Gli interventi possibili

Gli studi della psicologia comportamentale, il metodo TEACCH e il metodo ABA rappresentano gli strumenti più utilizzati ed efficaci per affrontare le problematiche familiari legate all’autismo. Si tratta di interventi che non possono essere approssimativi o affrontati con superficialità.

Donatella Palma, Domenico Bove

donatella palmadomenico boveIl supporto alle famiglie non può essere approssimato, ma deve rientrare in protocolli ben strutturati e attuato da professionisti formati. Da questo punto di vista, i vari training descritti dalla letteratura, in particolare i protocolli TEACCH e ABA specifici per l’autismo, rispondono in maniera estremamente stringente a questi irrinunciabili requisiti, fino ad esporsi alla critica di essere troppo rigidi e strutturati.
Gli interventi di training possono essere orientati al sostegno alla famiglia e/o alla correzione di comportamenti-problema del figlio.
Si tratta di due ambiti di intervento diversi ed inevitabilmente embricati tra loro.
Negli interventi di parent training vanno valutati gli elementi di fragilità e le risorse considerate punti di forza della famiglia. Esse si possono dividere in risorse esterne, oggettive e materiali, e risorse interne, intrapsichiche, cognitive ed emozionali.
Tra le prime annoveriamo il livello di benessere psicofisico e quello economico, l’eventuale evoluzione positiva del disturbo, la disponibilità di professionisti, cure e terapie efficaci, la rete informale di supporto; tra le risorse interne ricordiamo il grado di sensibilità dei genitori verso il tema, le loro caratteristiche di attaccamento ed esperienze personali – le cosiddette competenze genitoriali – nonché la qualità della loro relazione, il livello culturale, le abilità comunicative tra i diversi componenti della famiglia.
Gli interventi sui familiari di un figlio disabile devono essere quindi orientati a:
– conoscenza del disturbo;
– miglioramento della comunicazione, del problem solving e delle modalità educative;
– integrazione della famiglia con un figlio con disabilità;
– aumento delle capacità di adattamento, del senso di competenza della famiglia e delle abilità sociali (empowerment);
– sostegno reciproco dei coniugi, miglioramento della fruizione del tempo libero e delle relazioni extrafamiliari;
– ricorso al sostegno da parte di membri della famiglia allargata;
– utilizzo di risorse alternative della società, del mondo assistenziale ed associazionistico;
– correzione di comportamenti-problema, come già accennato.

Diversi protocolli sono stati elaborati per il training ai familiari di un bambino con disabilità e comportamenti-problema, più o meno intensivi. Uno schema tipo (Larcan, 1988, Soresi, 2007) prevede alcuni step base:
– definizione del problema;
– analisi dei tentativi di soluzione;
– verifica della disponibilità a collaborare;
– motivazione alla collaborazione;
– descrizione delle tecniche di osservazione;
– analisi funzionale;
– individuazione degli errori e degli eventuali rinforzi;
– programmazione dell’intervento;
– verifiche.
Nel caso dell’autismo, l’ambito di riferimento attualmente più accreditato è quello della psicologia comportamentale. Il metodo TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Children – Trattamento ed Educazione di Bambini con Autismo e Disabilità della Comunicazione), molto orientato sull’organizzazione dei servizi e lo stesso ABA (Applied Behavior Analysis – Analisi Applicata del Comportamento) rappresentano interventi che vanno attuati nei diversi contesti di vita del bambino.
Richiedono, pertanto, adeguati training che coinvolgano intensamente proprio il contesto abitativo ed il nucleo familiare. Schopler, come è noto, definisce la collaborazione tra genitori e operatori per l’educazione del bambino autistico come incontro tra due esperti: gli operatori lo sono nell’educazione e nell’autismo in generale, i genitori sono i migliori per il loro bambino.

Metodo ABA
Presupposto del metodo ABA è un intervento intensivo, precoce e con un coinvolgimento massiccio di famiglia, insegnanti ed altri operatori coinvolti nella vita quotidiana dell’individuo (Bartak 1978; Lovaas, Koegel, Simmons, and Long 1973). La strutturazione di un intervento ABA si può semplificare nel modo seguente:
– considerazione di problematicità di un comportamento;
– osservazione diretta del comportamento;
– identificazione del livello di base della persona secondo parametri quantitativi (di frequenza, durata, intensità);
– definizione del comportamento da raggiungere o obiettivo;
– suddivisione dell’obiettivo finale in sotto-obiettivi;
– insegnamento per piccoli passi successivi attraverso l’istruzione diretta e/o l’insegnamento incidentale (situazioni che si presentano nella vita reale);
– utilizzo di tecniche di aiuto (prompt) e di attenuazione dell’aiuto;
– rinforzo dei successi o delle approssimazioni alla risposta corretta;
– alternanza di attività diverse più o meno gradite o più o meno complesse;
– generalizzazione;
– valutazione dei risultati.

Il coinvolgimento della famiglia nel processo terapeutico pone, ovviamente, anche i familiari nella posizione particolare di fruitori-attori dell’intervento. Ciò rappresenta un punto di forza, ma anche un elemento che si aggiunge al cosiddetto carico perché rende più impegnativo il particolarissimo “mestiere” di genitore – e di genitore di figlio disabile – che il contesto e i riferimenti scientifici rendono ormai necessario ed insostituibile.
Anche i modelli anglosassoni con gli psicotici adulti prevedono una psico-educazione alla famiglia nell’ambito di un trattamento integrato (Falloon). Esso comprende informazioni, addestramento ad abilità di comunicazione, addestramento ad abilità di problem solving ed addestramento di abilità sociali.
Ma con l’autismo, per le peculiarità del disturbo e delle terapie, il coinvolgimento della famiglia assume un costo emozionale, a nostro parere, più gravoso. Rispetto alle tematiche cosiddette del “dopo di noi”, va programmato un intervento sulle normative e sul wellfare, in cui il privato sociale, l’associazionismo e i modelli di riabilitazione integrata devono essere risorse attivate a favore dei familiari.
Devono, quindi, accompagnare il percorso con la crescita fino all’età adulta.
Sono questi gli elementi che possono offrire uno spiraglio socialmente e metodologicamente percorribile rispetto alle angosce senza uscita del già citato “dopo di noi”.

