I grandi record dell’atletica dal ‘900 ad oggi. Quanti miti!

L’atletica è da sempre la disciplina simbolo dei Giochi. Ha annoverato campioni incredibili, stabilito record imbattibili e vissuto scene epiche, immortalate anche dal cinema

Maurizio Ciani 

Sulla scia delle Olimpiadi di Rio, concentriamoci sui grandi record dell’atletica dal ‘900 a oggi. Arduo compito citarli tutti. Ci vorrebbe un’enciclopedia. Esistono pubblicazioni realizzate in tal senso, ma si riducono ad una sfilza di nomi, cognomi, tempi, misure, date, città e così via. Noi, invece, selezioneremo solo alcuni di questi primati, cercando, però, di trasmettere qualche emozione e, perché no?, fornire pure qualche nozione interessante o qualche aneddoto curioso. È doveroso, inoltre, precisare che, soprattutto nelle discipline a tempo, il record forse lascia una traccia più indelebile di una prestazione, ma ciò che importa davvero quando sono in ballo titoli importanti è la vittoria finale. Questa è spesso frutto di gare tattiche e i riscontri cronometrici ne risentono negativamente. Per gli atleti professionisti, insomma, il record rappresenta la ciliegina sulla torta.

La corsa regina dell’atletica leggera

Dopo questa premessa, iniziamo il racconto. Prima tappa, nel nostro ordine logico, ma non per forza cronologico, è il mezzofondista cecoslovacco Emil Zátopek, capace di vincere ben tre ori nella medesima olimpiade, anche se questo exploit, come vedremo, non rappresenta un record. Ad Helsinki, nel ’52, Zatopek si impose nei 5.000, nei 10.000 e nella maratona, nella prima occasione in cui si cimentava in questa competizione ed avendo deciso solo all’ultimo di prendervi parte. Fenomenale. In tutte e tre le prove stabilì il nuovo record olimpico. Nel 2012, ad una dozzina d’anni dalla scomparsa, è stato inserito nella Hall of Fame della IAAF, la Federazione Internazionale di Atletica Leggera.

Nel medesimo periodo è diventato famoso Roger Gilbert Bannister, londinese, primo atleta ad abbattere il muro dei 4 minuti nel miglio, ai Giochi dell’Impero e del Commonwealth Britannico del 1954. Nello stesso anno nasceva la celebre rivista americana Sports Illustrated. Nel gennaio del ’55 la testata si trovò a dover scegliere l’atleta dell’anno, ovviamente precedente. Ebbene, proprio Roger Bannister ebbe l’onore di figurare sulla prima copertina del periodico, quando questo preferiva ancora i veri talenti a donne mezze nude, pubblicate con l’esclusivo fine di incrementare le vendite.

jesse owen

Dicevamo che tre ori nella medesima Olimpiade, benché stupefacenti, non rappresentano un record: nella storia, quattro atleti sono stati capaci di portarne a casa addirittura quattro! Alvin Kraenzlein (Parigi 1900), James Cleveland Owens (Berlino 1936), Francina Elsje Blan- kers-Koen (Londra 1948) e Frederick Carlton Lewis (Los Angeles 1984). Al Kraenzlein, di Milwaukee, rimane a tutt’oggi l’unico atleta ad aver fatto poker con sole affermazioni individuali, senza considerare le staffette. Fanny Blankers-Koen è, invece, l’unica donna ad aver raggiunto questo invidiabile risultato. La circostanza strabiliante è, però, che lo ottenne quando era già madre di due figli, con la conseguente difficoltà di ritornare in forma dopo le gravidanze. Per questo motivo, l’Olandese fu soprannominata “la mammina volante” (100, 200, 80 hs, 4×100). Jesse Owens è l’atleta che più si addice ai fini di questo articolo: “condì” i suoi quattro ori con due record mondiali, 39”8 nella staffetta 4×100 con Metclalfe, Draper e Wykoff e 20”7 nei 200. L’ultimo della lista è “il figlio del vento” Carl Lewis, anche lui Americano, un fenomeno capace di vincere i primi ori mondiali nel 1983 in Finlan- dia e completare un palmarès da favola ai Giochi Olimpici di Atlanta ’96, con la vittoria nel lungo con 8,50. A lui fu addirittura dedicato uno specifico gioco per computer, uscito nel ’92 in occasione delle Olimpiadi di Barcellona, “The Carl Lewis Challenge” per Amiga, Atari ST e sistemi MS-DOS, roba da fiera dell’antiquariato elettronico! Passiamo al Cubano Alberto Juantorena, unico atleta nella storia capace di trionfare nei 400 e negli 800 nella medesima Olimpiade (Montréal ’76). Sicuramente, tutti ricorderanno l’Etiope Abebe Bikila, “il maratoneta scalzo” che partecipò senza scarpe alla prova di 42 km a Roma 1960. Non solo vinse quel titolo olimpico con il nuovo record del mondo (2h15’16”), ma bissò il successo, questa volta con calzature, a Tokyo 1964. Anche in questo caso fece segnare il nuovo primato, in 2h12’12”.

