“Ce lo chiede l’Europa”. Il peso politico-economico dei rifiuti italiani

di Andrea Intonti

Quanto ci costa l’Europa? O, meglio, quanto ci costa non adempiere alle sue direttive? Si parla spesso di ciò che l’Europa ci impone, tanto che il “ce lo chiede l’Europa” è diventato ormai espressione della vulgata generale. Ma poco, o nulla, si dice a proposito della quantità di denaro pubblico che risparmieremmo se quello che ci viene chiesto fosse anche realizzato.
Con 104 infrazioni, l’Italia è il Paese membro che meno ha portato a compimento legislativo quanto l’Europa chiedeva, anche a causa dell’instabilità politica di questi ultimi anni. Emblematico quanto accaduto nel biennio 2011-2012, quando nessuna legge di recepimento è stata emanata. Solo lo scorso anno sono stati circa 1.300 gli atti che avremmo dovuto introdurre nell’ordinamento italiano.
Ci siamo fermati a quota 40, ed alcuni di questi dovevano essere recepiti già nel 2009…
Dati preoccupanti in questo sistema arrivano dalle inadempienze nel settore ambientale. Su 106 procedure di infrazione aperte a settembre 2013, ben 29 derivano da violazioni di direttive o mancati recepimenti. Ad ottobre 2012, ad esempio, l’Unione Europea ha censito 255 discariche illegali presenti sul territorio italiano, di cui 16 di rifiuti pericolosi che costano al contribuente italiano non solo i 56 milioni della multa comminataci, ma anche i 256.819,20 euro al giorno dell’ammenda aggiuntiva finché la situazione delle discariche illegali non verrà sanata. Considerando l’incidenza sul settore delle mafie nazionali – basti considerare le dichiarazioni del 1997 del boss casalese Carmine Schiavone, desecretate nei mesi scorsi – e come queste incidano sulle elezioni politiche attraverso forme di scambio politico-mafioso non solo di natura elettorale, è lecito chiedersi se la bonifica di tali aree sarà compiuta nel breve periodo.
Tra il 2008 e il 2010 l’Unione Europea si è occupata della cosiddetta “emergenza rifiuti” in Campania, chiedendo alla Regione di creare un sistema di smaltimento che non mettesse in pericolo la salute umana e l’ambiente. Non solo da quel momento sono state comminate all’Italia multe e ammende, ma Bruxelles ha deciso anche di congelare ulteriori 47 milioni di euro di fondi europei (Fesr – Fondo europeo di sviluppo regionale) con i quali avrebbe dovuto finanziare proprio la gestione e lo smaltimento dei rifiuti campani.
L’Europa ha deciso di applicare il principio del “chi inquina paga”, come ribadito dal Commissario europeo all’ambiente Janez Potocnik durante un’interrogazione parlamentare presentata da 23 eurodeputati italiani a metà gennaio. L’interrogazione riguardava le sorti della maxidiscarica di Bussi sul Tirino, nella zona del polo chimico di Pescara, per la quale sono stati conteggiati 8,5 miliardi di euro di danno economico, senza contare gli oltre 500.000 cittadini che avrebbero “utilizzato e bevuto acqua inidonea al consumo umano”, come scrivono gli eurodeputati.
Al di là di importanti biografie personali a forte impronta ambientale – basti, per tutti, il nome del francese José Bové, leader e candidato dei Verdi Europei con un passato di primissimo piano nel movimenti altermondialista – l’impegno dei parlamentari europei sull’argomento vede come obiettivo minimo il raggiungimento nel 2015 di una nuova legislazione sull’efficienza energetica, nell’ambito della strategia “Europe2020”, cioè il taglio del 20% delle emissioni di gas serra sostituite dal 20% di energia ricavata da fonti rinnovabili.
Tra gli aspetti che incideranno sulla vita quotidiana dei cittadini, l’etichettatura energetica obbligatoria per gli elettrodomestici o la sempre più ambientalista regolamentazione edilizia, nella quale è prevista l’intensificazione delle ispezioni di caldaie e sistemi di condizionamento.
Piccoli o grandi accorgimenti che sembrano, però, dimenticare i rapporti di potere che – nelle istituzioni europee come in quelle nazionali – si muovono tra le righe dei testi regolativi, concedendo a grandi gruppi industriali oggetto di procedimenti giudiziari negli Stati Membri una deroga al rispetto di quelle stesse direttive. Ma questa è un’altra storia.

di Andrea Intonti
Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Comunicazione Pubblica e Sociale
Università di Bologna – Laboratorio di giornalismo sociale

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