Il trattamento psico-motorio

Il gioco e l’interazione non rappresentano il fine, ma il mezzo per agire sui cardini centrali del disturbo autistico, sul deficit di attenzione congiunta e sull’accesso al simbolico

Antonietta Franco, Aldo Diavoletto

 

antonietta francoaldo diavolettoLa diagnosi di disturbo dello spettro autistico, che si auspica il più possibile tempestiva, implica una presa in carico precoce, avallata dalle linee guida nazionali e internazionali e consente di attivare una serie di procedure di intervento in un periodo evolutivo in cui i processi di neuro-plasticità sono permeabili a profonde riorganizzazioni funzionali. Intervenire presto comporta la necessità di effettuare un inquadramento diagnostico in termini preventivi, educativi e riabilitativi e richiede un approccio integrato fruibile a livello di comunicazione, interdisciplinarità e condivisione del progetto riabilitativo, scongiurando l’annoso problema dell’autoreferenzialità e la confusione nell’utenza.
È cruciale costruire una rete pregna di specificità, congruità di intenti e di atti terapeutici efficaci intorno al bambino, al microsistema (famiglia) e al macrosistema (agenzie educative e sociali).

Il progetto riabilitativo si definisce come un insieme di interventi alla persona al fine di garantire l’adattabilità possibile nei contesti di vita. Risponde al concetto di presa in carico, che sottende un’assunzione di responsabilità con continuità, coerenza di interventi e metodologie da parte di una équipe multidisciplinare con un forte radicamento territoriale. La presa in carico in età evolutiva è di solito tipicamente appannaggio del servizio pubblico, per il forte legame col territorio e la forte integrazione in rete con altri attori dell’intervento.
La presa in carico riabilitativa non deve esimersi dalla fase di valutazione, alla quale segue l’individuazione degli obiettivi riabilitativi e la scelta delle strategie terapeutiche.
Il momento diagnostico e valutativo con gli strumenti idonei rappresenta il primo passo di una serie di azioni terapeutiche. Può essere traumatico nel suo disvelare future disabilità, ma terapeutico già di per sé se rappresenta un momento in cui il paziente e la famiglia si sentono “tenuti” nella mente dell’èquipe curante.
L’intervento neuropsicomotorio è elettivo nei disordini precoci dello sviluppo a partire dal seguente assunto: lo sviluppo è un processo articolato, caratterizzato dall’emergenza di competenze che definiscono le aeree della funzione motoria, senso-percettiva, le competenze comunicative e relazionali. Il bambino con Disturbo dello Spetto Autistico si testimonia con il suo stile interattivo, psicomotorio e cognitivo.
In tal senso, l’osservazione e la successiva presa in carico in terapia psicomotoria aiutano a definire il profilo di sviluppo, finalizzando l’intervento ad un progetto individualizzato, una volta che si sono valutate competenze destrutturate o che stentano ad evolvere.
Facilitare l’agire del bambino, l’interazione, il gioco – in questa prospettiva evolutiva la TNP – rientra negli interventi evolutivi riconosciuti anche dalle linee guida come play/interaction base interventions (interventi basati sul gioco e sull’interazione) ed appartenenti agli approcci evolutivi quali DIR/Floortime.
Il gioco e l’interazione non rappresentano il fine, ma il mezzo per agire sui cardini centrali del disturbo autistico, sul deficit di attenzione congiunta e sull’accesso al simbolico. La strutturazione del setting psicomotorio, e la relativa pratica, privilegiano l’interazione, mediata dall’esperienza del corpo, e rispondono alla condizione primaria dell’integrazione delle funzioni mentali. La costruzione del setting, il dispositivo tempo-spaziale e l’organizzazione della seduta permettono, a partire dall’agito del bambino, al TNPEE di individuare e costruire strategie idonee a sostenere il modello inter-attivo e comunicativo di base.
L’osservazione sistemica e continuativa nel tempo orienta il processo evolutivo, sottolinea le competenze emergenti, sistematizza i comportamenti-problema e ricerca strategie mirate ad integrare esperienze frammentate, caotiche, dispersive.
In TNP, il terapista modula l’esperienza del bambino in una “coregolazione interpersonale” che amplifica la comunicazione privilegiando l’interazione mediata dall’esperienza corporea. Una simile attitudine terapeutica permette al bambino di essere attore attivo, non re-attivo o responsivo, e creativo nel suo processo di crescita.