Il medico specialista in NPIA deve essere la figura centrale nella risposta ai bisogni del bambino e/o ragazzo con autismo, con una èquipe formata e coesa, dalla prima accoglienza alla presa in carico e fino alla prescrizione delle terapie e alla doverosa verifica degli esiti delle cure. La modalità deve garantire continuità, coerenza e costanza degli interventi, con un forte radicamento in una rete territoriale, modulabile, ma stabile, nel tempo e nella cornice di riferimento. Il senso di competenza della famiglia ha a che vedere con il coping, termine inglese che significa, letteralmente, “far fronte a”. Quindi, “gestire” il disturbo, evitare di venire sopraffatti da esperienze sociali problematiche, modulare e ridurre la reazione a fattori stressanti.
Il coping comprende l’impegno per fronteggiare bisogni ed esperienze vissuti come soverchianti e imposti dall’esterno.
Nello specifico, coping nell’autismo può significare saper guidare il ragazzino nei vari percorsi, fruire delle risorse dei servizi, porsi come interlocutore competente, lottare contro le difficoltà e le ingiustizie, rivendicare i diritti sanciti dalle normative, ecc. Risulta rilevante anche comprendere se il fatto di vivere con un fratello o una sorella affetto/a da disturbo autistico possa esercitare delle conseguenze sul piano adattivo socio-emozionale degli altri membri della famiglia (Pilowsky et al., 2004). L’impatto delle relazioni fra fratelli/sorelle è un dato acquisito, avendo numerosi autori precisato il ruolo cruciale delle fratrie nello sviluppo dei minori (Verté et al., 2003).
La relazione tra fratelli dura tutta la vita, al di là delle scelte, ed è un rapporto peculiare, tra pari, con molte somiglianze basate sullo stesso substrato ambientale, ma anche con le dovute differenze.
Numerosi ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che la gravità del disturbo autistico influenzi l’insieme del nucleo famigliare e i fratelli (Kaminsky e Dewey, 2002). Questi ultimi presentano, pertanto, maggiori possibilità di sviluppare problemi d’adattamento sociale (Rodrigue et al., 1993). Ci si interroga su quali possano essere gli effetti dell’autismo sulla struttura della personalità e sulle competenze socio-relazionali dei fratelli. Vivere con un fratello autistico determina dei cambiamenti all’interno del nucleo familiare (cambiamento di ruoli, modifica delle abitudini, sentimenti di vergogna e di colpa; Rodrigue et al., 1993; Morgan, 1998).

Nel passato, in merito al rapporto tra fratelli e bambino autistico, (Kaminsky e Dewey, 2002) alcune ricerche evidenziavano che i fratelli erano soggetti a problemi d’adattamento, mentre altre non hanno messo in evidenza alcuna differenza tra le fratrie di bambini con autismo e quelle di bambini senza handicap o affetti da sindrome di Down (Fischmann et al, 1996; Bagenholm e Gillberg, 1991).
I fratelli potrebbero vivere sentimenti di rabbia e gelosia per il fatto di essere retrocessi in secondo piano o sentimenti di vergogna, colpa, bassa autostima, preoccupazioni per il futuro, difficoltà a progettare il futuro o una vita di coppia. Tuttavia, queste sono prevalentemente possibili reazioni, è sempre opportuno valutare caso per caso.
Alcuni studi (Pilowsky et al., 2004) mostrano che la maggioranza di fratelli e sorelle di bambini con autismo funziona normalmente (86,7%). Possiede, quindi, competenze sociali adeguate a confronto con altre fratrie con o senza un bambino con handicap (Verté et al., 2003). Appare anche che, più i fratelli crescono, più descrivono in termini positivi il comportamento del bambino con autismo, mostrando di sviluppare delle attitudini empatiche nei suoi confronti (Pilowsky et al., 2004), laddove altri autori rilevavano insorgenza di disturbi di adattamento con la crescita (Rodrigue et al., 1993).
I dati attuali mostrano tendenzialmente che non è tanto l’autismo ad influenzare l’adattamento di fratelli e/o sorelle, quanto, piuttosto, delle variabili legate al contesto, in particolare la qualità delle relazioni all’interno della famiglia (Verté et al., 2003).
La presenza di un bambino con handicap in una famiglia può avere degli effetti specifici su fratelli e sorelle, ma questi effetti sono in funzione di una serie di fattori così riassumibili (Lanners et al., 1999):
– caratteristiche della fratria
– caratteristiche del bambino con autismo
– caratteristiche dei genitori e del sistema familiare con relative competenze sociali.
È chiaro che una disamina di questo tipo non può non tener conto del concetto di resilienza e del rapporto tra fattori protettivi e di rischio, a loro volta in funzione di vari fattori, tra i quali il processo di attaccamento rappresenta un nodo cruciale.

Donatella Palma, Neuropsichiatra dell’età evolutiva – Asl Napoli 2 Nord. Presidente associazione Npia In rete Campania.
Domenico Bove, Neuropsichiatra dell’età evolutiva. Professore a contratto di Neuropsichiatria Infantile – Seconda Università di Napoli.

Rispondi