Dublino III, nuove disposizioni e vecchi problemi

Giulia Crescini

Molte novità soprattutto su minori e termini del procedimento per assumere lo status di rifugiato. Resta invece fuori dal regolamento il piano per un’equa distribuzione del numero di domande presentate ai diversi Paesi UE e l’attribuzione di validità giuridica della volontà del richiedente

Il Regolamento UE n. 604/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 Giugno 2013 ha introdotto nei Paesi membri dell’Unione Europea il c.d. Regolamento Dublino III, che sostituisce, abrogandolo, il Regolamento 343/2003/CE, rimasto in vigore fino al 31 Dicembre 2013.
Il Regolamento Dublino persegue in via preliminare e generale due obiettivi, alla luce dei quali vanno lette ed interpretate le norme in esso contenute. Stabilisce, anzitutto, la regola secondo cui tutte le istanze di protezione internazionale devono essere esaminate. In secondo luogo, sancisce i criteri per la distribuzione delle istanze tra i Paesi membri, in rispondenza al principio per cui il richiedente non può scegliere il Paese che esaminerà la sua domanda. Il nuovo Regolamento 604/2013 non ha modificato nella sostanza le procedure di determinazione dello Stato competente, ma ha determinato un arricchimento in termini di garanzie ed elasticità derivate dal recepimento dell’intensa attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Preliminarmente vanno sottolineate le novità terminologiche all’art. 2, che determinano un importante ampliamento delle categorie di soggetti interessati dalla normativa in esame, implicando un rispetto più intenso ed organico dei principi guida della normativa, tra i quali il diritto all’unità familiare e all’interesse superiore del minore.
Alla lettera g) viene, innanzitutto ampliata la definizione di “familiari”: oltre al coniuge o al partner, si menzionano anche i loro figli minori che non devono più essere necessariamente a carico; nel caso del richiedente minore, insieme al padre e alla madre si inserisce la figura di “altro adulto responsabile per il richiedente in base alla legge o alla prassi dello Stato membro in cui si trova l’adulto”, ampliando così la precedente previsione del tutore; si introduce, inoltre, tra i familiari la nozione di parenti, tra i quali rientrano la zia, lo zio, il nonno o la nonna adulti del richiedente. Si prevede, inoltre, la figura del rappresentante, cioè “la persona o l’organizzazione designata dagli organismi competenti per assistere e rappresentare un minore non accompagnato nelle procedure previste dal presente regolamento”. Infine, si evidenzia un ampliamento anche nella definizione di minore non accompagnato, per il quale risulta ora indifferente lo stato di coniugio.
Tale ampliamento terminologico ha un forte impatto nell’applicazione dei criteri gerarchici ai quali soggiace la determinazione della competenza di uno Stato membro, in quanto viene fornita un’applicazione più rispettosa e concreta del diritto all’unità familiare. Infatti, sono inclusi dei rapporti familiari che prima risultavano irrilevanti. Agli artt. 9 e 10 si prevede che la domanda di protezione internazionale dovrà essere esaminata nello Stato membro in cui si trova il familiare del richiedente, a prescindere dal fatto che la famiglia fosse già costituita nel paese di origine, sia esso beneficiario in quello Stato di protezione internazionale, o ancora richiedente asilo sulla cui domanda non sia stata ancora adottata decisione sul merito.
Nel caso dei minori non accompagnati, inoltre, il principio dell’unità familiare si fa ancora più forte e si lega con quello del superiore interesse del minore, al quale il legislatore comunitario fa costante riferimento. All’art. 8 si prevede che per determinare la competenza di uno Stato membro a prendere in carico la richiesta di protezione sia sufficiente la presenza legale nel suo territorio di un familiare o di un fratello (o sorella) del richiedente minore non accompagnato. Può anche bastare un parente il quale, da un esame individuale, risulti capace di occuparsi di lui. Qualora, infine, siano presenti su più Stati membri familiari, fratelli o parenti del minore, lo Stato membro competente