Un laboratorio costituzionale

Laura Montanari

Si possono individuare due o, in alcuni casi, tre cicli costituzionali che possono essere letti in relazione ai rapporti con le istituzioni internazionali in generale e con l’Unione Europea in particolare. Ad oggi, però, solo Slovenia e Croazia sono riuscite a diventare Paese membro UE

Riflettere, a più di vent’anni di distanza dalla dissoluzione della Jugoslavia socialista, sulla situazione dei Balcani occidentali impone di confrontarsi con un quadro ancora in evoluzione e, per molti aspetti, incerto. Dopo l’avvio della transizione costituzionale, i nuovi Stati indipendenti hanno seguito percorsi diversi, accomunati dall’obiettivo dell’integrazione nell’Unione Europea, ma fortemente condizionati dalle vicende storiche e, in particolare, dai drammatici conflitti che hanno interessato l’area all’inizio degli anni ’90.
Basti ricordare che solo la Slovenia ha partecipato all’allargamento del 2004, mentre gli altri Paesi hanno affrontato un complesso processo di avvicinamento che, ad oggi, unicamente nel caso della Croazia si è concluso positivamente, con l’adesione avvenuta il 1° luglio 2013.
Dal punto di vista costituzionale – ed è questa la prospettiva di indagine che si intende sviluppare in questo contributo – i Balcani occidentali si sono rivelati un vero “laboratorio” in cui si sono sperimentate diverse soluzioni volte ad accogliere i principi dello Stato costituzionale di diritto (o Stato di derivazione liberale). Si possono individuare, infatti, ben due o, in alcuni casi, addirittura tre cicli costituzionali che possono essere letti in relazione ai rapporti con le istituzioni internazionali in generale e con l’Unione Europea in particolare.
Il primo ciclo costituzionale si colloca negli anni ’90, nell’immediatezza della transizione, e si caratterizza per una forma di condizionamento esterno per così dire implicito, in quanto i Paesi dell’area, come in generale tutti i Paesi dell’Est, dopo la caduta del sistema socialista aspirano ad essere riconosciuti come ordinamenti democratici e a tal fine orientano le proprie scelte costituzionali. Significativo è l’esempio della Serbia dove, nel 1990, un’Assemblea formata dai delegati del partito comunista adotta una Costituzione che – sulla carta – delinea un modello di Democrazia di derivazione liberale (sulla carta, perché non si deve dimenticare che si tratta della Serbia di Milošević). Analogamente, tra il 1990 e il 1992, tutti i nuovi Stati formatisi nell’area balcanica adottano Costituzioni con tali caratteristiche. Va ricordato che solo la Serbia e il Montenegro mantengono un assetto federale, andando a formare quella che viene definita la Terza Jugoslavia.
Le organizzazioni europee – Consiglio d’Europa e Unione Europea – guardano con interesse a queste vicende e cercano di definire progressivamente una strategia di integrazione per i Paesi dell’Est. Nel 1989 viene istituita la figura dell’Invitato speciale all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; nel 1990 viene creata la Commissione di Venezia (Commissione per la Democrazia attraverso il diritto) che collabora alla scrittura delle nuove Costituzioni;
nel 1993 entrambe le organizzazioni con l’adozione della Dichiarazione di Vienna (Consiglio d’Europa) e dei criteri di Copenaghen (Unione Europea) precisano le condizioni e le modalità per l’adesione.
Rispetto ai Balcani occidentali, tuttavia, l’Unione Europea non è in grado di sviluppare un’azione unitaria e significativa, come emerge con evidenza nella drammatica vicenda del conflitto in Bosnia ed Erzegovina, che cesserà solo con l’intervento delle Nazioni Unite e, soprattutto, degli Stati Uniti. In questo contesto, tra l’altro, si arriva all’adozione dell’ultima Costituzione riconducibile al primo ciclo – quella della Bosnia ed Erzegovina – scritta in ambito internazionale, essendo l’allegato n. IV del Trattato di pace di Dayton del 1995. Si tratta di un interessante esperimento di “ingegneria costituzionale” volto ad assicurare l’assoluta parità tra i tre popoli costituitivi (Serbi, Croati e Bosniaci) che, tuttavia, non è mai stato in grado di assicurare l’efficiente funzionamento delle istituzioni e la piena pacificazione del Paese. È emblematico, del resto, che, a distanza di quasi vent’anni, non si sia ancora riusciti ad approvare, a livello statale, un nuovo testo condiviso.
