Un quesito storico

(con la consulenza storica della dott.ssa Susanna Lena, presidente del Centro Culturale Egittologico Claudia Dolzani, Trieste)
28 ottobre 2004

Se l’intento di questo articolo fosse quello di permettere la percezione dell’epoca di appartenenza della figura femminile che si andrà a descrivere, la curiosità di proseguire nella sua lettura per scoprirlo sarebbe appagata fin dalle prime righe.

A Trieste, è presente il Centro Culturale Egittologico Claudia Dolzani, fondato e diretto dalla d.ssa Susanna Lena, appassionata esperta della cultura e dell’arte egizia, che lo ha intitolato alla prestigiosa figura della prof.ssa Dolzani, proseguendone il percorso di vita e di studi con le attività culturali di diffusione ed approfondimento dei misteri  sicuramente affascinanti che caratterizzano il mondo egizio.

Nel corso della conferenza “Le donne del Faraone”, ospite relatrice la dott.ssa Maria Cristina Guidotti, direttore del Museo di Firenze, è stata delineata, con tratti che spaziano dal sacro al profano, quella che è la figura femminile nel periodo dell’antico Egitto.

A quei tempi, la donna godeva di un riconoscimento ed un rispetto all’interno della società pari a quelli dell’uomo, i compiti molto diversi tra i due sessi.

Alla donna spettava la gestione delle faccende domestiche e la cura della prole, mentre all’uomo i lavori più pesanti, come l’aratura, l’allevamento del bestiame e la guerra.

Prima di introdurre la figura femminile, è però opportuno accennare all’origine del popolo egizio ad opera della coppia divina Nut e Geb –il cielo e la terra – che, accoppiandosi, hanno dato vita alle figure divine di Iside e Osiride, Seth e Nefti le quali generando a loro volta altre coppie gettano le basi dell’umanità, intesa in senso egizio.

Anche nella religione ebbero parte importante le divinità femminili: oltre a Iside, che con la forza dell’amore vinse la morte, concependo il figlio Horo dopo l’estremo atto di amore con il suo amato Osiride già deceduto, altre dee impersonarono, nel pantheon egiziano, figure dalla forte personalità e carattere. Basti ricordare la dea dell’amore e della gioia, Hathor e la sua controparte malvagia Bastet.

Il tipo di struttura sociale, molto rigida, prevedeva che al vertice vi fosse la figura del Faraone, un riferimento istituzionale ma anche sacro, come si può desumere dall’iconografia, dai monumenti funerari a lui dedicato, dagli scritti che ne decorano gli interni e dall’ampia letteratura, che lo raffigurano come il dio Horus durante la vita terrena e come il dio Osiride dopo la morte con i paramenti sacri, adorato, riverito ed omaggiato con vari generi per il proprio conforto.

La sposa del Faraone doveva possedere altrettanto anelito di divinità ed appartenere alla classe sociale più alta e nobile, per assumere con il matrimonio il titolo di Regina.

Tra le donne dell’Egitto delle quali il nome si tramanda nella storia, nel Nuovo Regno troviamo la regina Hatscepsut che, alla morte del faraone e sposo Thutmose II, assunse la reggenza in nome di Thutmose III, il nuovo re designato dai sacerdoti di Amon, e si proclamò quindi Re, usurpando di fatto l’erede designato.

Era molto bella, fu una grande sovrana e la prima grande donna della storia, che si fece ritrarre con sembianze maschili – pur non celando la propria femminilità – ed i vent’anni del suo regno furono ricchi di pace e prosperità.

Al livello successivamente inferiore alle Regine, troviamo le Sacerdotesse, che costituivano un ceto molto rispettato: si dice fossero ammesse le donne provenienti da ogni classe sociale, ma dovevano essere illibate. Le sacerdotesse più importanti erano dedicate al tempio di Amon a Karnak. Esse ricevevano una buona educazione in campo artistico, specialmente musicale, e la loro funzione non era solamente quella di essere devote garanti del culto religioso ma, ai più alti gradi, poteva  concernere attività di presidio politico per conto del faraone in quelle località più decentrate del suo vasto regno.

Infine non bisogna escludere da quest’analisi le popolane, donne meno privilegiate, che le pitture tombali ritraggono al lavoro a fianco degli uomini nell’atto di svolgere vari compiti.

La condizione di sposa era necessaria, dato che la famiglia monogama era il nucleo della società e la donna nubile non rientrava nell’ideale egizio e il lavoro non era un segno di emancipazione bensì una necessità. Tuttavia consentiva una certa libertà di movimento e una notevole possibilità di frequentazioni extrafamiliari.

Le faccende tipicamente femminili erano il compito di domestica della regina, di nutrice, della  preparazione di unguenti, della birra, del pane, della filatura.

La “signora della casa” era colei alla quale veniva attribuita la responsabilità della vita domestica, che di fatto spettava alla donna. Ella organizzava tutta la vita quotidiana, amministrando i beni comuni.

Dal punto di vista giuridico, già nell’Antico Regno la donna era indipendente: poteva far valere i propri diritti in tribunale ed esprimere liberamente la propria volontà nel disporre dei beni privati. Il matrimonio era sancito da un contratto che, alla morte del marito, assicurava alla vedova la sua parte di patrimonio. Nella civiltà egiziana la donna svolse sempre un ruolo considerevole, spesso assai più importante che nelle altre civiltà del Mediterraneo. A favore dell’ipotesi che la condizione

femminile in Egitto fosse migliore che altrove, comunque, si può considerare che quando l’Egitto venne conquistato dapprima dai greci e quindi dai romani, sia il diritto greco sia quello romano introdussero, nella zona, modifiche favorevoli all’autonomia femminile.

Nella scala sociale, al punto inferiore troviamo le donne che concedevano prestazioni sessuali in cambio di beni di consumo, poiché la moneta – benché conosciuta – non veniva utilizzata (spesso venivano denominate “le altre”, non sposate e senza figli), e le concubine, che oltre a soddisfare le esigenze extraconiugali dell’uomo sia all’interno che all’esterno del focolare domestico istituzionale, venivano raffigurate in piccole statuine e deposte nella tomba accanto al defunto per continuare ad assolvere la propria funzione anche nell’oltretomba.

Molti oggetti della vita quotidiana ci fanno sentire ulteriormente vicine alla donna egiziana nella sua multiforme funzione sociale.

Risalgono a quell’epoca i primi specchi e gli oggetti per la toletta,  sappiamo che la donna si valorizzava attraverso l’utilizzo di parrucche, monili, sottolineava lo sguardo con abbondante khol nero, tatuaggi decorativi e curava particolarmente l’abbigliamento: in alcune raffigurazioni, si vede l’utilizzo del plissè nella confezione di tuniche e gonnellini.

Noi, donne del 21° secolo, con alle spalle millenni di sottomissione, abbiamo solo recentemente conquistato l’emancipazione, i diritti giuridici e politici che ci permettono di essere valorizzate dalla società moderna. Ma forse non siamo così diverse dalle donne dell’antico Egitto, regine capaci e agguerrite politiche, madri affettuose e mogli devote, lavoratrici per necessità e muse divine capaci di ispirare alte liriche d’amore ma anche ardenti passioni terrene. 

 

Marina Galdo

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