“Il popolo russo ha ancora bisogno di un padrone”

di Gabriele Lagonigro

Sergio Canciani ha diretto per quasi quindici anni l’ufficio di corrispondenza Rai di Mosca, realizzando oltre 7.000 servizi dall’ex Unione Sovietica

Sergio Canciani ha diretto per quasi 15 anni gli uffici della sede Rai di Mosca.

Sergio Canciani ha diretto per quasi 15 anni gli uffici della sede Rai di Mosca.

In Italia, pochi giornalisti possono vantare una conoscenza diretta ed approfondita della Russia come Sergio Canciani.
Per anni – quasi quindici – è stato il volto serale del Tg1 da Mosca, da dove ha diretto l’ufficio di corrispondenza della Rai. E da dove, soprattutto, ha trasmesso oltre 7.000 servizi. Nel suo ultimo libro, intitolato “Putin e il neozarismo” (Castelvecchi editore), ripercorre la storia recente del Paese, dal crollo dell’Unione Sovietica alla “presa” della Crimea, prestando particolare risalto alla figura di un leader controverso ed autoritario, ma tuttora amato – in buona parte – dal suo popolo.
Nei quasi quindici anni in cui ha coordinato l’ufficio Rai di Mosca, la Russia è cambiata radicalmente. Che Paese trovò al suo arrivo e che Paese ha lasciato nel 2011?
“Quando arrivai, trovai una Russia sicuramente povera, più povera di adesso, grigia, ma molto ordinata. Oggi il Paese è più rutilante, ma in disordine. La caduta di un’ideologia che dava stabilità sociale e la scomparsa di quell’etica pubblica che, almeno in parte, si riscontrava nell’epoca sovietica, hanno determinato la confusione di questi anni”.
Gli anni ’90, al momento del suo approdo in pianta stabile a Mosca, erano quelli di Boris Eltsin. Qual è il suo giudizio su questo controverso Presidente?
“Ha salvato la pace. Attraverso l’accordo con gli altri Paesi dell’Unione Sovietica, e mi riferisco all’Ucraina, in primis, e poi a Bielorussia e Repubbliche asiatiche, ha fatto in modo che non si innescasse quel processo disgregativo di tipo balcanico che avrebbe minato la stabilità mondiale. Non bisogna dimenticare, infatti, che Kiev ed il Kazakistan, due Stati con cui Boris Eltsin raggiunse l’intesa, erano dotati di armi nucleari. Se il giudizio è positivo in tema di politica internazionale, non lo è altrettanto in ambito interno. Fu lui che aprì le porte al liberalismo selvaggio, svendendo buona parte dell’industria e dei beni strategici agli oligarchi diventati poi padroni incontrastati della Nazione”.
La Russia attuale, quella di Putin, non se la passa granché bene sotto il profilo economico: stipendi (e, soprattutto, pensioni) ancora bassi, rublo svalutato, libertà di stampa pressoché azzerata. Eppure, il Paese sta con il suo leader…
“C’è da premettere, innanzitutto, che le statistiche economiche ufficiali non fotografano appieno una realtà variegata e gigantesca. Lo sviluppo a macchia di leopardo ha ampliato le differenze colossali fra Mosca e le regioni più remote, per cui è difficile valutare il Paese in base a questi dati. Che Putin goda di grande popolarità, in ogni caso, è un fatto certo. Il popolo ha bisogno tuttora di un padrone, di un autarca che tenga insieme il kindergarten russo, l’asilo nido composto da persone poco disciplinate, ma sufficientemente intelligenti da capire che, senza un uomo forte, senza qualcuno che li tenga in ordine, possono fare danni innanzitutto a se stessi”.
L’uomo Putin, che lei sicuramente ha conosciuto personalmente: che opinione ne ha, soprattutto dal punto di vista umano?
“È un uomo di grande freddezza, dotato di piglio militare in ogni circostanza, anche se militare, in senso stretto, non lo è mai stato.
È stato educato nelle migliori accademie degli ex servizi segreti e, forse, non a caso le sue azioni e le sue reazioni sono sempre controllate. Anche di fronte a domande impertinenti, non batte ciglio. Ed ha una grande opinione di sé. Per il modo di rapportarsi con il pubblico, mi ricorda un po’ Massimo D’Alema…”.
La sua autonomia professionale è mai stata limitata negli anni trascorsi a Mosca?
“Mi sono sempre sentito indipendente, nei limiti, ovviamente, della cortesia propria di chi si trova ospite in un Paese straniero.
Nessuno mi ha mai minacciato, né ha limitato i miei movimenti o censurato il mio lavoro, anche perché le fonti, in una Nazione così vasta, sono molteplici. Naturalmente, bisogna essere dotati di sufficiente esperienza – non sempre di rapida formazione – per trovare gli informatori giusti, che possono essere gli amici sul territorio, ma anche una radio o un giornale locale”.