schermata-2016-11-04-alle-15-50-44Due atleti straordinari non sono tanto famosi per i loro “personal best” quanto per la rivalità da record messa in atto in sfide memorabili: Sebastian Coe e Steve Ovett sono entrambi Britannici, il primo di Chiswick, Londra, il secondo di Brighton. Fu loro il grande merito di rendere emozionanti le Olimpiadi di Mosca del 1980, boicottate da alcuni grandi Paesi – come gli Stati Uniti – in segno di protesta per l’invasione sovietica in Afghanistan. Per la cronaca, Coe si aggiudicò i 1.500 metri, Ovett gli 800, in tutti e due i casi in rimonta sul diretto concorrente. Tornando all’astensione di molti Stati, rammentiamo che, nell’atletica, vige una sorta di regola implicita per cui gli assenti hanno sempre torto. Nessuno, pertanto, si permetta di toglier lustro all’oro vinto nei 200 da Pietro Mennea proprio nella capitale russa. Mennea aveva realizzato il primato mondiale l’anno precedente a Città del Messico. Il suo strabiliante 19”72 resistette per 17 anni. Venne battuto soltanto dal formidabile Michael Johnson, portacolori degli USA, ricordato per la sua fal- cata molto ampia e per il busto insolitamente arretrato. Nel 1996 ridusse il tempo a 19”66 per poi “limarlo” ulteriormente a 19”32. Solo un fenomeno assoluto come lo “showman” giamaicano Usain Bolt è riuscito ad avvicinare la soglia dei 19 secondi: il 20 agosto 2009 realizzò 19”19. Quattro giorni dopo, record anche sui 100 con 9”58. Probabilmente, questo limite reggerà ancora per molto tempo.

Non solo gare di velocità: salto in lungo, in alto, triplo e tutti gli altri

Spesso, lo “sportivo medio” riduce l’atletica alle gare di velocità o alla corsa in generale. Andrebbero, invece, valorizzate maggiormente anche le altre discipline, come, ad esempio, il salto in lungo. Nel 1968, in questa specialità, Bob Beamon realizzò una prestazione strabiliante! L’8,90 corrispondeva ad un miglioramento di ben 55 centimetri. Il record resse per 23 anni, mentre Beamon si avviò ad un rapido ed inesorabile declino.

Per il salto triplo citiamo Jonathan Edwards. A causa di motivi religiosi, inizialmente non saltava mai di domenica. Fortunatamente, beneficiò di una dispensa da parte dei vertici del proprio credo. Edwards è stato il primo triplista a superare i 18 metri e detiene il record grazie al 18,29 di Goteborg ’95. Lo Statunitense George Horine va, invece, ricordato per essere stato il primo uomo ad infrangere la soglia dei due metri nel salto in alto (nel 1912), grazie allo stile costale da lui stesso sviluppato. Oggi, invece, è adottato il Fosbury, benché il genio che portò alla ribalta questa nuova dinamica di salto, Dick Fosbury, non fece mai registrare il primato mondiale. In mezzo, tra costale e Fosbury, segnaliamo l’ultimo grande ventralista, il Siberiano Valery Brumel, sei record mondiali fino a raggiungere 2,28 nel 1963. Trent’anni dopo, il Cubano Javier Sotomayor superò l’asticella a 2,45, una performance eccezionale, ancora oggi imbattuta, uno dei primati più longevi. Proprio nel 2016 è cambiata la specialità al vertice della classifica dei record più datati, quando è stato battuto il record sugli 800 femminili realizzato da Jarmila Kratochvílová (1’53”28). Sulla Cecoslovacca pesa, però, l’ombra del doping, ipotesi insinuata anche dal Professor Vittori, l’allenatore di Mennea. Mai vista un’atleta così corpulenta correre a quei ritmi. Vittori, inoltre, ricorda che, in occasione degli stage a Formia, Jarmila non faceva mezzo esercizio di potenziamento. Eppure, era così grossa…

Parry O’Brien introdusse la tecnica dorsale nel getto del peso, nota anche con lo stesso nome dell’inventore, migliorando per ben dieci volte il record mondiale tra il 1953 ed il 1959. Nonostante oggi molti atleti prediligano la tecnica rotatoria, il metodo O’Brien è ancora piuttosto diffuso. Jay Silvester fu il primo discobolo a lanciare l’attrezzo oltre i 60 metri. In tutto fece registrare quattro record del mondo, con ben sette anni di differenza tra il primo e l’ultimo. Rimanendo nel lancio del disco, Al Oerter risulta essere l’unico atleta ad aver vinto quattro ori olimpici consecutivi, dominando il panorama della specialità da Melbourne ’56 a Città del Messico ’68. In mezzo, anche diversi primati mondiali.

