Le invisibili

Le donne rappresentano la metà dei migranti globali. Troppo spesso non ci si sofferma a riflettere sul ruolo da loro svolto nel conservare e trasmettere cultura, identità e tradizioni

Gabriella Russian

www.internazionale.it

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Le invisibili. Di loro non si parla o se ne parla troppo poco. Eppure, secondo le Nazioni Unite, le donne oggi rappresentano il 48% del totale dei migranti. L’Istat ci informa che in Italia le donne straniere sono 2.369.106 e rappresentano il 51,8% del totale dei cittadini stranieri residenti. Dati importanti emergono anche da un punto di vista economico: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), anche se generalmente guadagnano meno degli uomini, le donne inviano in Patria una percentuale maggiore del proprio reddito.
Se ne parla poco.
Probabilmente, in Italia continua a vincere il solito cliché, difficile da scalfire, della donna meno pericolosa e più facilmente adattabile dell’uomo, quindi meno problematica o, in alternativa, la migrazione femminile è spesso sinonimo di badante proveniente dell’Est. Rimane radicata l’idea di un ruolo puramente passivo affibbiato al genere femminile, donna che rimane o donna che raggiunge, spinta a muoversi da motivazioni più intime ed emotive rispetto a quelle degli uomini. È innegabile che alcune di esse si muovano per inserirsi in un mercato lavorativo circoscritto alla manodopera femminile.

Ciò appare evidente in Paesi come l’Italia e la Spagna. Tra le tante riflessioni che così si perdono per strada, ritengo utile soffermarmi sulla complessità e sull’importanza della figura femminile inserita in contesti socio-culturali differenti dal proprio, specie se costretta.
L’antropologia insegna il ruolo-contenitore di tradizione e veicolo di trasmissione della stessa appartenente all’universo femminile, la madre che trasmette ai propri figli. Anche in un modello di famiglia patriarcale, nel quale la donna viene arginata alle dipendenze dell’uomo, continua ad essere la fonte di educazione e trasmissione dei valori. Il ruolo è contrario alla passività spesso attribuitagli. È un ruolo fondamentale e attivo.
L’importanza di riuscire a mantenere fede ai propri principi, ai valori, alle tradizioni, trasmetterli e, contemporaneamente, confrontarsi con culture a volte ostili a tali modelli, spesso opposti.
La fatica di un ruolo che porta a “risignificare” i propri riferimenti. O, ancora, la difficoltà di allontanare i propri “credo” per inseguire ed aderire ad un modello di emancipazione tipicamente occidentale.

Ad opinione di chi scrive, la donna rappresenta un elemento di stabilità e di continuità culturale fondamentale per i nuclei familiari degli immigrati e delle famiglie transnazionali e un importante anello di congiunzione tra la cultura ospitante e quella ospitata. Di ciò si parla poco pubblicamente. Probabilmente, il tema è forse ancora troppo riferito ai soli principi di uguaglianza. Credo si stia perdendo una buona occasione non considerando la migrazione dal punto di vista femminile, valutandola, in particolare, nei fattori micro-sociali come l’interazione tra la madre/moglie e il resto della famiglia nel nuovo contesto. La migrazione presuppone una ridefinizione dei ruoli e la struttura e il funzionamento del nucleo influenzano la permanenza e molti altri fattori. Come scrisse Zehraoui nel 1995, “non esiste una famiglia immigrata già costruita, fatta, che si integri, sia da integrare, sia integrata […] ma riguarda un complesso procedimento in cui ogni singolo elemento deve rinegoziare”.

Gabriella RussianResponsabile comunicazione di Auxilia Onlus

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