Le ipotesi eziopatogenetiche

L’encefalo del bambino autistico viene indagato sotto diversi punti di vista e la letteratura è molto ricca.
Qui faremo cenno solo ai contributi che ci sembrano più interessanti e che esprimono filoni di ricerca al momento seguiti e promettenti.

Donatella Palma, Aldo Diavoletto

donatella palma aldo diavolettoNelle sue diverse accezioni, l’autismo infantile (ASD) viene identificato in un numero sempre crescente di casi, destando interesse in ambienti clinici e di ricerca, e arricchendo la letteratura di tanti contributi.
Quando, nel 1943, Kanner descrisse per primo la sindrome, denominandola “disturbi autistici”, la definì come “inabilità innata per i contatti interpersonali”, dovuta ad un disturbo dello sviluppo cerebrale.
Pur ammettendo la presenza di un possibile difetto biologico nel bambino autistico, per spiegare il quadro clinico gli autori che si riferiscono a quest’ottica pongono l’interesse soprattutto sulla relazione madre-bambino e sulle anomalie dell’organizzazione della personalità del bambino, i fantasmi angoscianti e i meccanismi di difesa messi in atto contro l’angoscia.
Oggi l’encefalo del bambino autistico viene indagato sotto diversi punti di vista e la letteratura è molto ricca.
Qui faremo cenno solo ai contributi che ci sembrano più interessanti e che esprimono filoni di ricerca al momento seguiti e promettenti.

Crescita della circonferenza cranica
Alcune ricerche hanno segnalato un anomalo ritmo di crescita del cervello nel primo anno, suggerendo il secondo semestre di vita come periodo critico per lo sviluppo dell’autismo. Tale accrescimento, spesso preceduto da una misura ridotta alla nascita, è caratterizzato da un improvviso incremento a partire dai 3/4 mesi, raggiungendo, verso il 18° mese di vita, valori superiori alla media, fino, in alcuni casi, alla macrocrania.
Questo dato è interpretato come espressione di un disturbo della maturazione del cervello. Il cervelletto, la corteccia entorinale, l’ippocampo e l’amigdala presentano aumentata densità delle cellule nervose e ridotte dimensioni delle stesse. Lesioni in queste aree producono effetti sulla motivazione, sull’emozione, sull’apprendimento, sulla memoria e sulle interazioni sociali, comportamenti anormali nei soggetti con autismo. Il particolare andamento della circonferenza cranica è congruente con il fatto che l’autismo sia caratterizzato da un quadro clinico più sfumato nel primo anno di vita e con il fatto che, di solito, si osserva un aggravarsi della costellazione sintomatica, fatta di ritiro, ipoattività e depressione dell’umore, durante il secondo semestre di vita, quando non si verifica il passaggio da comportamenti sociali semplici a comportamenti sociali complessi, cioè dall’intersoggettività primaria all’intersoggettività secondaria.
La linea nera indica la crescita media della circonferenza cranica nell’autismo. La media è costruita a partire dai valori, indicati dai puntini, nelle singole età e per ciascun bambino. I correlati neurologici che formano il substrato clinico dei comportamenti osservati nei soggetti con autismo sono schematizzati nella tabella 1.
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Genetica 
Attualmente, si ipotizza che nell’autismo siano implicati tra tre e venti geni. Ognuno di questi agisce come fattore di rischio, in grado di causare l’insorgenza della malattia, solo in presenza di altri fattori di rischio (genetici o ambientali) che favoriscono l’espressione dei geni “malati”.
Nella popolazione generale esisterebbero, quindi, molti soggetti normali, portatori di geni predisponenti all’autismo, i quali non l’hanno sviluppato perché non sono intervenuti altri fattori “precipitanti”.
Le prime evidenze di una base genetica dell’autismo provengono dall’osservazione che i gemelli omozigoti hanno una probabilità molto maggiore (fino al 90%) di ricorrenza della malattia rispetto ai gemelli dizigoti.
In una minoranza di casi (meno del 10%), l’autismo risulta associato ad anomalie cromosomiche o a malattie a trasmissione mendeliana. Per il restante 90% dei casi, il modello di ereditarietà più probabile non è quello monogenico, ma uno in cui più geni concorrono alla predisposizione al disturbo.
Alla complessità del quadro si aggiunge l’influenza di fattori ambientali. Il lavoro di Betancour presenta un “elenco” di ben 103 genimalattia descritti come mutati, deleti, duplicati o frammentati per una traslocazione avvenuta al punto di rottura in individui con tratti chiaramente ASD o con parziali comportamenti autistici.
Ciò porta a concludere che – allo stato attuale della ricerca – l’autismo “essenziale” (con le forme dello “spettro” ad esso riferibili), sotto il profilo genetico va considerato come il risultato di molteplici “disordini genetici” del cervello piuttosto che il risultato di un unico fattore genetico ad “azione multifocale”, con risultati diversi in rapporto ai singoli casi. Le attuali conoscenze fanno attribuire serie responsabilità ad un abnorme (o comunque irregolare) neurosviluppo e, pertanto, a fattori epigenetici agenti nella fase embrionale e fetale. I fattori ambientali per i quali esistono evidenze certe di causalità nell’autismo sono: esposizione a farmaci come talidomide e anticonvulsivanti; carbamazepina; infezioni virali; pesticidi organofosfati. Tutti ad azione in epoca prenatale precoce. L’azione è esplicata con danno diretto su enzimi cellulari del tessuto nervoso embrio–fetale, ma anche con danno indiretto sulla funzione placentare. In generale, si ammette che l’embrione/feto abbia “finestre” temporali sensibili agli insulti di agenti esterni attivi nello sviluppo cerebrale, più permeabili rispetto a quelle del bambino.