Alle medesime Olimpiadi partecipò anche un grandissimo martellista, Harold Connolly. Vinse l’oro solo alla prima occasione a Melbourne, mentre nelle tre successive non raggiunse nemmeno il podio. La cosa suona strana: tra il ’56 ed il ’65 Connolly realizzò 6 record mondiali consecutivi. In tema di gossip, proprio a Melbourne Connolly conobbe la discobola cecoslovacca Olga Fikotová, vincitrice dell’oro. Di lì a breve i due si sposarono ed ebbero quattro figli. Tra di essi, ricordiamo Merja Connolly-Freund, che militò nel massimo campionato italiano di volley. Passando al lancio del giavellotto, va ricordato come l’attrezzo, nel corso degli anni, abbia subito ben due modifiche. Esisto- no, pertanto, tre progressioni diverse in merito ai primati mondiali. Chi figura più volte negli archivi è, indubbiamente, il Finlandese Matti Järvinen: negli anni ’30 raggiunse la “doppia cifra” di record, dieci tondi. La distanza raggiunta venne abbondantemente superata negli anni a seguire. In tempi recenti, il Ceco Jan Zelesny risulta essere l’atleta più forte: nel ’96 sfiorò i 100 metri (98,48), primato tuttora imbattuto.

pietro mennea

I record delle donne dell’atletica

Spesso si assiste ad una sorta di “sessismo mediatico”; non intendendo cadere in questo difetto, apriamo un’ampia sezione sui primati femminili. A parte le summenzionate Fanny Blankers-Koen, “la mammina volante”, e Jarmila Kratochvílová, ci sono altre donne che hanno segnato la storia dell’atletica a suon di record. Ripartiamo dall’ultima, che trovò la sua più grande rivale nella Tedesca dell’Est Marita Koch. Quest’ultima ritoccò per ben sette volte il record dei 400, trovando il suo limite nel 47”60 che resiste ancora oggi dal lontano 1985. La regina della velocità è stata Florence Griffith-Joyner, tuttora titolare dei primati sui 100 e sui 200, realizzati entrambi nel 1988. In luglio portò il limite dei cento a 10”49, due mesi dopo si impose sulla doppia distanza alle Olimpiadi di Seul, con 21”34. Purtroppo, “Fast Flo” scomparve prematuramente dieci anni più tardi, all’età di 38 anni, per soffocamento durante una crisi epilettica che la colse nel sonno. Questa tragica vicenda alimentò i rumors circa l’assunzione di anabolizzanti da parte della forte atleta USA.

Fondo e mezzofondo sono dominati, con manifesta superiorità, dal continente africano. Il primato mondiale di maratona femminile rimane, però, in Europa, grazie alla Britannica Paula Radcliffe: nella sua Patria, nel 2003, fermò il crono a 2h15’25”. Nonostante lo stile “discutibile”, con quel ciondolare la testa che esteticamente non rappresenta un bel vedere, la sua corsa era sicuramente molto efficace. Per comprendere l’importanza della sua prestazione, pensiamo solo che la Keniana Jemima Sumgong ha vinto l’oro a Rio con 2 ore e 24. Si può obiettare che il tracciato di ogni maratona è molto variabile e ci possono essere condizioni ambientali e climatiche diverse che influenzano la prestazione. Resta, però, il fatto che 9 minuti sono un’eternità. Passando alla specialità dei salti, la più famosa in tempi recenti è sicuramente Yelena Isinbayeva, grande esclusa a Rio causa lo scandalo doping che ha coinvolto la Federazione russa di atletica. Meritava sicuramente un finale di carriera più glorioso. Centimetro dopo centi-metro, conta ben 17 miglioramenti del record mondiale, fino a superare l’asticella appoggiata sui ritti a 5,06 al meeting di Zurigo il 28 agosto 2009.

Rimanendo su salti ed asticelle, passiamo all’alto. La Rumena Iolanda Balas non arrivò a 17 miglioramenti, ma si fermò al comunque ragguardevole numero di 13, tra la metà degli anni ’50 e i primi anni ’60. Il suo 1,91 rimane il miglior risultato femminile con la tecnica della sforbiciata. Restando in tema, prendiamo spunto da una canzone di Samuele Bersani (“Che vita!”) per toccare anche i colori azzurri. Il cantautore riminese accostava, anche se in ambito politico, i nomi del summenzionato Pietro Mennea e di Sara Simeoni. La seconda, il 4 agosto 1978, al meeting di Brescia, saltò 2,01, replicato a Praga alla fine dello stesso mese. Oggi il primato appartiene alla Bulgara Stefka Kostadinova con 2,09. Nel 2014 la Simeoni è stata eletta assieme al celebre sciatore Alberto Tomba “Atleta del Centenario” in occasione dei 100 anni del CONI.

 

Maurizio Ciani, collaboratore di City Sport

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