Educare prima di tutto

di Davide Giacalone

Chi compie un crimine va punito, ma quando si tratta di minori, o minori stranieri non accompagnati, il rimedio non può essere la semplice punizione. Serve investire in luoghi diversi dal carcere, ove la vita sia la tangibile costruzione del riscatto, non il prezzo da pagare per gli errori commessi

giacaloneRispetto al passato, i ragazzi diventano grandi in anticipo e adulti in ritardo. Crescono più in fretta perché dispongono di finestre sul mondo assai più grandi di quelle di un tempo. Interattive, per giunta. Pensate a cosa poteva significare parlare di educazione sessuale a dei quindicenni degli anni ‘50 e farlo con i loro coetanei di oggi. Questi ultimi, però, arrivano ad essere adulti in ritardo, se per status di adulto intendiamo l’autonomia economica, il lavoro. La Giustizia minorile, escludendo i minori sottratti, quando, cioè, i minori ne sono i protagonisti e non gli oggetti, si riferisce ai cittadini di età compresa fra i 14 e i 18 anni. Salvo che non regoli pene irrogate durante questo arco di vita e protrattesi in seguito. Ecco, se guardiamo dentro al mondo della Giustizia minorile, vediamo ancora meglio quanto sia cambiata la realtà.
Se svolto con competenza e coscienza, il mestiere di giudice è sempre delicato. Quello di giudice minorile lo è assai di più. È vero che un errore può arrecare danni gravi, ma un errore commesso dai giudici minorili può cambiare e rovinare una vita. La prima riflessione da esprimere, quindi, è che chi svolge questo mestiere merita ammirazione. Un’ammirazione che deve (ripeto “deve”) essere duro meritare.
Prima della riforma, alla fine degli anni ‘80, gli ingressi negli istituti penali minorili erano 7.000 all’anno. Dopo si sono ridotti a 2.000. Ricorrere nella misura minore possibile alla detenzione carceraria, sebbene con le regole particolari che si adottano con i minorenni, non ha rappresentato solo una volontà: è divenuta realtà. Ma se si scorre la composizione umana e la distribuzione dei reati, per quanti ancora vivono questa triste esperienza, si colgono cambiamenti sui quali è bene riflettere. Qui mi limito a ragionare su una parte di quel che accade, senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento (né ne avrei la competenza).
Mi ha colpito osservare che i tipici reati in cui i minorenni possono essere totalmente artefici del crimine, o strumenti utilizzati da altri (normalmente furti e rapine), coinvolgono in maniera percentualmente crescente ragazzi che si trovano in Italia, ma che Italiani non sono. Almeno non di nascita. La percentuale di Italiani riguadagna punti mano a mano che ci si sposta verso Sud. È il segno di un cascame di problemi economici, o l’induzione causata dal vivere in ambienti in cui il crimine non costituisce l’eccezione. Sono Siciliano, quindi è esclusa, da parte mia, ogni propensione a superficialità regionaliste.
Se, invece, si considera l’Italia nel suo insieme, nei numeri di queste meste statistiche appare significativa la ricorrenza di reati contro la persona. Reati a sfondo sessuale, le cui vittime sono altri minori. E qui, appunto, sono gli Italiani a riprendersi un non onorevole primato. Difficile non riconoscere che tali reati sono, a loro volta, il segnale di un forte disagio educativo.
Di fallimenti familiari e scolastici.
Non credo affatto, come spesso s’è comodamente ripetuto, che saremmo tutti angioletti, se la società non ci incattivisse.
Questo negare le responsabilità personali, cercando di trovare giustificazioni sociali, è il modo migliore per rendere tutti irresponsabili. No. I criminali ci sono, lo sono per colpa loro, e per questo vanno puniti. Ma qui parliamo di minorenni. Anche fra loro ci sono soggetti negativi, naturalmente. Ma nei loro confronti il rimedio non può essere la semplice punizione.
Ho esperienza diretta di interventi fra i drogati. Pressoché tutti i ragazzi indirizzati, o recaticisi spontaneamente, verso istituzioni di recupero, sono anche dei criminali. Ma lo sono perché drogati, quindi nella continua necessità di trovare soldi. Lo spaccio, del resto, è rimasto un reato rilevante fra i minorenni.
L’esperienza mi dice che non c’è maturazione senza punizione, ma non ha neanche senso la mera afflizione. Va bene per gli adulti, e neanche tutti, non per i più giovani. Per questo la Giustizia minorile, nell’isolare e nel recuperare, dovrebbe essere sempre più giustizia di comunità, piuttosto che di pena in istituto. Si tratta di esseri umani troppo giovani per potere anche solo teoricamente rinunciare a farne cittadini per bene. E anche esemplari. Per questo il tempo della pena deve essere il recupero del tempo perso, bruciato, sozzato.
Non servono buonismi autoassolutori, parole dolci che nascondono assenze collettive. Serve investire in luoghi diversi dal carcere, non per questo meno sicuri e capaci di contenere le persone, ma ove la vita sia la tangibile costruzione del riscatto, non il prezzo da pagare per gli errori commessi. E non capisco proprio perché questo genere di realtà comunitarie debba dipendere da riconoscimenti regionali, laddove mi pare evidente che rappresentano un interesse e dovrebbero assicurare un’omogeneità nazionali.

di Davide Giacalone
Editorialista per RTL 102.5 e Libero.

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