Autismo da vaccini
In un suo lavoro, Wakefield affermò di aver trovato anticorpi del virus del morbillo nell’intestino di (pochi) bambini autistici, facendo nascere l’ipotesi che i vaccini (in particolare il trivalente, morbillo-parotite-rosolia) potessero essere causa di autismo. In seguito si scoprì che Wakefield aveva realizzato un falso, inventando i dati e manipolando le conclusioni. La frode causò un danno alla corretta ricerca scientifica e, con il calo delle vaccinazioni, in Gran Bretagna il morbillo tornò ad essere endemico dopo anni dalla sua scomparsa. Lo studio fraudolento fu ritirato da Lancet. Wakefield venne radiato dall’ordine dei medici e definito “disonesto, insensibile ed immorale”. I dubbi nell’opinione pubblica, però, rimasero.

Autismo da mercurio
Oggi, neonati e bambini sono esposti a basse dosi di mercurio, usato come conservante dei vaccini e iniettato a più riprese direttamente nel sangue. Nel febbraio del 2001, alla conferenza sulla «Disintossicazione dei bambini autistici», fu dimostrato che il trattamento con chelanti del mercurio in circa 1500 pazienti autistici aveva consentito evidenti miglioramenti. Nel giugno del 2000, la Commissione USA sulle vaccinazioni ha valutato la correlazione tra esposizione al thimerosal (il mercurio nei vaccini) e specifici sintomi, come ritardi dello sviluppo, tic, sindrome di deficit di attenzione, minori capacità di linguaggio e di apprendimento in 400.000 bambini seguiti nell’ambito del monitoraggio sulla sicurezza dei vaccini.

Autismo da virus
Il meccanismo delle encefaliti virali è noto e noti sono anche casi di autismo successivi ad encefaliti virali. Il passaggio dall’attacco del virus latente (vaccinale) all’autismo è meno ovvio e più articolato.
È stato segnalato che i livelli di anticorpi a rosolia e morbillo in bambini con diagnosi di autismo erano del 300% superiori a quelli normali. Questi livelli di anticorpi possono essere interpretati come un’attivazione cronica del sistema immunitario contro un’infezione subclinica.
Ricercatori del Royal Free Hospital di Londra hanno dimostrato, mediante colonscopia, la presenza nell’intestino del virus latente del morbillo nel 100% dei bambini la cui regressione autistica era iniziata con reazioni avverse alle vaccinazioni.

Autismo da fenilchetonuria
La fenilchetonuria è determinata dall’assenza dell’enzima fenilalanina-idrossilasi che trasforma la FA in tirosina. Nell’organismo si determina, così, l’accumulo di notevoli quantità di fenilalanina, determinando limiti di apprendimento, disabilità mentale e altri problemi neurologici. Sintomi autistici sono ben documentati nei casi di fenilchetonuria e regrediscono se si provvede per tempo alla rimozione delle fonti alimentari di fenilalanina.

Autismo da istidinemia e altre carenze metaboliche
Le conseguenze neurologiche e comportamentali di tale intolleranza possono essere molto gravi se non si individua e non si rimuove la fonte del problema, la sostanza che l’organismo non riesce a processare.

Disordini gastrointestinali collegabili alla patogenesi dell’autismo
La frode di Wakefield, con la (presunta) sequenza vaccinazione – disturbi intestinali (enterocolite) – autismo, ha indotto ad approfondire i rapporti fra autismo e patologia intestinale pediatrica.
Il fatto è stato giustificato sia per l’alta prevalenza dell’associazione rilevata in alcune casistiche (pari al 70%), ma non sempre confermato, sia, soprattutto, perché il tratto gastro-intestinale rappresenta l’organo immunitario più esteso del corpo, contenendo sino all’80% delle cellule produttrici di Ig (immunoglobuline).
L’attenzione, dunque, si è spostata sui correlati problemi immunitari, considerando che i bambini affetti da sindrome autistica dimostrano un’elevata infiltrazione panenterica di linfociti e deosinofili, gli elementi produttori di immunoglobuline. Si raccomanda, quindi, la bonifica attenta dei disordini intestinali del soggetto autistico e la ricerca di una dieta adeguata sia alla nutrizione, sia al controllo dei sintomi gastro-intestinali in ogni bambino autistico.

