgere almeno un figlio minore. In Italia solo un tribunale, quello di Alba, ha scelto prioritariamente l’affido condiviso, nel 77,8% dei casi (2002). Mi rifiuto di credere che solo i genitori di quella zona siano ragionevoli. Nella quasi totalità la “visita” del padre, stabilita dai tribunali in maniera più frequente, era pari a un week-end ogni due settimane e a due ore un giorno alla settimana.In Italia, a differenza degli altri Stati europei, la separazione è spesso il primo ed ultimo passo della volontà di porre fine ad un matrimonio. Questo è un dato sintomatico. I figli, specie i minori, hanno bisogno di certezze, di punti di riferimento stabili. Per assumere quell’equilibrio essenziale nell’età adulta, è fondamentale che nella vita quotidiana dei ragazzi ci sia la sicurezza della presenza materna, ma anche la stabilità e la vicinanza di quella paterna; la nostra è una società che rischia di essere senza padri. Non si tratta, purtroppo, di chiedere ai genitori di ristabilire una relazione affettiva, ma di individuare il bene possibile per i bambini, i cittadini di domani. Questa legge, pur imperfetta tecnicamente, è sempre meglio della realtà, triste, fino ad oggi consolidata.

senatrice Emanuela Baio Dossi
relatrice della legge sull’affido condiviso

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