Libano: il nuovo confine del popolo siriano

Syrian Edge è prodotto da Sunset e fa parte del progetto “Protezione delle famiglie siriane e libanesi più vulnerabili colpite dalla crisi siriana”. È stato realizzato da GVC e finanziato dalla Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione Europea (ECHO).
È stato girato nella zona settentrionale della Valle della Beqaa, al confine con la Siria, tra il luglio e l’agosto del 2015. In una versione da 20 minuti è stato presentato al Terra di Tutti Film Festival di Bologna in ottobre

Juan Martin Baigorria, Lisa Tormena

JUAN MARTIN BAIGORRIA
ajaxmail-1Siamo partiti una domenica di fine luglio, dopo il Ramadan. Abbiamo trascorso una notte a Beirut e il mattino seguente ci siamo diretti verso la Valle della Bekaa. Non è un viaggio lungo, ma la congestione del traffico cittadino della capitale libanese rende qualsiasi spostamento più lungo ed esasperante di quanto ci si possa aspettare valutando la distanza. A Zahle, nella Beqaa, in un ufficio-appartamento ci aspettava lo staff locale di GVC. Visto che loro lavorano a diretto contatto con i profughi, era importante comprendere quali fossero le storie più interessanti e particolari da raccogliere.
Zahle dista una trentina di km dal confine siriano, subito prima delle montagne al di là delle quali si sentivano costantemente i bombardamenti.

A quanto pare, l’esercito governativo stava bombardando pesantemente una cittadina dov’erano asserragliati alcuni guerriglieri ISIS. Il giorno seguente ci siamo diretti verso Jdeideh, avamposto GVC nei campi profughi. Lì ci siamo subito organizzati per le pre-interviste.
Non si tratta dei classici campi profughi delle Nazioni Unite. Sono organizzati a chiazze sparse sul territorio e si trovano sulle diverse terre dei LandLord, i proprietari terrieri libanesi che affittano i fondi ai profughi in cambio di soldi/lavoro nei campi. Su questi siti i rifugiati si insediano in accampamenti di diverse famiglie.
Ci siamo imbattuti in situazioni molto diverse tra loro, dal contadino che già veniva in quelle zone stagionalmente per lavorare nei campi fino alle famiglie benestanti, partite frettolosamente senza soldi e, quindi, impossibilitate a permettersi un alloggio a Beirut. Il comune denominatore era sempre lo stesso: vite spezzate, interrotte, una generazione di bambini che non andrà a scuola per chissà quanti anni.

La maggior parte dei bambini non va a scuola perché, per le famiglie, ciò rappresenta un costo. Spesso, inoltre, non basta quello che guadagnano gli adulti. In ogni caso, mancano le strutture.
Le condizioni dei campi profughi sono molto precarie e mancano le risorse. Ciononostante, le municipalità hanno accolto un numero molto elevato di rifugiati. Se ne contano circa 1.200.000 in tutto il Libano, la maggior parte dei quali nella zona settentrionale della Valle della Beqaa. Il momento peggiore per un rifugiato siriano nella Beqaa è l’inverno. Fa molto freddo e nevica e ciò rende le condizioni molto critiche. L’inverno scorso è stato molto rigido e sono morti dei bambini a causa delle tempeste di neve. Le tende sono di varie tipologie, con diversi servizi: quasi tutte sono dotate di water tank e di latrine; poche, invece, quelle con il drenaggio intorno. Molte offrono scarsa protezione di fronte alla pioggia o alla neve.ajaxmail-2

I Siriani rifugiati nei campi sono stati tutti molto ospitali. Ci hanno offerto acqua, sigarette, caffè, the, pranzi. Tutti si facevano filmare e fotografare e i bambini erano sempre molto incuriositi dalle telecamere.
Anche i Libanesi ci hanno accolto a braccia aperte.
Abbiamo trovato una situazione potenzialmente esplosiva, ma, nella maggioranza dei casi, la convivenza tra Libanesi e Siriani era pacifica, collaborativa e caratterizzata da reciproco rispetto.
Ci siamo avvicinati varie volte al confine siriano, fino a qualche metro. Personalmente ero molto incuriosito dalla situazione. Dentro di te senti come un’attrazione, una spinta. Sentivo questa voglia di scavalcare quel confine e andare a vedere con i miei occhi per capire meglio le ragioni di questa guerra. In fondo, però, ci trovavamo lì per un altro motivo e ci siamo concentrati su quello.