dovrà essere determinato in base all’interesse superiore del minore. L’art. 8, tuttavia, non recepisce espressamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sul caso, non residuale, di minori non accompagnati che abbiano avanzato domanda di protezione internazionale in più di uno Stato membro. La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 6 Giugno 2013 C 648/11, ha previsto che lo Stato competente ad esaminare la sua richiesta è quello in cui si trova (fisicamente) il minore dopo avervi presentato una domanda. Ha reso così effettiva l’attenzione più volte enunciata al rispetto del supremo interesse del minore. Il nuovo Regolamento era già in fase di approvazione al momento dell’emanazione della sentenza e non ha dunque fatto in tempo a recepire espressamente l’importante decisione, che deve tuttavia intendersi come operante anche rispetto al nuovo testo.
Sempre in riferimento alle novità riguardanti i soggetti richiedenti i quali siano minori non accompagnati, si evidenzia che l’art. 6 prevede per la prima volta una norma ad hoc recante il titolo “garanzie per i minori”. Tale articolo, deputato ad indirizzare l’applicazione delle procedure per la determinazione del paese competente al supremo interesse del minore, prevede in primo luogo i criteri da seguire affinché tale principio sia in pratica rispettato e non rimanga lettera vuota nell’applicazione dei criteri del Regolamento. In secondo luogo, indica il rappresentante che accompagna il minore in tutte le procedure previste dal Regolamento; ciò permetterà un sostegno più immediato ed efficace al minore anche alla luce dei numerosi ritardi nell’apertura delle tutele e nella nomina dei tutori da parte delle competenti autorità giudiziarie.
Un ulteriore elemento di novità particolarmente rilevante è rappresentato dall’apposizione di un termine perentorio per la richiesta di ripresa in carico (quando cioè sia stata presentata una nuova domanda nello Stato membro richiedente) e dalla diminuzione degli altri termini già presenti. In particolare, l’introduzione di un termine per la ripresa in carico costituisce per i richiedenti asilo una garanzia a non veder la loro procedura interrotta, anche per molti mesi, prima che la richiesta di ripresa in carico sia inoltrata allo stato ritenuto competente.
In questo modo, lo Stato che ospita il richiedente e si attarda ad attivare la pratica, verrà dichiarato di default competente, una volta trascorsi inutilmente i termini perentori previsti dal nuovo art. 23.
Una delle principali novità è costituita dalla previsione dell’effetto sospensivo del ricorso contro il decreto dell’amministrazione competente che decide il trasferimento del richiedente in un altro Stato membro. La formulazione dell’art. 27, che prevede il diritto ad un ricorso effettivo contro la decisione di trasferimento dinanzi a un organo giurisdizionale, è stata radicalmente modificata rispetto alla precedente formulazione. Infatti, l’art. 19 comma secondo del Regolamento Dublino II prevedeva che in nessun caso il ricorso potesse sospendere de iure il trasferimento. In tal modo, non si garantiva al richiedente il diritto ad una effettiva tutela giurisdizionale, in quanto il suo trasferimento in un altro Stato veniva operato anche molto tempo prima che il suo caso venisse esaminato da un giudice. Il tenore è radicalmente diverso nel nuovo Regolamento Dublino III che, oltre a dedicare un lungo articolo ai mezzi di impugnazione, lascia agli Stati membri l’onere di prevedere nel proprio diritto nazionale alternativamente: a) in ogni caso il diritto dell’interessato a rimanere nel territorio dello stato fino all’esito del ricorso;
b) una sospensione automatica del trasferimento per un tempo sufficiente a che l’organo giurisdizionale si pronunci quanto meno sulla richiesta di sospensiva;
c) oppure la possibilità per l’interessato di chiedere all’organo giurisdizionale, entro un termine ragionevole, la sospensiva della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso o della revisione della medesima, garantendo anche in questo caso che il richiedente non venga trasferito prima che un giudice esamini tale sua richiesta.