Teorie immunitarie
Alla base di queste teorie esiste l’evidenza dell’associazione tra infezioni prenatali e autismo infantile. Ley S. et al. (2010) giustamente avvertono che “il sistema nervoso e il sistema immunitario condividono risposte funzionali agli stimoli dannosi”, anche per la connessione anatomica offerta dalla presenza di siti di controllo immunitario del sistema nervoso.
È stato, inoltre, segnalato l’importante ruolo svolto nello spettro autistico dalle risposte immunitarie (vi è una produzione diversa dalla norma di varie citochine: aumentata nei soggetti autistici per quelle che controllano l’infiammazione; diminuita per quelle associate alla migliore funzione cognitiva e dell’adattamento).

Ipotesi neurochimica
Tra i fattori biochimici prevalentemente coinvolti nella genesi dell’autismo ci sono quello dopaminergico, serotoninergico e noradrenergico, le proteine gliali e gangliosidi ed il metabolismo cerebrale.
L’alterazione di questi sistemi conduce, parimenti, ad un’alterazione dei neuromodulatori, quali la dopamina, la serotonina, il gaba, il glutammato, la glicina. Ne consegue l’alterazione anche della neurotrasmissione.
Si invoca il ruolo del sistema dopaminergico nel disturbo autistico poiché funzioni come la percezione e l’attenzione, regolate dalla dopamina, risultano compromesse nei soggetti con autismo; inoltre, agonisti dopaminergici, come le anfetamine, aggravano la sintomatologia; infine, farmaci neurolettici con un meccanismo competitivo sui recettori specifici per la dopamina provocano un miglioramento della sintomatologia.

L’Autismo come disturbo della connettività cerebrale
Il disturbo della connettività neurale nell’autismo è caratterizzato da un eccesso di connessioni locali e da un difetto di connessioni a distanza tra differenti regioni funzionali del cervello.
Questa organizzazione atipica della connettività è dovuta ad eccesso di apoptosi (morte cellulare programmata), pruning (potatura delle arborizzazioni neuritiche), migrazione neuronale, eliminazione/formazione delle sinapsi, mielinizzazione.
L’ipotesi dell’autismo come disturbo della connettività è congruente con il fatto che, in questa patologia, gli organi sensoriali che fanno arrivare al cervello gli stimoli del mondo esterno non sono primariamente difettosi (ad esempio, si tratta di bambini che vedono e sentono bene), quanto, piuttosto, lo sono i sistemi centrali deputati alla loro elaborazione.
È noto che il bambino con autismo appare ai genitori sordo pur risultando del tutto regolare all’esame audiometrico.

La Teoria della Mente
Per Teoria della Mente (TdM) si intende la capacità di inferire gli stati mentali degli altri ponendosi nei loro panni. Il suo sviluppo permette di utilizzare le informazioni per comprendere ciò che gli altri pensano, attribuire significato al loro comportamento e prevedere ciò che faranno. Le conseguenze di deficit della TdM sono varie: incapacità di cogliere le situazioni sociali e ciò che è implicito in tali interazioni; presenza di comportamenti socialmente inappropriati; difficoltà nella pragmatica della comunicazione; difficoltà nella comprensione delle emozioni (felicità, tristezza, rabbia, paura) nonché variazioni nel volume e nella simmetria dei due emisferi.

Conclusioni
La rassegna dei fattori a vario titolo implicati nella genesi dei disturbi contemplati nello spettro autistico risulta evidentemente eterogenea. D’altronde, l’Autismo risulta complesso e variegato nelle sue manifestazioni, come si evince anche dalle differenti classificazioni succedutesi negli anni.
Ciò indica che non va ricercata una causa unica ed unitaria, ma va posta attenzione ad osservare quali delle possibili cause possano aver contribuito a determinare la sindrome del singolo paziente.
Le tecniche di ricerca sempre più raffinate potranno così consentire l’individuazione della genesi patologica nel caso specifico. Questa appare, oggi, la premessa più valida per la definizione e l’attuazione di un efficace piano terapeutico.

Donatella Palma, Neuropsichiatra dell’età evolutiva – Asl Napoli 2 Nord. Presidente associazione Npia In rete Campania.
Aldo Diavoletto, Docente a contratto di Psicologia dinamica e Psichiatria sociale – Unisob Napoli; Psichiatra. Neuropsichiatra dell’età evolutiva – Polo Adolescenti DSM Asl Salerno.

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