LISA TORMENA
Per un giornalista, avere la possibilità di documentare il Nord della Beqaa rappresenta una grande opportunità: check point, controlli serrati, una situazione molto delicata da un punto di vista politico e militare non permettono un lavoro completamente libero sul campo. Siamo qui grazie a GVC, una ONG di Bologna da anni coinvolta in progetti di sostegno ai rifugiati siriani in Libano e alle comunità d’accoglienza. Sono i cooperanti di GVC ad accompagnarci nei campi informali, a pochi chilometri dalle montagne che costituiscono il confine con la Siria. Vediamo la linea di confine, sentiamo i bombardamenti in lontananza. A volte si confondono con i fuochi d’artificio con cui i Libanesi festeggiano qualsiasi evento. Tutto questo ci confonde.
Il territorio è sotto il controllo di Hezbollah, il Partito di Dio, di estrazione sciita e vicino al Governo di Assad. Il nostro compito è quello di raccontare, attraverso le immagini, la vita, le speranze, i problemi di coloro i quali sono fuggiti dalla guerra cercando riparo in Libano e dei Libanesi del Nord della Beqaa, che oggi vivono questa presenza come ingombrante a causa della mancanza di lavoro e di sufficienti risorse idriche, energetiche, sociali ed educative.

Siamo qui da una settimana. Abbiamo visitato diversi campi e cominciato le riprese.
In uno dei campi informali (il Governo libanese non permette i classici campi profughi a cui siamo abituati) intervistiamo una giovane donna. Tiene in braccio il suo bimbo di poco più di un anno che mi scruta con un certo sospetto. Lei sorride, cercando di farmi sentire a mio agio. Attorno, quattro bambine ridono e richiamano la nostra attenzione. Sembrano piccoli squali impolverati che girano intorno ad una preda. Sorrido aprendo le braccia in segno di accoglienza e una di loro si butta nell’abbraccio. Mi guarda, mi chiede qualcosa in Arabo e le altre, come scolarette davanti ad una poesia imparata a memoria, ripetono all’unisono la stessa domanda. Faccio loro cenno di non capire. Ridono come matte e ripetono la domanda più lentamente, come se così potessi capirla.
Ovviamente, il risultato è il medesimo. Cerco con lo sguardo la nostra interprete, Nagham, che si aggira con Martin tra le tende per rubare immagini di vita quotidiana. Le voci delle bimbe si fanno più insistenti, si sovrappongono e questa domanda pare ora la più importante del mondo.
Attiro l’attenzione di Nagham. Lei arriva con il fare di una crocerossina pronta al salvataggio.
Chiedo alle bimbe di ripetere e Nagham traduce: “Tu sei andata a scuola?”.
Era questa la domanda più importante del mondo.
In sé rappresenta la grande tragedia silenziosa causata dalla guerra: la perdita, da un punto di vista educativo, di un’intera generazione.

ajaxmailIl Libano ha 4,5 milioni di abitanti ed ospita quasi un milione e mezzo di profughi siriani, 400.000 dei quali bambini in età scolare. Di questi, meno del 10% ha avuto accesso ad un percorso educativo.
Le cause sono diverse e, tra queste, si contano la mancanza di strutture adeguate a far fronte ad un numero così elevato di studenti, la distanza delle scuole dalle isolate zone dei campi, i costi dei trasporti, spesso insostenibili per i genitori.
Le Nazioni Unite puntano a coinvolgere nel percorso scolastico 200.000 bambini siriani accampati in Libano, ma, fino allo scorso anno, solo il 6% del target era stato raggiunto. La speranza è che, quest’anno, la percentuale salga a doppia cifra.
Syrian Edge è in fase di distribuzione e verrà proiettato attraverso il circuito dei festival.
Stiamo lavorando ad una versione più lunga. Contemporaneamente, stiamo realizzando un nuovo documentario, Les amoureux des bancs publics, sulla riappropriazione dello spazio pubblico tunisino attraverso l’arte di strada.

Juan Martin Baigorria, fotografo e documentarista 
Lisa Tormena
, giornalista freelance e documentarista

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