Ebola: l’inizio della fine

L’epidemia è scoppiata ben 40 anni dopo questi primi casi e, soprattutto, in Africa Occidentale

Antonio Irlando

vaccini_multipliNel gennaio scorso, in Liberia sono stati ufficialmente superati 42 giorni senza segnalazioni di nuove infezioni da virus Ebola: l’annuncio potrebbe sancire la fine di questa terribile epidemia in Africa Occidentale. Joanne Lin, presidente internazionale di “Medici senza Frontiere”, dichiara pubblicamente il suo sollievo. Il direttore delle operazioni di MSF, Brice de la Vingne, si è congratulato con tutti coloro i quali hanno contribuito a questo risultato. Nei Paesi maggiormente colpiti, Guinea, Liberia e Sierra Leone, “Medici senza Frontiere” ha lavorato intensamente, creando Centri per il trattamento degli ammalati e fornendo, contemporaneamente, servizi di supporto psicologico, promozione della salute e sorveglianza epidemiologica.
Durante il periodo epidemico, in queste Nazioni sono stati ricoverati complessivamente 10.376 pazienti, 5.226 dei quali si sono rivelati affetti da Ebola. Nella fase di picco sono stati impiegati circa 4.000 operatori nazionali e 325 internazionali. Sono stati spesi oltre 96 milioni di euro.
Anche Nigeria, Senegal, Mali e Repubblica democratica del Congo hanno pagato il loro contributo in vite umane a questa violenta epidemia. Ad aprile del 2015, in tutta l’Africa Occidentale sono stati segnalati complessivamente 25.898 casi di Ebola e 10.730 decessi. In Africa Centrale i casi sono stati complessivamente 69 con 49 decessi. Alcuni Paesi sono stati interessati dalla comparsa di casi viaggio-associati, com’è successo in Spagna, U.S.A., Gran Bretagna. A causa dei problemi post-infettivi, quali dolori diffusi, affaticamento cronico, disturbi uditivi e visivi, conseguenze psicologiche, i sopravvissuti sono stati accolti in strutture dedicate.

L’Ebola è apparsa per la prima volta nel 1976 in due focolai contemporanei: un villaggio della Repubblica Democratica del Congo, nei pressi del fiume Ebola, ed una zona remota del Sudan. L’epidemia è però scoppiata ben 40 anni dopo questi primi casi e, soprattutto, in Africa Occidentale. Ma perché sono stati colpiti proprio quei territori? E quali potrebbero essere i rapporti tra la comparsa dell’epidemia e le pratiche di disboscamento, deforestazione, distruzione dell’agricoltura tradizionale?
È noto che i probabili ospiti del virus sono i pipistrelli della frutta, che la malattia colpisce uomini e primati, e che viene trasmessa attraverso lo stretto contatto con sangue, secrezioni, tessuti, organi e fluidi corporei di animali infetti. Una persona infetta può, a sua volta, diffondere l’infezione tramite il sangue, i fluidi corporei, le secrezioni. Le persone decedute per Ebola devono essere maneggiate con indumenti protettivi e guanti ed essere sepolte immediatamente per evitare i rischi di diffusione del virus. Anche i soggetti guariti possono trasmettere il virus: questo si verifica attraverso lo sperma, per un periodo di circa sette settimane dopo la fine della malattia.

Tutto ciò può essere collegato al disboscamento? In un articolo pubblicato su “The Ecologist”, un biologo evoluzionista, Rob Wallace, sostiene questa teoria, correlando le dinamiche della malattia con l’utilizzo della terra e l’economia globale. Proprio le regioni africane più colpite sono quelle in cui si è verificato contemporaneamente, negli ultimi dieci anni, il disinvestimento pubblico nell’ambito sanitario e la promozione dello sviluppo privato. Piccoli terreni sono stati espropriati per far posto all’attività mineraria e all’agricoltura intensiva. Secondo Wallace, questi cambiamenti sono stati capaci di alimentare l’emergenza sanitaria. In particolare, tutto graviterebbe intorno alle coltivazioni di palma da olio.
Per centinaia di anni, nella regione della Foresta della Guinea, boschetti naturali e semi-selvatici di palma da olio hanno assicurato il naturale fabbisogno di olio di palma. A partire dal XX secolo è stato perseguito l’aumento della densità dei palmeti ed a questi si sono aggiunte le nuove piantagioni di caffè, cacao, cola. I ricercatori sono convinti che lo sviluppo intensivo di tutte queste coltivazioni abbia fatto in modo che i villaggi di queste zone venissero circondati da una vegetazione sempre più fitta, favorendo così il maggiore contatto tra uomini e pipistrelli, in particolare quelli della frutta, attratti dalle piantagioni.
Ulteriori studi, condotti dal gruppo di Luke Bergmann dell’Università di Washington, stanno cercando di dimostrare in che modo il sistema capitalistico che alimenta lo sfruttamento della terra possa essere correlato all’emergenza sanitaria da virus Ebola. In certe condizioni, la foresta può diventare un forma di protezione epidemiologica, ma ciò si vanifica quando i cambiamenti incidono profondamente sulla terra: la soglia dell’ecosistema si riduce ad un livello al quale nessun intervento di emergenza può contenere l’esplosione del virus.

I sintomi tipici dell’infezione sono febbre, debolezza, dolori muscolari, cefalea, mal di gola, vomito, diarrea, esantema, insufficienza renale ed epatica, emorragie. Il periodo di incubazione varia tra 2 e 21 giorni, ma in questa fase il paziente non è contagioso. Gli ammalati hanno bisogno di terapia intensiva e reidratante. Non esiste un trattamento specifico. Non esiste un vaccino autorizzato, anche se ce ne sono vari in fase di sperimentazione. I farmaci più promettenti sono il TKM- Ebola e il BCX4430. Il primo, basato sulla tecnologia dell’“RNA interference” per bloccare la replicazione virale, in esperimenti condotti su scimmie è stato capace di garantire protezione se somministrato entra 30’ dal contagio; è attualmente sperimentato in uno studio clinico di fase I. Il secondo è un inibitore della RNA-polimerasi virale, enzima fondamentale per la sopravvivenza del virus, ma è attualmente in una fase di studio preclinico. Per quanto riguarda i vaccini, il più promettente origina dal virus della stomatite vescicolare, sul quale una proteina di superficie è stata modificata per renderla il più simile possibile a quella presente sul virus. A livello sperimentale, il vaccino si è dimostrato efficace sui macachi, ma ora la ricerca è ferma, in attesa di finanziamenti adeguati. Dal novembre del 2014 l’OMS ha approvato l’utilizzo del siero e del sangue proveniente da pazienti sopravvissuti alla malattia. Ci troviamo davvero di fronte all’inizio della fine per la diffusione della virosi? L’utilizzo ottimale delle risorse economiche internazionali e la buona volontà delle forze politiche locali possono consolidare i confortanti risultati raggiunti.

Antonio Irlando, dirigente medico ASS4 e collaboratore di SocialNews 

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