Prospettive diverse

di Mohamed Maalel

In Italia, disoccupazione giovanile e “licenziamenti facili” sono considerati normali. Osserviamo, invece, il modello tedesco, esempio di solidarietà ed efficacia.

Concludere l’Università rappresenta uno degli obiettivi più importanti della mia vita. Un percorso fatto di serate sacrificate a casa, ansia, tensione, ma anche grandi soddisfazioni personali. Un dubbio mi frena, quasi come il peso dello zaino sulle spalle di un piccolo scolaro: cosa succede poi? cosa farò? troverò un lavoro? L’idea di andare all’estero mi intriga, ma, al tempo stesso, mi limita: il talento non ha nazionalità. Ma perché, allora, in Italia è così difficile lavorare? Sulla rete leggo le lamentele di amici licenziati con motivazioni molto deboli. Per capire al meglio come funziona il lavoro in Italia bisogna conoscere il famoso articolo 18. Ci troviamo all’interno dello Statuto dei Lavoratori, la fonte di diritto «sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro». L’articolo 18 indica diritti e limiti inerenti i licenziamenti. Il lavoratore che ritiene di essere destinatario di un provvedimento illegittimo può ricorrere al giudice per ottenere la reintegrazione o il risarcimento del danno. Quando il licenziamento è discriminatorio oppure nullo perché comminato in violazione di norme fondamentali, si applica la cosiddetta “tutela reale piena”: il lavoratore viene reintegrato alle condizioni previgenti, con il medesimo trattamento economico ed occupando lo stesso profilo funzionale. Il lavoratore reintegrato vanta, altresì, il diritto di optare per la corresponsione di un’indennità in luogo del rientro effettivo.
Nettamente diverso quanto accade in Germania. Grazie al basso tasso di disoccupazione, questo Paese riesce a garantire effettivamente il diritto al lavoro a favore di chiunque ne faccia richiesta. Come mai? La normativa della Mitbestimmungsgesetz prescrive una sorta di congestione. Nelle imprese con più di cinque dipendenti, si garantisce la possibilità di costituire un Consiglio di fabbrica composta da rappresentanti dei lavoratori. Questo organo svolge un ruolo fondamentale in occasione di un licenziamento. Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il Consiglio rappresentando i motivi che giustificano il provvedimento. Compito del Consiglio è quello di stabilire se l’atto sia “socialmente giustificabile” sulla base della situazione peculiare del lavoratore, della sua condotta o dell’attività esperita dell’azienda. Grazie alla mediazione del Consiglio, generalmente si perviene ad un accordo attraverso il pagamento di un equo indennizzo. Diversamente, il caso viene rimesso al giudice. Nel caso in cui il lavoratore vinca la causa, le soluzioni sono rappresentate dalla reintegrazione o dal risarcimento del danno. Va però segnalato che la reintegrazione avviene molto raramente. D questo sommario confronto con un modello economicamente stabile come quello tedesco emergono degli elementi che potrebbero essere acquisiti anche da noi, in ossequio ad un principio di correttezza e proporzionalità. Personalmente, spero che la situazione italiana possa migliorare. Non vorrei essere l’ennesimo giovane costretto a spostarsi all’estero.

di Mohamed Maalel
Collaboratore di SocialNews

Mohamed Maalel

Metà pugliese, metà tunisino. Classe 1993, studia Scienze della Comunicazione presso l’Università degli studi di Bari. Blogger, divoratore seriale di libri ha cercato sempre di tenersi le mani ed il cervello occupati diplomandosi in un alberghiero, acquisendo un B2 in inglese presso il Trinity College di Londra nel 2011 e partecipando ad un progetto formativo che l’ha portato due mesi a Dublino, la terra delle grandi opportunità per i piccoli sognatori . Ed è proprio a Dublino che l’amore per la scrittura ed il giornalismo è maturato, grazie alla collaborazione con il giornale italo-irlandese “Italia Stampa”. Dalla madre italiana ha imparato il significato dei sacrifici, dal padre tunisino che la guerra è puro nutrimento spinto da interessi altrui. 

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