Gli ordini di protezione a tutela della vittima

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La prima difficoltà che si incontra nei casi di violenza in famiglia è la mancanza di informazioni sugli strumenti posti a disposizione della vittima. Nel 2001, il legislatore ha introdotto gli ordini di protezione civili e penali (con l. 154/2001). Sono di facilissima applicazione, ma poco divulgati. L’ordine di protezione civile, in particolare, agevola la richiesta di aiuto della vittima permettendole di ricorrere personalmente al giudice senza l’assistenza dell’avvocato e senza particolari formalità. Attivata la richiesta di tutela, tali strumenti garantiscono la tempestività dell’intervento giudiziario.

Per comprendere l’istituto è necessario compiere un passo indietro. Si deve partire dalla definizione dei maltrattamenti endo-familiari. Questi rappresentano una forma di violenza riconosciuta come tale solo nell’ultimo decennio. Essa risente di un retaggio culturale che tendeva a minimizzarla e a giustificarla, riducendo le condotte a meri conflitti coniugali (o tra conviventi), cui non si doveva attribuire troppa importanza. Questi conflitti andavano contenuti all’interno delle mura domestiche. La violenza in famiglia è un fenomeno che si manifesta con condotte aventi modalità ed intensità sempre diverse. Vanno a ledere molteplici aspetti della persona umana, non solo il corpo, ma anche e, soprattutto, la mente, gli affetti, lo spirito. La difficoltà di elaborare una definizione della violenza in famiglia ha reso necessario individuare la traccia comune di tutte queste condotte per giungere a qualificare il fenomeno in base alla finalità a cui gli atti sono diretti: la sopraffazione del familiare debole attraverso strategie umilianti e dolorose – che cagionano a chi le subisce penosissime condizioni di vita – espressioni di potere e controllo volte a sottomettere la vittima.

Interessante notare come, nel titolo dell’art.342 bis c.c., il legislatore sia ricorso al termine di abuso familiare per chiarire quali siano i presupposti indispensabili per richiedere al Giudice civile ed ottenere la pronuncia di un ordine di protezione, ovvero, che la condotta da sanzionare si sia realizzata in ambito familiare e sia stata tale da determinare un “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.

Ordine di protezione, vale segnalarlo, che può essere chiesto anche nel periodo intercorrente tra il deposito del ricorso [per separazione/divorzio] e l’udienza presidenziale. L’ordine protettivo, infatti, controllerà provvisoriamente quel periodo “privo di protezioni”, nel caso in cui i coniugi non riescano a gestire pacificamente questo delicato momento. Naturalmente, il decreto protettivo perde efficacia quando sia successivamente pronunciata l’ordinanza interinale del Presidente del Tribunale sulla separazione o sul divorzio.

L’ordine di protezione si divide in due gruppi: da una parte, l’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole, il nucleo essenziale dei mezzi di tutela, da pronunciarsi sempre; dall’altra, le misure di carattere esclusivamente sussidiario ed eventuale (l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di frequentazione dei luoghi, l’ordine di pagamento, l’ordine di versamento diretto da parte del datore di lavoro). Va segnalato che, nel divieto di frequentazione dei luoghi “abitualmente frequentati dall’istante” (art.342 ter c.c.), il Tribunale di Milano, con un’illuminata decisione del 2012, ha ricompreso la casa familiare nonostante essa non sia annoverata nel dettato normativo (Trib. Milano, sez. IX. civile, 19.06.2012, R.G. 43088\12 inedita).

Nel delineare l’ambito di applicazione soggettivo degli ordini di protezione, il legislatore ha assunto come parametro di riferimento la cosiddetta famiglia allargata, garantendo, in questo modo, alla famiglia di fatto ed a quella legittima un’uguale tutela, in perfetta conformità allo spirito della riforma, volta ad offrire un concreto ed efficace aiuto ai soggetti deboli. La disciplina prevista dalla legge n. 154 del 2001 si applica, infatti, “in quanto compatibile, anche al caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente” (art. 5 l. 154/2001). La giurisprudenza di merito ha interpretato tale disposizione nel senso che anche la prole (anche di minore età) possa essere considerata soggetto attivo o passivo della condotta che legittima l’esercizio dell’azione civile contro le violenze nelle relazioni familiari (Trib. Piacenza, 23 dicembre 2008, www.pluris-UTET-CEDAM.it).

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Va, da ultimo, sottolineato come, per una corretta applicazione dello spirito della norma, non sia necessario il requisito della convivenza, mentre è certamente evidente debba trattarsi di una comunione di vita (more uxorio per le coppie), con esclusione dall’ambito di applicazione delle convivenze prive del requisito della solidità. Occorre, pertanto, porre attenzione non tanto all’effettiva attualità della convivenza al momento in cui il soggetto leso si rivolge al Giudice, quanto alla circostanza che sia la convivenza la relazione privilegiata che consente di abusare dell’altro. Questo requisito richiede, necessariamente, una certa stabilità, non potendo essere soddisfatto dalla mera coabitazione occasionale. La norma non specifica da quanto tempo debba perdurare la conduzione della vita in comune presso la casa familiare, ma deve trattarsi di un’unione tendenzialmente solida, socialmente percepibile come convivenza. Quando il legame sia stato interrotto per la necessità di sottrarsi al partner dedito al compimento di atti di violenza, l’ordine di protezione dell’allontanamento dalla casa familiare può essere ancora emesso, per un lasso di tempo che non lasci ipotizzare la definitiva cessazione del legame (Trib. Bari-Monopoli, 21.10.2010).

 

Francesca Maria Zanasi

 

STUDIO LEGALE DIRITTO DI FAMIGLIA E SUCCESSIONI

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