Intervista ad Alessandro Simonetto

Quando si entra per la prima volta in quella che Alessandro Simonetto, musicista  triestino fra i più richiesti a livello nazionale, definisce la sua “officina musicale”, è come entrare in un altro mondo: è un ambiente ampio e accogliente, che si può trasformare da luogo di lavoro a sala da ballo, da studio di registrazione a posto dove ritrovarsi, semplicemente, con gli amici. Quello che immediatamente colpisce la fantasia sono tutti gli strumenti musicali che la popolano: una vivacissima quantità di violini, viole, chitarre, sassofoni, tastiere, fisarmoniche, e tutti gli altri strumenti che lui ha suonato, girando l’Italia in tournée con artisti come Francesco Guccini, Fiorella Mannoia, Ron, Paolo Rossi… E quando, poi, inizia a raccontare la sua storia si viene toccati ancor più profondamente, perché è un artista dalle mille sfaccettature e dai mille interessi, ma non solo: è un artista che non ha mai dimenticato l’importanza di servirsi della propria arte per portare conforto a chi soffre.

“Come ti sei avvicinato alla musica leggera e qual è stato il tuo percorso di studi?”

“A fare musica leggera avevo iniziato giovanissimo, a sedici anni, e questo mi costò l’espulsione dal Conservatorio, perché non era permesso suonare al di fuori della scuola, e tanto meno quel tipo di musica, che era vista un po’ come l’espressione del diavolo. Io invece suonavo con Angelo Baiguera in una trasmissione televisiva su Tele4: all’epoca c’erano moltissime persone che la guardavano, e tra queste il vicedirettore del Conservatorio. Che regolarmente, il giorno dopo, veniva in classe mentre stavo facendo lezione col mio maestro di violino e mi sospendeva per 15 giorni. Il regolamento voleva che dopo tre sospensioni si venisse radiati dal Conservatorio: ed io sono proprio uno dei pochi casi, nella storia dell’istituto, di allievi radiati ”.

“Com’è iniziata la tua carriera nel mondo della canzone italiana?”

“Nel 1990 ho caricato il mio vecchio furgone con tutti gli strumenti musicali che suonavo e sono partito alla volta di Milano, senza nessuno che mi aspettasse. Insomma, un salto nel vuoto. Mi sono sistemato in un alberghetto, mi sono preso una guida con gli indirizzi delle case discografiche, dei produttori e degli organizzatori di spettacoli, e ho cominciato a cercare appuntamenti per far sentire le mie composizioni. E, ovviamente, ho trovato subito grandi difficoltà: in questo mondo tutti sono presi da ritmi incredibilmente incalzanti e non dedicano facilmente il loro tempo a chi non ha alcun tipo di curriculum. Fino a quando ho contattato Lucio Fabbri, famoso violinista, polistrumentista e produttore discografico, che mi ha proposto di lavorare nel suo studio come tecnico del suono: di più non poteva offrirmi, ma così almeno sarei finalmente entrato in contatto con il mondo discografico”.

“Com’è avvenuto il salto che ti ha portato alla collaborazione con i grandi cantanti?”

“Nello studio dove lavoravo nel mio ruolo di assistente fonico stava incidendo Ornella Vanoni, ed un giorno non si presentò il suo tastierista. Così proposi di portare la mia tastiera dal piano di sopra, dove abitavo, e di provare a salvare la giornata di lavoro. Nel corso delle prove, mentre stavamo mettendo le tastiere su un brano, a qualcuno venne l’idea che in quel pezzo sarebbe stata meglio una chitarra: così dissi che, se volevano, potevo portare giù anche la mia chitarra. Loro, divertiti, mi fecero suonare anche quella, e, di fronte ad un brano in cui sarebbe stato perfetto il suono di un sassofono, mi proposi anche come sassofonista. Così andò a finire che in quel disco collaborai suonando più strumenti, e mi creai un primo “bigliettino da visita”.

