Quando l’infanzia resta muta

I diritti dei minori si possono concepire, promuovere, tutelare, solo cambiando punto di vista: non è l’adulto ad attribuirli ma il minorenne ad esprimerli. Diventa allora più corretto parlare di una giustizia “dei” minorenni e non di una giustizia “per” i minorenni

Quando ragioniamo di infanzia dobbiamo sempre ricordare di cambiare le lenti per guardare la realtà, perché la nostra esperienza, il nostro rapporto con la vita, la nostra idea del tempo sono diverse, e non possiamo prendere sul serio quell’età se non comprendiamo che il nostro approccio è specifico di una vita adulta.

Altrimenti resta una distanza e non ci può essere scambio. Se pensiamo che si tratti solo di “dare la parola” all’infanzia, l’infanzia resta muta. Perché l’infanzia non ha bisogno di legittimazione, è soggetto sociale quanto lo sono gli adulti e merita, quindi, parità, merita di essere ciò che è e che noi adulti non siamo più.

Il nostro diritto prende sul serio l’infanzia? Per molto tempo la cultura giuridica ha considerato il bambino solo una speranza d’uomo, lo ha comunque ridotto ad abitante marginale di una città  pensata e costruita a misura dei “grandi”.

Le pagine più recenti hanno, però, proposto uno sguardo diverso e hanno consegnato al  diritto la questione dei diritti dell’infanzia, diritti propri, originali, impegnativi. Essi echeggiano una idea di uguaglianza che, riconoscendo a ciascuno il suo,  impone  il dovere di rimuovere quegli ostacoli che impediscono ai bambini, ai ragazzi, di essere pienamente se stessi.

I diritti dell’infanzia si possono concepire, promuovere, tutelare, solo cambiando punto di vista: non è l’adulto ad attribuirli ma il minorenne ad esprimerli. Diventa allora più corretto parlare di una giustizia “dei” minorenni e non di una giustizia “per” i minorenni.

Nel 1988, quando si mise mano alla riforma del sistema processuale penale, si intuì l’importanza di concepire regole specifiche che prendessero in carico il minorenne deviante. Si ideò, così, un processo penale minorile, che fu scritto in tutta fretta ma rispondeva alla esigenza di un diritto “riservato” alle giovani generazioni.

Compresi i guasti della stagione rieducativa, furono introdotte tecniche di non attivazione del procedimento penale o di fuoriuscita positiva – l’affidamento in prova al servizio sociale, il perdono giudiziale- con l’intento di lasciare al carcere una funzione residuale, come nei fatti è accaduto.

E’ positivo che non abbiano avuto seguito i recenti tentativi di cambiare il processo penale minorile. Il disegno di legge del Ministro Castelli proponeva un irrigidimento “esemplare” delle norme per aprire di più e prima le porte del carcere ai minorenni. Sarebbe stato un inutile e dannoso arretramento del nostro sistema, una controriforma immiserita dall’idea che l’unica reazione al comportamento deviante sia la repressione e che basti, quindi, separare, dividere il minore dalla società perché questa diventi più sicura.

Altro è ragionare, oggi, sulla “giusta misura” della risposta penale al reato del minorenne. Molti ragazzi stranieri arrivano in Tribunale perché coinvolti dalle grandi organizzazioni criminali che li utilizzano per attività illecite. Cambia ed è più drammatico il quadro dei delitti commessi dai minorenni, anche italiani, anche appartenenti ad ambienti della media borghesia. C’è molto da indagare sulla qualità dei loro rapporti familiari, sociali, sulla dimensione della violenza che essi respirano come dimensione “normale”.

La questione è come dargli l’opportunità di comprendere, tramite il processo e la pena, la gravità del fatto commesso e la portata della sofferenza inflitta alla vittima, senza lasciare che il modello negativo resti l’unico riferimento possibile.

E’ indubbio che il nostro sistema penale minorile è inadeguato a questo scopo. Al processo minorile non sono stati affiancati un diritto penale ed un diritto penitenziario “riservati” ai minorenni. Come è possibile ragionare, oggi, dell’imputabilità degli infraquattordicenni quando il modello detentivo o sanzionatorio è ancora quello pensato per gli adulti?

Ci sono alcune priorità sulle quali intervenire se vogliamo risparmiare all’infanzia la “solitudine dei diritti”.  Disponiamo di atti e convenzioni internazionali che sono una buona bussola per orientarci.

Penso alla Convenzione di Strasburgo che ha proposto la questione della rappresentanza processuale dei diritti dell’infanzia. E’ una questione  con la quale vale la pena confrontarci, perché sappiamo bene che i diritti, quando non sono agibili, possono restare lettera morta.

Quando nel 2001 si riformò la legge sulle adozioni, si previde l’assistenza legale obbligatoria per il minorenne coinvolto nel procedimento di adottabilità. Serviva essere conseguenti e ripensare immediatamente le norme sul gratuito patrocinio, sulla difesa d’ufficio e sul contraddittorio processuale. Sono, invece, passati quattro anni e quella previsione è rimasta ancora senza attuazione.

Così accade che il tempo di un processo che serve a decidere per il bambino, a dichiararne l’abbandono e l’adottabilità, rimane un tempo che non gli da voce. Ed intanto, il Governo dice che dobbiamo rendere le “adozioni più facili”, per rispondere alle “istanze di un numero sempre crescente di famiglie e di persone che manifestano la propria disponibilità all’accoglienza”!

Se è vero che abbonda il paniere dei diritti, capiamo bene quanta cura occorre prestare perché il diritto, più o meno distrattamente, non tradisca l’infanzia e torni a preferire il punto di vista degli adulti. Resterebbe un diritto proprietario, egoistico, come lo sono ancora quelle pagine del nostro codice penale che considerano il maltrattamento o la sottrazione di un minorenne un delitto contro la morale familiare e non contro la sua persona!

A chi condivide l’idea di una giustizia dell’infanzia spetta un grande compito: proseguire su una strada che è ancora impegnativa e, insieme, difendere i diritti, renderli inderogabili, sovrani. Una recente ordinanza della Corte Costituzionale ci dice che “la sottrazione dei minori stranieri alla garanzia della legge italiana viola i diritti umani”. C’è ancora molto da fare perché quei diritti, per molti bambini, non vengano violati.

 

on. Marcella Lucidi
presidente commissione giustizia

 

Dr. Massimiliano Fanni Canelles, Sen Giorgio Tonini, On Marcella Lucidi, Dott. Arrigo De Pauli

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