Nel 2000, dopo la caduta di Milošević, prende avvio il secondo ciclo costituzionale il quale, da un lato chiude la fase più tormentata della transizione, dall’altro tenta di consolidare i risultati raggiunti evitando il sorgere di nuovi conflitti.
Anche la posizione dell’Unione Europea si fa più precisa ed aperta nei confronti dei Balcani occidentali e, nel novembre del 2000, con la Dichiarazione finale del Vertice di Zagabria, prende ufficialmente avvio il Processo di stabilizzazione e associazione, che presuppone come prospettiva di fondo quella di una piena integrazione nel sistema della UE.
Sul piano costituzionale, osserviamo diversi interventi di riforma, nei quali appare evidente l’influenza della UE. Nel 2001, in Macedonia viene modificata la Carta fondamentale per dare attuazione agli accordi di Orhid, sottoscritti nell’estate grazie alla mediazione della UE e della NATO per superare le tensioni con la minoranza albanese. Ancora più significativo è il caso di Serbia e Montenegro, dove l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune della UE ottiene la firma di un accordo tra i due Paesi poi trasformato nella nuova Costituzione del 2003. Nasce così l’Unione di Serbia e Montenegro, una sorta di “unione a termine” che, in effetti, si è dissolta nel 2006 quando, allo scadere del periodo transitorio, il Montenegro si è avvalso della clausola che permetteva la secessione. Anche in questo caso, le scelte costituzionali sono determinate dall’obiettivo di giungere all’integrazione nella UE, espressamente richiamato all’art. 3. Paradossalmente, questa stessa prospettiva ha probabilmente contribuito anche alla dissoluzione dell’Unione, nel momento in cui il Montenegro ha ritenuto che “senza la Serbia” (sui cui pesavano i problemi relativi alla collaborazione con il Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia) sarebbe stato più semplice l’avvio del processo di adesione. Nonostante la diversità della situazione, anche le riforme adottate nel 2004 dalla Slovenia sono funzionali a facilitare l’adesione, che interviene nel medesimo anno (si pensi, ad esempio, all’introduzione di una “clausola europea”). Infine, la Croazia. Qui gli emendamenti costituzionali sembrano legati soprattutto all’evoluzione della situazione politica interna dopo la morte di Tudjman. Gli interventi più significativi – nel 2000 e nel 2001 – riguardano la forma di governo, per ridurre le possibilità di derive autoritarie. La tensione verso la UE gioca comunque un ruolo importante, soprattutto con riferimento all’attuazione delle norme costituzionali relativealla tutela dei diritti.
Il percorso di avvicinamento dei Balcani occidentali alla UE, che sembrava abbastanza definito nella politica delineata nel vertice di Salonicco del 2003, ha però subito una battuta d’arresto dopo la bocciatura del Trattato costituzionale e, soprattutto, a seguito della gravissima crisi economica diffusasi a livello globale negli ultimi anni. La nuova posizione di maggiore prudenza, per non dire di chiusura, dell’Unione Europea non è stata priva di conseguenze sulle riforme più recenti, che per alcuni Paesi corrispondono ad un terzo ciclo costituzionale. Il riferimento è alle nuove Costituzioni di Serbia (2006) e Montenegro (2007) adottate dopo la dissoluzione dell’Unione, ma anche al dibattito sempre aperto sulla Costituzione della Bosnia ed Erzegovina, che si possono leggere in una prospettiva prevalentemente nazionale, anzi, in un certo senso, di riaffermazione della sovranità nazionale. Ovviamente, ancora più significative in quest’ottica – pur senza affrontare le questioni aperte sul piano del diritto internazionale – sono la dichiarazione unilaterale di indipendenza e la successiva approvazione della Costituzione in Kosovo nel 2008.
In assenza di un quadro di riferimento complessivo per lasoluzione dei gravi problemi che ancora attanagliano l’area, ogni Paese pare chiamato a percorrere in modo autonomo, per non dire concorrenziale, il proprio cammino verso l’Europa.

Laura Montanari
professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università degli Studi di Udine

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