In Italia non esiste la certezza della pena

di Gabriele Lagonigro

Franco Maccari, Segretario generale del Coisp, il Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia: “Le spese per i servizi di ordine pubblico siano pagate dalle società”

franco maccariÈ una delle sigle più importanti e partecipate fra le forze dell’ordine, con oltre 7.000 iscritti. Il riferimento è al Coisp, il Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia, particolarmente attivo e battagliero nel denunciare la difficile situazione nella quale si trovano ad operare gli agenti nella loro quotidianità professionale. Week-end compresi, in cui migliaia di poliziotti sorvegliano il regolare svolgimento dei campionati di calcio, consentendo a famiglie, giovani e a tutta quella parte di tifoseria “nobile” di gustarsi una partita di serie A, B, LegaPro e persino dilettanti senza l’assillo delle frange più violente del tifo nazionale.
Segretario generale Franco Maccari. Dopo le nuove normative, come reputa il Coisp la situazione all’interno ed all’esterno degli stadi?
“Innanzitutto è doverosa una premessa. La situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica in Italia risente di un male che sta avvelenando la nostra società: la quasi assoluta assenza di certezza di una pena per chi commette reati. Paradossalmente, nel “mondo sportivo” esistono degli strumenti legislativi in più, come il Daspo, che alcuni vorrebbero venissero estesi anche alle manifestazioni di piazza. Poi parleremo anche dell’utilità di questi strumenti.
L’altro grande male del sistema-giustizia italiano è la promulgazione di sempre nuove normative. La risposta ad ogni emergenza che riguarda la sicurezza è sempre rappresentata da “nuove normative”. Di fatto, queste restano parole scritte sulla carta e non producono alcun effetto concreto nella realtà. Per venire, quindi, alla sua domanda, non sono le nuove normative ad incidere sulla sicurezza dentro e fuori gli stadi. Al progressivo allontanamento dagli stadi del pubblico ritengo abbia grandemente contribuito il clima di guerra che si respirava, gli scontri, i feriti
che si contavano a decine ogni domenica. Progressivamente, si è allontanata la maggioranza di tifosi, che poi non è più tornata.
Oggi resistono frange di violenti, protagonisti di scontri con le forze dell’ordine o con le altre tifoserie, che godono della medesima impunità che l’Italia riserva a tanti, troppi delinquenti”.
Fonti istituzionali sostengono che i reati da stadio siano in diminuzione: qual è la vostra percezione?
“Le statistiche risentono dei fattori che citavo prima. Il progressivo allontanamento dalla “comunità stadio” dei gruppi, organizzati o meno, e, soprattutto, la parziale, secondo noi insufficiente, responsabilizzazione delle società hanno provocato un’inversione del trend. Rimane il fatto, che reputo inaccettabile, non solo per il lavoro di poliziotto che svolgo, ma anche per un qualsiasi cittadino, che permanga l’idea di una violenza “accettabile” attorno alle competizioni sportive, soprattutto nel calcio”.
È vero che i problemi, sempre più spesso, si sono spostati dall’interno all’esterno degli stadi?
“Sì, anche se le scene a cui abbiamo assistito all’Olimpico di Roma nella finale di Coppa Italia Napoli–Fiorentina, con “Genny ‘a carogna” (con una t-shirt inneggiante all’assassino dell’ispettore Raciti) che detta le condizioni perché la partita possa essere giocata, dimostrano che i problemi dentro agli stadi permangono, eccome. Nel 2004 ricordiamo il derby Roma–Lazio, quando il capitano Totti venne costretto da tre ultras a dire all’arbitro che la partita non si giocava più. Anche qui false notizie che circolano in curva di morti causati dalle forze dell’ordine, in grado di unire le tifoserie, anche se rivali, contro la polizia.
Appena gli stadi si riempiono, i “capi popolo” si fanno forti e le forze di polizia ci rimettono sempre in feriti e, nel 2007, con Filippo Raciti, anche in morti”.
Di che cosa c’è bisogno, oggi, in Italia? di maggiore dialogo con le tifoserie o di più fermezza?
“Il Coisp ha le idee molto chiare al riguardo: da dieci anni, ad ogni inizio campionato, inviamo una lettera ai presidenti delle società di calcio ed ai responsabili federali. Chiediamo, inascoltati, che le spese per i servizi di ordine pubblico siano pagate dalle società stesse, così come avviene per tutti i servizi che non sono diretti alla generalità dei cittadini, ma solo a chi nutre un interesse specifico. Quest’anno si era mosso qualcosa, troppo poco. Per anni tutti hanno pagato i danni di pochi delinquenti, forti dell’impunità che trasforma gli stadi in territori nei quali, di fatto, la legge viene sospesa. Il dialogo con le tifoserie è uno strumento essenziale, e bisognerebbe anche fare dei distinguo tra gruppi e gruppi, tra chi ama il calcio e chi lo usa per motivazioni diverse. Tutto ciò che si muove nella direzione del dialogo è sempre positivo”.
Dopo le violenze in Atalanta–Roma dello scorso anno, lei definì “poveri cretini” i rappresentanti delle forze dell’ordine. Che cosa intendeva?
