Unione Sovietica, nostalgia canaglia

Quasi il 60% dei Russi definisce una sciagura la caduta dell’Urss

La falce e il martello sono ancora ben visibili in molti monumenti.

La falce e il martello sono ancora ben visibili in molti monumenti.

In Italia, soprattutto nel Nord-Est, conosciamo da vicino la “Jugonostalgia”. Nonostante l’avvicinamento – e per alcuni Paesi l’entrata – verso l’Unione Europea, negli ultimi anni questo è un sentimento tutt’altro che sopito.
In Russia, nella terra del capitalismo sfrenato, ma – al contempo – delle enormi disuguaglianze sociali, il fenomeno si è concretizzato in una simpatia di rimando per l’ex Unione Sovietica. Lo si evince dall’utilizzo simbolico così diffuso ancora oggi di ciò che fu l’Urss per oltre settant’anni. Una nostalgia emersa con virulenza già durante gli anni ’90, all’epoca del dissesto economico sotto Eltsin, quando il passaggio dall’economia statalista a quella liberista fu gestito in modo poco trasparente, svendendo fabbriche, impianti e tecnologie agli amici degli amici e dimenticandosi completamente di salvaguardare le classi sociali meno abbienti. La nostalgia è comunque rimasta anche dopo, durante il boom economico e l’ascesa di Putin, ed anche – e forse di più – ai giorni nostri, con la crescita ferma, il rublo svalutato, le borse in picchiata e gli stipendi che non salgono. Poche le differenze di genere o sociali: la nostalgia di un sistema che rendeva tutti più o meno uguali non fa distinzioni.
Falci, martelli, stelle rosse, divise e berretti militari: non c’è città russa in cui la simbologia non richiami ai valori tradizionali, epici, alle imprese della Seconda Guerra Mondiale, alla sconfitta nazista, al ruolo internazionale che l’Unione Sovietica ha ricoperto per tre quarti di secolo. Non è un caso che, con l’idolatria per i tempi antichi, ci sia più di qualcuno che faccia business: il riferimento non è alle tante bancarelle di souvenir di Mosca o San Pietroburgo, ma ad uno dei canali satellitari russi con il maggior numero di abbonati, Nostalghija. Trasmette solo vecchi film d’epoca e perfino repliche dei notiziari sovietici. Roba da collezione.
Sul periodo staliniano si dissociano in molti (ma non tutti: il partito comunista ha riammesso l’immagine del dittatore georgiano nelle proprie bandiere…), ma parlar male di Lenin, del rivoluzionario che mandò a casa gli zar, è quasi peccato. Un po’ come lo è criticare Putin, specie oggi che il mondo guarda con sospetto allo zar del terzo millennio. “Più ci accerchiano e più ci uniscono” è il motto della Russia 2.0. Con buona pace dell’Occidente, che di quel che accade ad est del continente ci capisce ben poco.
Simbolismo, appunto, ma anche percezione. E dati, numerici e statistici. Ad iniziare da quelli di vent’anni fa, per intenderci, fino ai più attuali, per dimostrare che il sentimento popolare nella Federazione non è cambiato più di tanto. Nel 1995, il 63% dei Russi conservava una valutazione positiva della loro vita nell’ex Urss. Era il periodo di una crisi sociale molto aspra e di una condizione economica incredibilmente deficitaria. Nel decennio successivo la situazione è migliorata, la capacità di spesa aumentata, la classe media ha iniziato a viaggiare, a conoscere il mondo. Eppure, i dati dei sondaggi sono rimasti pressoché identici: la nostalgia è rimasta intatta. Ed i numeri sono gli stessi anche dieci anni dopo, ai giorni nostri: nel 2009 il 58% definiva una disgrazia la caduta dell’Unione Sovietica. Più o meno la stessa idea del presidente Putin, che da ex agente del Kgb non hai mai nascosto la sua avversione per la fine del comunismo e della politica dei due blocchi.
Dopo la dissoluzione, la politica ufficiale ha cercato in tutti i modi di prendere le distanze dal regime sovietico. Oggi, quella attuale ne difende non tanto i contenuti quanto, soprattutto, la potenza, il prestigio internazionale, il timore nutrito dall’Occidente. La nostalgia, insomma, non è più solo un riflesso della crisi. Non è più un sentimento esclusivo di chi oggi non arriva a fine mese mentre, durante il regime, aveva casa, cibo e lavoro assicurati. I nostalgici di oggi possono essere economicamente abbienti e culturalmente raffinati, non è la scala sociale che li distingue. È un rimpianto che trae origine da fattori diversi, spesso quasi in antitesi. C’è chi non riconosce i valori occidentali, chi si ente tuttora accerchiato dalle politiche americane ed europee, chi non possiede un concetto radicato di Democrazia e continua a sognare la Grande Russia, chi è semplicemente ancorato alle tradizioni. Persino chi vive una nostalgia più interna, socio esistenziale, di un mondo più povero, ma autentico, di un popolo in difficoltà, ma sempre pronto all’aiuto reciproco. Non come quello odierno, asettico ed individualista.
Ognuno ha le sue ragioni, ognuno “rivive” la vecchia Unione Sovietica a modo suo. Con buona pace di tutti quelli – noi compresi – che fanno fatica a rapportarsi con quell’universo, a capirlo, ad interpretarlo correttamente.

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