Focus sul polmone artificiale

di Angela Caporale

La tecnologia protesica permette oggi di trapiantare con successo anche dispositivi polmonari in base alla tipologia di danno subito dal paziente. Nel caso di un danneggiamento della funzione meccanica, ovvero derivato da un danno del motoneurone, della gabbia toracica, dei muscoli respiratori o della pleura, essa è connessa a patologie quali Cifoscoliosi, malattie neuromuscuolari, editi di polio ppure Sclerosi Multipla Amiotrofica. Una disfunzione ventilatoria, come per esempio un danno dei bronchi o dei bronchioli o il collasso delle vie aeree superiori, è connesso alla Broncopneumatite, alle croniche ostruttive, all’asma, alla SAS. Infine vi possono essere problemi anche negli scambi di gas, ovvero nel processo che porta all’ossigenazione del sangue ed alla eliminazione dell’anidride carbonica. I danni della panerchina dei lobi e degli alveoli possono essere codeterminati dall’Enfisema, dalla Fibriosi o dalla Tubercolosi. Il polmone artificiale può sopperire a questi danni, essendo realizzato come una pompa meccanica e, al contempo, uno scambiatore di gas.
Il sistema di Mechanical Ventilation funziona attraverso ventilatori esterni, o pressione esterna negativa, oppure ventilatori interni, o pressione esterna positiva. I ventilatori esterni sono stati sviluppati negli anni Venti negli Stati Uniti e fungono da corazza per il paziente, risolvendo però problemi nella fase di ispirazione. I ventilatori interni, che rispondono a problemi nella fase di espirazione, possono essere ad attività manuale oppure meccanica. Inoltre funzionano attraverso tre diverse modalità operative: volume-cycled (pressione d’insufflazione), pressure-cycled (volume d’aria), time-cycled (basato sul rapporto tra ispirazione ed espirazione in un minuto). Questo tipo di ventilatori è stato sviluppato negli anni Cinquanta tra la Scandinavia e gli Stati Uniti.
Vi è un terzo tipo di dispositivo utilizzabile per migliorare l’attività polmonare: la Membrane Ventilation. Si tratta di una membrana in polymethylpentene che aumenta la superficie di scambio facilitando il flusso del sangue.
Le più recenti ricerche sui risultati dei trapianti indicano che il tasso di sopravvivenza è di oltre 5 anni per il 60% dei pazienti, e di 10 anni per il 40%. I principali rischi di ricadute riguardano il rigetto cronico e le infezioni. Esclusi questi casi, la qualità della vita del paziente migliora radicalmente pur restando inferiore alla capacità polmonare di una persona sana di pari età.

di Angela Caporale,
caporedattrice di SocialNews

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