“Qualche mese prima di quella partita, riferendosi ad un poliziotto che, durante un servizio di ordine pubblico (con diversi feriti tra le forze dell’ordine), aveva tenuto un comportamento scorretto, il capo della polizia affermò: “Dobbiamo identificare un cretino”. Immediatamente, il poliziotto si presentò spontaneamente e chiarì quanto accaduto. Il prefetto Pansa non aveva mai usato quell’epiteto tanto forte nei confronti di chi provoca ogni anno centinaia di feriti tra le forze di polizia, specialmente durante i servizi di ordine pubblico. Il nostro slogan divenne “siamo tutti cretini”, significando che, oltre alle botte ed a rischiare la vita, dobbiamo anche subire gli insulti di chi, invece, dovrebbe rappresentarci e difenderci. Inaccettabile. La violenza di Atalanta–Roma era diretta soprattutto contro di noi, con bombe carta caricate a chiodi. Strumenti in grado di uccidere, che, purtroppo, ci troviamo a fronteggiare sempre più spesso. Chi le usa sa cosa sta facendo e quali conseguenze possono provocare. In questi casi, non servono “tessere del tifoso” o Daspo. Serve la galera”.
A proposito di Daspo, qual è la sua opinione? È utile a limitare gli episodi violenti?
“Il Daspo è una conseguenza che paga chi si rende protagonista di episodi violenti. Tenere lontani dagli stadi coloro i quali commettono violenze serve ad evitarne la reiterazione, ma non esercita una funzione rieducativa. Ad ogni pena, ritengo, sarebbe giusto associare un lavoro socialmente utile, un servizio alla comunità che è stata danneggiata. Nel caso del Daspo, la funzione rieducativa dovrebbe essere connessa all’educazione, al rispetto per i beni comuni”.
Che cosa ne pensa dell’obbligo, in capo alle società, di dotarsi di steward all’interno degli stadi? La tutela dell’ordine pubblico può basarsi su strutture private invece che sulle regolari forze dell’ordine?
“Sul primo aspetto sono assolutamente d’accordo. Gli steward assolvono ad un compito di vigilanza generica per troppo tempo demandato alla polizia, senza pagare un euro. Troppo comodo. Inoltre, i servizi di ordine pubblico, così come tutti gli altri servizi di polizia, risentono di una contrazione degli organici di circa 18.000 unità, solo per la polizia di stato. Una sofferenza che comporta tagli alla presenza delle volanti, delle gazzelle dei carabinieri, alla chiusura di uffici che servono ai cittadini. L’ordine pubblico non può essere privatizzato, ma, fino a pochi anni fa, era il privato che usava le risorse pubbliche, lavandosene le mani e guadagnandoci”.
Perché, a suo avviso, nella gazzarra romana dei tifosi del Feyenoord non si è riusciti a provvedere in anticipo e a limitare i danni, considerando la fama non proprio amichevole degli ultras olandesi?
“Date le condizioni in cui operiamo quotidianamente, come dimostrano le manifestazioni a Roma ed in ogni altra città italiana, non è successo nulla di strano. Quel giorno, la polizia non poteva agire in mezzo a centinaia di turisti, rischiando conseguenze ancora peggiori. Noi non possediamo le risorse legislative, umane e di equipaggiamento per fronteggiare una situazione come quella accaduta a Roma. Da circa sei anni chiediamo strumenti che permettano di evitare il contatto fisico con i violenti, nulla di più di quanto usano le polizie di tutto il mondo. Dopo sei anni di richieste del Coisp siamo ancora alla fase sperimentale. Una desolazione. Le devastazioni di proprietà pubbliche e private accadono di continuo e nessuno paga. Ci scandalizziamo perché i tifosi olandesi del Feyenoord hanno fatto ciò che i “nostri” manifestanti fanno usando un qualsiasi pretesto per dare sfogo ad ogni possibile violenza? Noi non ci siamo abituati e troppi politici italiani, ipocritamente, si scandalizzano solo quando non si toccano i loro “bacini elettorali”.
C’è un modello internazionale da cui prendere esempio?
“Scelga lei. L’esperienza della Gran Bretagna sugli stadi, dove hanno cambiato uno dei tifi più violenti al mondo e oggi hanno stadi pieni e pochi incidenti. Ma se ci fossero presupposti normativi e strutture, non servirebbero esempi esteri. Basterebbe che violenti e delinquenti venissero enucleati, ma questo ragionamento vale sia dentro, sia, soprattutto, fuori dagli stadi. Invece, assistiamo quotidianamente all’opposto”.
Qual è la prima cosa che chiederebbe, per tutelare gli agenti, al Premier Matteo Renzi o al Ministro dell’Interno Alfano?
Qual è il primo provvedimento che il Governo dovrebbe adottare?
“Assunzione di agenti, equipaggiamenti, addestramento. Come vede, pur facendo il sindacalista, non chiedo soldi in più per i miei colleghi. Chiedo solo di poter lavorare meglio per la nostra società. Viviamo in un paradosso molto rischioso per tutti: l’assenza di pene per reati considerati da questo Governo “minori”, a cui sono preceduti indulti, sconti di pena mascherati, lo svuotacarceri dell’anno scorso, stanno incrementando in maniera esponenziale i reati predatori a danno delle fasce più esposte, come gli anziani. Vorremmo tanto che venisse spiegato agli Italiani quale modello di società pensano che ci ritroveremo a vivere tra qualche anno. I cittadini lo chiedono a noi. E noi non abbiamo una risposta”.

di Gabriele Lagonigro
direttore di City Sport e caporedattore di SociaNews

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