Poco tempo dopo seguì, in modo ancora del tutto casuale, una tournée con Ron, che stava cercando un fisarmonicista da portare in televisione, ma solo per fare scena: si sarebbe visto un fisarmonicista suonare, ma non lo si sarebbe sentito. Venni chiamato io ma, siccome non so fare il playback, durante la canzone mi misi a suonare veramente, improvvisando sulle note che sentivo: a Ron piacquero le mie improvvisazioni e mi propose di seguirlo in tournée”.

“In questo modo è iniziata una serie di tournée e di incisioni con numerosi artisti italiani e stranieri. Quali sono state le esperienze che ricordi con più emozione?” “Per certi versi un’esperienza molto forte è stata San Remo, quando ho suonato insieme a Pierangelo Bertoli. In quell’occasione sono stato travolto da un’ondata di emotività mostruosa. Della tensione esistente su quel palcoscenico avevo già sentito parlare, ma dall’esterno avevo sempre visto solo grandi sorrisi; dietro le quinte, invece, si respira l’ansia che gli artisti covano da mesi, perché in tre minuti di performance possono giocarsi anche una intera carriera. In quell’occasione sono stato investito da questa energia negativa e mi si sono paralizzati i muscoli facciali: mi si è fissato un sorrisetto che non potevo controllare e che mi è durato per tutti i tre minuti e mezzo della canzone.

Ma di tutte le mie esperienze quella sicuramente più emozionante è stata il concerto che Ron ed io abbiamo fatto a Lourdes. Uscire dall’albergo e, anziché trovarsi in una cittadina normale, trovarsi in un traffico suore, di infermiere, di malati, di persone che vanno in giro con barelle, sedie a rotelle, stampelle, e suonare di fronte a 12.000 persone malate è stata un’esperienza molto intensa”.

“E non era certo la prima volta che suonavi per portare conforto a chi soffre… Tu sei un artista che sente l’esigenza di mettere al servizio di tutti coloro che possono averne bisogno il rapporto privilegiato che ha con la musica, suonando, ad esempio, per gli anziani nelle case di riposo o per i malati terminali negli ospedali…”

“Andare a suonare per delle persone che probabilmente tra poco non ci saranno più e, come spesso mi è capitato, suonare qualche settimana dopo anche al loro funerale, è una cosa molto difficile da sostenere psicologicamente; credo però che sia giusto utilizzare il proprio talento al servizio degli altri, e dividere i propri doni soprattutto con chi sta male. La gioia che può arrivare sul viso di una persona che è a contatto con la morte e improvvisamente si rasserena non è una cosa meno importante di un grande concerto di fronte a migliaia di persone”.

“Quali sono i tuoi progetti per il futuro?”

“In questo momento sono in tournée con Shell Shapiro, con cui collaboro già da dieci anni. Continuano poi i miei concerti come violinista in duo con il fisarmonicista Roberto Daris. Il duo ha, inizialmente, coltivato un repertorio di musica tzigana, che ha dato sempre grandi successi. Di recente, invece, abbiamo messo su uno spettacolo di tango con i ballerini Silvia Galetti, Ubaldo Sincovich, Elisa Sorge e Pablo Furioso. Il tango è una delle mie più grandi passioni in questo momento, perché permette un contatto umano fortissimo con una persona che, magari, non hai mai visto prima e che forse non vedrai mai più: arrivi in una milonga dove non conosci nessuno, vedi delle signore sedute in attesa di un ballo, ti avvicini ad una di esse e la abbracci appassionatamente e balli con lei, fronte contro fronte e cuore su cuore, sentendone gli stessi battiti. E’ un salto in un altro mondo, pieno di atmosfere dense e intriso di romanticismo, e non mi vengono in mente molti altri ambiti dove siano possibili contatti umani così emozionanti: non certamente le discoteche, dove si balla a trenta centimetri di distanza, senza comunicare assolutamente niente. Questa passione mi ha portato anche ad organizzare un corso di tango, tenuto dai ballerini Elisa Sorge e Pablo Furioso, all’interno di “Semplicemente”, l’associazione culturale di cui sono presidente”.
Martina Seleni.

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