In relazione ai nuclei cruciali del DSA, gli obiettivi da promuovere in terapia psicomotoria sono da individuare nella promozione dell’intersoggettività, nella ricerca dell’attenzione congiunta, nella comunicazione verbale e nel gioco.
Nel bambino con DSA queste configurazioni sono alterate ed immature, con evidente fluttuazione dell’intersoggettività. L’obiettivo è, quindi, quello di riattivare giochi di attivazione sociale, esplorazione, imitazione, uso sociale dell’oggetto e giochi senso-motori a valenza rappresentativa.
Il setting psicomotorio individua e struttura luoghi distinti nella stessa seduta: l’area senso-motoria (cuscini, materassi, spalliere, scivoli) accompagna il bambino in esperienze corporee (insieme all’adulto) di tipo cenestesico, motorio, sensoriale, poste alla base dello sviluppo di schemi senso-motori ed interattivi.
Il secondo spazio organizzato con materiale strutturato (tavolo, sedie, immagini, materiale grafico) definisce l’incontro tra adulto e bambino con oggetti ed immagini, favorendo l’organizzazione prassica, funzionale e comunicativa.
La terapia prevede uno spazio di ascolto per la famiglia al fine di restituirle gli obiettivi del progetto riabilitativo, sostenerla a riconoscere l’evoluzione del bambino e fornirle consigli psicoeducativi.  Tale intervento integra quello psicomotorio e rappresenta una componente irrinunciabile di qualsivoglia progetto riabilitativo.

L’assunto di profilo interattivo permette al terapista di focalizzare gli obiettivi.
Il sistema visivo del bambino autistico é alterato in termini di sguardo referenziale (guardare negli occhi l’altro) e di attenzione visiva coordinata (guardare nella direzione in cui l’altro sta guardando). A partire da oggetti e materiali che suscitano interesse nel bambino, l’attenzione terapeutica organizza la presentazione accurata del materiale, l’assetto posturale idoneo al compito e sostiene l’ancoraggio visivo e la comunicazione. È importante rafforzare l’iniziativa del bambino ed ottenere l’alleanza con l’adulto. Una mimica accentuata ed un linguaggio verbale ridotto e contestuale risultano significativi per mantenere un livello di autoregolazione adeguato all’obiettivo prefisso.
Rispecchiare le azioni del bambino permette al terapista di essere con lui empaticamente, (imitazione esatta) e, successivamente, di incoraggiare l’apertura a variazioni toniche, di scambio e di gioco (imitazione inesatta) sostenendo la flessibilità di condotte reiterative, perseveranti, fisse.
Nell’osservazione dei bambini con DSA, il gioco senso-motorio a valenza rappresentativa (nel bambino tipico si manifesta con giochi di apparire, scomparire, scappare, essere presi, cadere, entrare, uscire) si manifesta con un’organizzazione disfunzionale, un espressività ripetitiva, un assetto posturale variabile e, in gran parte, non ben organizzato. In terapia, a questi livelli ludici, precursori dei processi rappresentativi e simbolici, viene attribuito senso al fine di restituire al bambino un’immagine efficace della propria azione.

Nel DSA, un altro aspetto critico è rappresentato da stimolazioni sensoriali (intolleranza al contatto, abiti, scarpe, cappelli), ipersensibilità propriocettiva (uso di posture insolite, bizzarre) ed iposensibiltà propriocettiva (ricerca di stimolazione sul corpo).
In terapia, l’attenzione verso questo nucleo necessita di materiali adatti (spugne di diversa percezione, creme, schiume da barba, palline di consistenza e materiali diversi) e di un tempo dedicato.
Il bambino sceglie, sperimenta su di sé, sull’altro, modifica la reattività al contatto.
Il gioco non viene “insegnato” nel senso banale del termine, ma emerge a partire da schemi pre-simbolici, dall’uso del materiale di allestimento, dai giochi di rassicurazione profonda ed agganciandosi a ciò che il bambino esprime e agisce.
Il gioco simbolico diventa il mezzo migliore per aumentare la comprensione verbale e facilitare gesti di referenza linguistica in bambini che non parlano o hanno linguaggi ecolalici e poco comunicativi.
All’interno del vasto campo riabilitativo, la terapia neuropsicomotoria si colloca tra le buoni prassi terapeutiche, riconoscendo al bambino la dimensione di essere globale e, allo stesso tempo, definendo, seppure in un quadro di atipicità di sviluppo, le aeree disfunzionali su cui intervenire, con l’obiettivo di favorirne l’evoluzione e l’adattabilità ai contesti di relazione.

Antonietta Franco
, TNPEE (Terapista delle neuropsicomotricità dell’età evolutiva), Counselour.
Aldo Diavoletto, Docente a contratto di Psicologia dinamica e Psichiatria sociale – Unisob Napoli; Psichiatra. Neuropsichiatra dell’età evolutiva – Polo Adolescenti DSM Asl Salerno.

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