L’innovativa previsione che sospende l’automatica del trasferimento, almeno fino alla decisione sulla richiesta di sospensione, deve ritenersi direttamente applicabile nel nostro ordinamento.
Infatti, la norma interna contrastante con una norma comunitaria provvista di efficacia diretta non può essere applicata, ovvero deve essere disapplicata con la conseguenza che il rapporto resta disciplinato dalla sola norma comunitaria. La giurisprudenza comunitaria e costituzionale costantemente affermano che il giudice nazionale ha sempre l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente. Nel caso in esame, ancorché non (ancora) espressamente recepita dalla normativa italiana, tale previsione comporta l’automatica sospensione del provvedimento dell’autorità amministrativa una volta presentato ricorso e, entro un termine ragionevole, la relativa istanza di sospensione.
Di grande rilievo appare anche la previsione secondo cui lo Stato, che deve trasferire il richiedente in un altro Stato ritenuto competente, deve prima accertarsi che quest’ultimo sia effettivamente idoneo a garantire il rispetto dei diritti umani. A tal proposito, è rilevante notare come non ci sia stato un serio intervento sul rischio di trasferimenti verso Stati membri non sicuri così come veniva richiesto dalla Commissione Europea in sede di proposta di rifusione del regolamento. Infatti, non vi è un organo sovranazionale che possa dichiarare uno Stato membro non sicuro ancorché temporalmente: solo i singoli Stati, ai sensi dell’art. 3, possono sospendere il trasferimento di un richiedente verso uno Stato membro qualora “vi siano fondati motivi di ritenere che sussistano carenze sistematiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza tali da determinare il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. Tale principio, recepito a seguito di importanti sentenze della Corte di Giustizia Europea e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non ha introdotto una soluzione soddisfacente e coordinata a possibili sospensioni di trasferimenti adottate dai vari Stati a ordine sparso. Anche in questo ambito, tuttavia, un passo in avanti per armonizzare e dare concretezza a tale principio è stato fatto. Infatti, si prevede all’art. 33 un meccanismo rapido di allerta, di preparazione e di gestione della crisi da porre in essere di concerto con le EASO, da parte degli Stati le cui procedure di asilo o il cui sistema di accoglienza siano più fragili o quando palesi violazioni dei diritti dei richiedenti rendano necessari interventi correttivi e di supporto da parte dell’Unione.
In conclusione, il Regolamento presenta notevoli profili di novità che si ripercuoteranno positivamente sull’applicazione della procedura in quanto permetteranno un contatto più ravvicinato con le reali esigenze e i diritti degli interessati anche alla luce dei principi del Regolamento che assumono concretezza proprio con l’applicazione di norme che siano correttamente orientate alla loro realizzazione. Rimane, tuttavia, immutata la sua impostazione di fondo che non garantisce adeguatamente il principio di una equa distribuzione delle domande d’asilo. Il sistema dei criteri gerarchici porta ad uno schiacciamento della competenza verso i Paesi membri che si trovano nella zona sud-orientale dell’Unione Europea. Ciò determina l’aumento della pressione su sistemi di accoglienza già in tensione e la crescita di disomogeneità negli standard di accoglienza e di esame delle richieste d’asilo. Allo stesso tempo, si continua a negare ogni rilievo alla volontà dei richiedenti asilo, che molto spesso decidono la loro meta anche sulla base della rete economica ed amicale che li attende o anche semplicemente in ragione della conoscenza della lingua parlata in un certo Stato. Il nuovo Regolamento avrebbe potuto essere l’occasione per introdurre elementi effettivamente innovativi, per garantire una più equa distribuzione delle domande di asilo tra i Paesi UE e per attribuire -almeno in parte- un rilievo giuridico alla volontà dei richiedenti asilo. Un’occasione perduta.

Giulia Crescini
Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)

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