Un faro contro la violenza

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6.788.000. E’ lo spaventoso numero riportato dall’ISTAT (2015) quale risultato dell’indagine svolta sulla violenza contro le donne. 6.788.000 madri, sorelle, amiche, nonne, zie che hanno subito, nel corso della loro vita, almeno un episodio di violenza. Con questo termine si intende qualsiasi offesa, inclusi violenza domestica, abusi emotivi, psicologici e verbali, prevaricazione economica, stalking, cybercrime. Ad aggravare la situazione, gli esperti sostengono che molti casi di vessazione passano sotto silenzio. Troppa è la paura di subire rappresaglie.

Senza ombra di dubbio, la violenza contro le donne rappresenta un problema globale. Dobbiamo affrontarlo a partire da casa nostra. Spesso, siamo abituati a confrontarci con i “problemi delle donne” da una prospettiva distante. Altrettanto spesso, i media sono responsabili di una cronaca limitata e stereotipata. Ciò assottiglia spessore e possibilità delle donne. Basti pensare alle difficoltà che incontrano termini come “sindaca” o “avvocata” a trovare spazio nel linguaggio pubblico. La pubblicità stenta a liberarsi dalla rappresentazione della donna-oggetto, così come, nei casi di cronaca, la dualità uomo-carnefice e donna-vittima è talmente granitica da svuotare di significato i concetti stessi. Diventa complesso, in questo contesto, comprendere a fondo il disagio e le implicazioni della violenza. Ci si indigna solo superficialmente.

Eppure, un quadro normativo internazionale fortemente votato alla tutela dei diritti umani di questa particolare categoria sociale esiste. La Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) è entrata in vigore nel 1981 e gli Stati che non hanno aderito all’accordo sono una minoranza: Stati Uniti, Iran, Nauru, Palau, Somalia, Sudan e Tonga. Il fatto che alcuni Paesi islamici (Iran, Somalia e Sudan) non abbiano sottoscritto la Convezione, l’alta incidenza di casi di violenza registrati in Pakistan, le palesi discriminazioni subite dalle cittadine in Arabia Saudita fanno emergere il forte nesso con il retaggio sociale e culturale di una tradizione fortemente patriarcale ancora strettamente legata ad un’interpretazione rigida dell’Islam. In queste società, la donna è tradizionalmente relegata a ruoli domestici: senza un uomo, non può assumere decisioni autonome, muoversi liberamente, lavorare. Ogni sgarro potrebbe essere punito nel peggiore dei modi.

Tuttavia, proprio perché la violenza di genere esercita un forte imprinting culturale, non serve guardare troppo lontano per scoprire la brutalità che può essere riversata su un altro essere umano. In Europa, la Carta Europea dei diritti dell’uomo e la Convenzione di Istanbul approfondiscono il sistema di tutela a livello continentale, mentre in Italia esistono leggi specifiche, come quella che ha riconosciuto lo stalking quale forma di violenza, e tentativi di instaurare buone prassi, come l’istituzione del “Codice rosa” in pronto soccorso. Comunque, troppo poco.

Manca una consapevolezza reale e diffusa dei proprio diritti in molte donne vittime di violenza. Manca un sistema omogeneo di ricezione e sostegno sul territorio (nonostante l’enorme lavoro svolto dai centri anti-violenza). Manca la certezza che l’aggressore sarà punito e non avrà modo di “vendicarsi” sulla donna che l’ha denunciato. Manca, in sintesi, la sicurezza della tutela statale che funziona da presupposto per la denuncia e l’evasione da una situazione difficile. La condanna sociale della violenza contro le donne non rappresenta un segmento secondario della lotta complessiva per debellare il fenomeno. Raccontare i problemi di genere non deve più essere considerata una “cosa da donne”, ma qualcosa che tocca ciascuno. Lo sviluppo di una società non può ritenersi completo se una parte di essa non vi beneficia. Tollerare un qualsiasi atto di violenza e di violazione dei diritti umani all’interno del proprio corpus sociale non può portare ad altro che alla disgregazione e ad un circolo vizioso di discriminazione sempre più grave.

I dati sono incoraggianti: il fenomeno appare in lieve calo. @uxilia e SocialNews intendono svolgere la loro parte promuovendo questa battaglia etica ed agendo accanto alle donne, in Italia e nel mondo. Desideriamo essere un “Faro” contro la violenza, un punto di riferimento perché nessuna donna abbia più paura di denunciare il suo carnefice.

Questo numero di SocialNews è realizzato nell’ambito del progetto “Faro: Azioni di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne” promosso da Modavi Onlus.

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Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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