Dei Russi, invece, che ricordi conserva? È facile ambientarsi?
“Mi sono sempre trovato bene, mantenendo, però, la giusta distanza. I Russi sono diffidenti nei confronti degli Occidentali, in particolare nei villaggi più piccoli, nelle zone più remote e contadine o nelle terre siberiane. Bisogna conoscere i loro riti, le loro abitudini, che non sempre coincidono con le nostre, anzi.
A casa, o in tavola, bisogna comportarsi in certi modi, bisogna evitare di toccare determinati argomenti, per esempio quelli maggiormente personali. In linea di massima, comunque, se si rispettano queste regole, questi comandamenti, meno di dieci, si viene accettati abbastanza bene”.
Veniamo al fronte caldo, alla guerra, più o meno sotto traccia, fra Mosca e Kiev. Come evolverà la situazione nel Donbass? Poroshenko proverà a riconquistare la regione?
“Il Presidente ucraino non ha le forze per riprendersi quel territorio e Putin non può occuparlo militarmente con il suo esercito regolare. Si dovrebbe, pertanto, arrivare ad un compromesso per un cessate il fuoco definitivo. La soluzione per entrambi potrebbe essere questa, per poi giungere ad un accordo più stabile, magari una sorta di sistema federativo non dissimile da quello bosniaco. Nel lungo periodo, però, questo non offre grandi garanzie. È un po’ come mettere la cenere sotto il tappeto, il fuoco continua ad ardere. Poroshenko continua a dire no ad una soluzione federale, ma sta perdendo tempo e, soprattutto, risorse economiche. Non bisogna dimenticare che il Donbass resta comunque una zona russofona legata a Mosca ed alle tradizioni dell’Unione Sovietica, e che gli Ucraini, lì, sono visti quasi come un corpo di occupazione”.
Ma qual è il vero obiettivo di Putin? Annettersi il Donbass è impensabile. Quindi?
“Rendere l’Ucraina il meno appetibile possibile per la Nato, mantenere il Paese in fibrillazione e, perciò, meno invitante per le mire occidentali. Sarebbe troppo pericoloso, per l’Alleanza Atlantica, far entrare nelle proprie fila una Nazione così instabile. Sarebbe come convivere con un vulcano in procinto di eruttare. Putin vuole questo, lavorare al fianco, indebolire Kiev e mantenerla dipendente, specie economicamente, da Mosca.
Anche perché l’Europa, e l’Occidente in generale, in questo momento non ha molti soldi da investire per risollevare le finanze ucraine”.
La Crimea ormai è definitivamente russa?
“Sì, ma quella, rispetto al Donbass, è un’altra storia. La penisola è sempre stata russa, la maggioranza della popolazione si è sempre sentita più vicina a Mosca che a Kiev. Oltretutto, con Mosca la regione è sempre rimasta legata da solidi trattati militari per la gestione delle basi navali di Sebastopoli e di altre località. La Crimea, ormai, è persa”.
Che opinione si è fatto dell’ultima rivolta di Maidan dello scorso inverno, che ha cacciato Yanukovich? Spontanea o orchestrata?
“Difficile dirlo con esattezza. In molti, specie i ragazzi, sono scesi in piazza per fare confusione, divertirsi, saltare e ballare. Poi, con una disoccupazione giovanile pari al 40%, non è difficile trovare gente da portare in strada. È anche vero, però, che più la protesta si è allargata, più si sono insinuati i gruppi di estrema destra. Fra questi, un ruolo fondamentale è stato assunto da quelli giunti dall’estero, in special modo polacchi e lituani. Hanno sicuramente svolto il lavoro sporco per gli Americani”.
E le sanzioni occidentali comminate alla Russia?
“Totalmente negative. È stata una mossa assolutamente autolesionista, sciocca, inutile. Sta già ricadendo pesantemente sugli Europei e sull’Italia, in particolare. Gli interessi strategici russi non vengono intaccati da questi provvedimenti: energia, petrolio, metano, minerali, carbone, su queste preziose risorse le sanzioni non vanno ad incidere. Colpiscono, invece, gli esportatori dei beni di consumo occidentali, e gli effetti già si avvertono. Per quanto riguarda, inoltre, gli oligarchi finiti sulla lista nera, quasi tutti se ne fanno un baffo perché i loro capitali sono già stati portati al riparo nei paradisi fiscali. E poi, non dimentichiamoci che la maggioranza di loro possiede un doppio passaporto, russo ed israeliano. Sono, quindi, quasi totalmente immuni dalle sanzioni”.

Gabriele Lagonigro
Caporedattore di SocialNews

Rispondi